Una croce appesa a una lunga catena d’oro. Una spilla con l’immagine dell’Immacolata. Due oggetti preziosi che Armida Barelli indossava. Sempre. Sin dal momento in cui li aveva ricevuti in dono come segno di amicizia, affetto e riconoscimento dalle associate della Gioventù femminile. La storia narra che la beata e cofondatrice dell’Università Cattolica prima di morire avesse deciso di restituire alla stessa Gioventù femminile quella croce e quella spilla che l’avevano accompagnata nel corso della sua vita, lasciandoli in eredità a chi avesse proseguito la sua strada.
E così è stato. Da allora in poi la tradizione si ripete: i due gioielli passano in eredità alla vicepresidente nazionale per il settore Giovani dell’Azione Cattolica che li custodisce per tutto il periodo del suo mandato, indossandoli nelle occasioni più importanti: udienze con il Santo Padre, incontri con il Presidente della Repubblica, assemblee nazionali, forum internazionali.
Proprio come sabato 22 aprile, in occasione dell’udienza con Papa Francesco. A indossarli, come faceva Armida, è la ventiseienne Emanuela Gitto, originaria di Milazzo, dal 2021 vicepresidente nazionale per il settore Giovani dell’Azione Cattolica. Due oggetti il cui significato va ben al di là del semplice valore estetico. Rappresentano qualcosa di più: sono il simbolo, dice Gitto, di una «responsabilità condivisa» e indicano il «“nostro” stile associativo di fraternità e amicizia».
Ma qual è la storia degli ori di Armida? È il 5 settembre 1925. Migliaia di giovani donne, provenienti da tutta Italia, sono a Roma per partecipare al congresso nazionale della Gioventù femminile. All’uscita di San Pietro, dopo la Santa Messa, le associate regalano ad Armida Barelli una croce d’oro, nel cui interno sono raccolti anche alcuni granelli del suolo della Terrasanta. «Fu l’amica e stretta collaboratrice, Teresa Pallavicino, che a nome di tutta la Gf la pose al collo di Armida Barelli», rivela Gitto. E che Armida porterà sempre con sé. “È vero che pesa ma questo peso è più leggero se condiviso insieme a voi”, scrive infatti Maria Sticco, la stretta collaboratrice di Armida e autrice di molte opere a lei dedicate (Una donna fra due secoli, disponibile nella nuova edizione 2021 della casa editrice Vita e Pensiero), riportando una famosa frase della beata che spiega bene il valore simbolico del monile.
Non diversa è la storia della spilla. È il 1943 quando, in occasione del 25° anniversario dalla fondazione della Gf, “Ida” riceve il gioiello, appartenuto all’amica Pallavicino. Sulla sua superficie è raffigurata l’immagine dell’Immacolata. Ma non è la solita spilla con il Sacro Cuore che tradizionalmente appare in tutte le foto che prima di quella data ritraggono Armida. «Quella spilla fu persa durante i bombardamenti che colpirono la Cattolica», racconta Gitto. Allora le associate, quelle che le erano più vicine e si occupavano con lei di tutti gli aspetti organizzativi dell’associazione, decisero di regalargliene un’altra.
«Anche io, come tutte coloro che mi hanno preceduto, ho “ereditato” la croce e la spilla che sono appartenuti ad Armida. E così sarà per chi verrà dopo di me, alla fine del mio mandato», afferma Gitto.
Gli ori sono di proprietà dell’Azione Cattolica e sono conservati dall’amministratore nazionale. Ma a indossarli è esclusivamente la vicepresidente nazionale per il settore Giovani dell’Azione Cattolica, senza possibilità alcuna di delega. Il che la dice lunga sull’’importanza che rivestono. Come testimoniato dallo stesso rito della vestizione della nuova vicepresidente donna che riceve i gioielli di Armida dalla vice uscente. Infatti, osserva Gitto, non si tratta di un «rimando solo simbolico a quell’episodio del 1925. In quel passaggio – che avviene solennemente in seno al Consiglio nazionale, dove c’è l’abbraccio di tutta l’Associazione – riposa il significato della consegna della storia associativa e della cura delle relazioni che si sperimenta nelle dimensioni del servizio e nel percorso formativo che sperimentiamo in Ac. Una vera e propria staffetta associativa che ci ricorda che l’Ac è bella perché belle sono le relazioni che coltiviamo e che custodiamo, come in un gioco di squadra, dove anche la fatica e il sudore del presente sono benedetti, perché mescolati con il sogno e la visione dello sguardo teso al futuro».