Già in epoca antica, il desiderio di entrare in contatto con la divinità faceva sì che numerosi pellegrini interrogassero l’oracolo di Delfi in Grecia. In tempo di crisi, i Romani si rivolgevano alle Sibille, le quali, in uno stato di estasi, annunciavano profezie, per esempio sull’esito di una guerra. Nell’opera shakespeariana Il racconto d’inverno, il re di Sicilia Leonte mette a prova la fedeltà della moglie interrogando l’Oracolo, senza attenderne il responso: travolto dalla gelosia, condanna sé stesso all’infelicità e al rimorso (salvo essere perdonato alla fine).
La società del terzo millennio dispone di tecnologie che mirano a simulare, o addirittura riprodurre, l’intelligenza umana, un compito reso assai arduo dalla complessità del cervello umano e dalla mancanza di una definizione esaustiva del concetto stesso di intelligenza. Tra i padri dell’Intelligenza Artificiale, il matematico britannico Alan Turing definì un test basato sul cosiddetto gioco dell’imitazione: due partecipanti, uomo e donna, celati da una parete, comunicano attraverso una feritoia con un giudice. Quest’ultimo pone delle domande ai due, cercando di capire con chi sta parlando, ricevendo a sua volta delle risposte che mirano a confonderlo. Turing riformulò il test sostituendo uno degli umani con una macchina, anche se l’esito del test è in sé molto controverso. Già a partire dalla metà del secolo scorso, la sfida venne presa molto sul serio da programmi denominati chatbot, progettati per conversare, a diversi livelli, con esseri umani.