Il discorso di lunedì 21 febbraio di Vladimir Putin, seguito dalla firma del decreto con cui la Russia riconosce l’indipendenza delle repubbliche secessioniste russofone del Donbass, Donetsk e Lugansk, ha segnato una svolta nella crisi russo-ucraina. Gli appelli al dialogo e alla pace sembrano essere caduti nel vuoto e forti venti di guerra soffiano sull’Europa. La situazione è drammatica e potrebbe avere ripercussioni non solo nell’area ma a livello mondiale con importanti risvolti politici ed economici. Quale sarà la reazione degli Stati Uniti? L’Unione europea supererà le sue divisioni? Basteranno le annunciate sanzioni? Grazie al contributo dei docenti dell’Università Cattolica continueremo a seguire, analizzare e approfondire le conseguenze della crisi con una serie di testi, interviste e testimonianze.
Dopo giorni in cui la diplomazia non è riuscita a trovare una soluzione, Vladimir Putin ha dato avvio all’invasione in Ucraina. Che il regime guidato dall’ex funzionario del KGB fosse aggressivo e incline all’uso della forza non è per niente una novità. Il potere di Putin, infatti, ha cominciato a concretarsi con la guerra in Cecenia, e successivamente i russi sono intervenuti in maniera decisa negli scenari dell’Ossezia del Sud, dell’Abcasia e anche nella situazione ben più complessa della guerra civile in Siria. L’intervento in Ucraina era stato ampiamente anticipato pochi anni fa dall’annessione della Crimea e dalla guerra del Donbass. Una delle domande da porsi è perché la Russia a guida Putin sia stata fin da subito incline a tale comportamento invece di maturare forme di dialogo e cooperazione più credibili. Tra le diverse risposte e interpretazioni è necessario considerare anche un aspetto che ha ricevuto una minore attenzione da analisti e osservatori a livello mondiale, vale a dire l’impatto che la struttura economica del paese ha sulle scelte politiche del Cremlino. In questo senso non può dimenticarsi che l’economia russa da alcuni anni non può essere considerata un’economia trainata da settori industriali e manifatturieri.
Attualmente, solo il 13% del Pil, infatti, è riconducibile al settore manifatturiero e questo dato è diminuito negli ultimi anni se consideriamo che nel 2000 esso era già modesto ma comunque superiore al 15%. L’economia russa, infatti è fortemente dipendente dall’esportazione di materie prime e in particolare di gas e petrolio. Nel 2020 più del 50% delle esportazioni russe era costituito da idrocarburi e minerali mentre i beni manufatti pesavano solo per il 21%. Tra questi, peraltro, solo il 9% nel 2020 rientrava nella categoria high-tech e le esportazioni ICT sono pari solo allo 0,5% delle esportazioni totali. In breve, i dati non sembrano mostrare segni di particolare vitalità in settori innovativi ad alta tecnologia. Un’economia dipendente dalle esportazioni di risorse naturali è per definizione un’economia fragile ed infatti non stupisce che il 13% della popolazione viva in condizione di povertà. Se la condizione di declino economico è attesa in queste economie, una minore attenzione viene solitamente posta sull’inclinazione sull’uso della forza.
La Russia, che peraltro impiega il 4,3% del suo Pil in spese militari, rappresenta un esempio di come un sistema economico costruito sullo sfruttamento di settori estrattivi non disponga dei disincentivi al conflitto che una maggiore integrazione nell’economia globale potrebbe generare. In parole più semplici, l’espansione di settori manifatturieri innovativi e la creazione di catene globali del valore tende a limitare gli incentivi all’uso della forza poiché i guadagni privati e pubblici di tale integrazione produttiva a livello globale tendono ad aumentare i costi attesi di un eventuale conflitto. Il regime di Putin, viceversa, plausibilmente anche con fini di diversione rispetto ai problemi interni, confida nelle rendite derivanti dalle esportazioni di idrocarburi e pertanto non teme di dover pagare costi eccessivi dal progressivo isolamento che seguirà a questa operazione militare. In ogni caso, questi sono errori di valutazione sostanziali da parte di Putin e del suo entourage poiché i costi dell’impegno militare saranno destinati ad aumentare andando a determinare un ulteriore impoverimento dell’economia che in un tempo non lungo metteranno a rischio la tenuta interna del Paese stesso.