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La complessità dei dati e la sfida di pensare computazionalmente

11 marzo 2022

La complessità dei dati e la sfida di pensare computazionalmente

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Quello del rapporto con la tecnologia è il grande dilemma della società del Terzo Millennio, alle prese con una enorme massa di informazioni che fatica a gestire e governare. Per non finire travolti dai Big Data una ricetta c’è. E sta nel far «dialogare esperienza umana» e «nuove tecnologie» utilizzando un approccio «olistico» e «multidisciplinare». Servono però anche competenze umanistiche ed etiche per creare soluzioni a beneficio di tutti. Ne è profondamente convinto Giuseppe Riva, docente di Psicologia della comunicazione e direttore del nuovo laboratorio Humane Technology Lab (HTLAB), nato proprio con l’obiettivo di investigare la relazione dialogica tra uomo e tecnologia. S’inserisce in questa prospettiva il ciclo di webinar “Dall’uomo alla tecnologia”, inaugurato mercoledì 9 marzo dal dibattito “Cosa c’entrano le scienze umanistiche con le tecnologie? Interdisciplinarità e nuove professioni al tempo del Semantic Web”.

«Gestire i dati è allora una forma di potere?». Lo ha chiesto a Marco Passarotti, docente di Linguistica all’Università Cattolica, e a Roberto Villa, direttore Fondazione IBM Italia la giornalista del Corriere della sera Annachiara Sacchi, moderando il dibattito. «Da vent’anni sono linguista computazionale e mi occupo del trattamento automatico del dato», ha esordito il professor Passarotti, portando come esempio la sua personale esperienza professionale. «Da quello che ricordo ho passato buona parte del mio tempo a dover giustificare a parenti e amici il mio lavoro». Ultimamente, però, «le cose sono cambiate e finalmente posso riportare esempi di trattamento automatico del linguaggio, facendo vedere quanto esso sia utile ed essenziale», ha continuato il docente di Linguistica.

Un caso concreto di computazione del dato linguistico è sotto gli occhi di tutti. «Basti pensare che ogni volta che con un device utilizziamo un motore di ricerca scriviamo parole; queste vengono cercate nei siti web che portano parole; vengono estratte informazioni veicolate da parole e il risultato finale sono ancora parole». In sostanza, ha precisato il professor Passarotti, «saremmo travolti da miliardi di parole se non fossimo in grado di fare computazione» e «cercare di affrontare il passaggio dal dato dell’informazione alla conoscenza». Tutto, dunque, passa dalla «comunicazione verbale» e dalla «polisemia» delle parole, la facoltà di avere più significati diversi in un singolo contesto. In questo momento «la disambiguazione del significato delle parole in un contesto è una delle sfide aperte nel Semantic Web», vale a dire quella realtà costituita da milioni di relazioni tra soggetti e oggetti «semanticamente interpretabili dalle macchine».  

Per questo motivo il fenomeno dei Big Data – esploso nel 2000 prima con la comparsa degli smartphone, poi con la diffusione dei social media e infine con l’affermazione dell’Internet of thing – «non può essere interpretato con i computer tradizionali ma necessita dell’intelligenza artificiale», ha fatto eco Roberto Villa. «Il punto non è tanto essere travolti dai dati quanto trovare gli strumenti per rendere vantaggioso questo prezioso giacimento di informazioni che abbiamo a disposizione». L’opportunità da cogliere, ha aggiunto Villa, è «sviluppare assieme competenze umanistiche e tecnologiche per creare servizi e soluzioni a beneficio di tutti».

Da questo punto di vista può essere d’aiuto il nuovo percorso di laurea magistrale in “Linguistic computing” attivato per l’anno accademico 2022/2023 nella facoltà di Scienze linguistiche e letterature straniere dell’Università Cattolica, coordinato proprio da Marco Passarotti. «Intendiamo offrire strumenti necessari a poter “pensare computazionalmente” e a strutturare il linguaggio naturale in modo che la macchina possa trattarlo automaticamente», ha chiarito il docente della Cattolica. «L’obiettivo è produrre linguisti computazionali, sempre più ricercati dal mercato professionale».

A confermarlo anche il direttore della Fondazione IBM Italia. L’immane quantità di dati prodotta quotidianamente richiede professionisti che sappiano «maneggiare» le continue informazioni cui siamo esposti. Tanto per fare un esempio, in ambito aziendale ciascun operatore ha a che fare con manuali di migliaia di pagine. Individuare sistemi di intelligenza artificiale in grado di conoscere il contenuto di un testo possono sviluppare applicazioni che consentono di interrogare il testo e ricevere le necessarie informazioni. Pertanto, «la tecnologia non eliminerà posti di lavoro piuttosto saranno le persone dotate delle giuste competenze a sostituire quelli che non ne saranno munite per fronteggiare le richieste del mercato», ha evidenziato Villa.

Ecco perché le scienze umanistiche possono avere una «seconda vita» se associate alla tecnologia, soprattutto in un periodo in cui gli studenti ne sono sempre meno attirati. «La laurea magistrale promossa dalla Cattolica ha infatti la capacità di unire le tecniche dei Big Data con le conoscenze di base del linguaggio», ha ribadito il professor Riva. Infatti, l’analisi del linguaggio consente di capire le persone in maniera molto più sofisticata di quanto fosse possibile prima e, viceversa, «riuscire ad analizzare la tecnologia nel suo complesso riduce i rischi». Di qui la vera sfida per il sistema universitario italiano: «Superare la classica barriera interdisciplinare». E «dietro il tentativo di unire la scienza umanistica, che è il terreno della cultura italiana, con la tecnologia che oggi rappresenta il futuro in termini applicativi c’è proprio la capacità di pensare nuove applicazioni con un punto di vista che sia più possibile umano in grado di potenziare piuttosto che inibire», ha chiosato il direttore dello Humane Technology Lab.

Insomma, l’interdisciplinarità resta la parola d’ordine. A questo mondo multidisciplinare in cui la tecnologia è anche rapporto con l’uomo saranno dedicati i successivi webinar del ciclo: il 30 marzo in particolare, si parlerà di smart working, mentre nel dibattito dell’11 aprile si cercherà di capire come la tecnologia trasforma la creatività.

 

 

 

Un articolo di

Katia Biondi

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