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La lezione del capitano Nemo, ribelle universale

21 novembre 2022

La lezione del capitano Nemo, ribelle universale

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«Ogni lettore ha libri che segnano i suoi primi passi. Banali o profondi, i libri della nostra infanzia diventano parte della nostra autobiografia, tratteggiano un ritratto di chi eravamo. Molti sono esclusiva di un solo lettore ma alcuni trascendono gli oceani e costruiscono il patrimonio dei bambini. Tra questi ci sono i romanzi di Jules Verne e il suo “Ventimila leghe sotto i mari”». Alberto Manguel, è autore di una fortunata storia della lettura dal titolo “Vivere con i libri. Un’elegia e dieci digressioni”, pubblicata nel 2018 da Einaudi, e di numerosi romanzi, saggi, volumi tradotti in diverse lingue. In questi giorni è a Milano per presentare nell’ambito della manifestazione milanese Bookcity il suo ultimo libro “Il ricettario dei luoghi immaginari”, della casa editrice Vita e Pensiero, ideatrice della “Scuola di lettura” inaugurata il 27 ottobre da Alessandro D’Avenia. E venerdì 18 novembre è stato proprio lo scrittore argentino, amico di Jorge Borges e “lettore ad alta voce” dei suoi libri tra il ’64 e il ’68, il secondo ospite dell’iniziativa di Vita e Pensiero. Nato a Buenos Aires, formatosi in Israele e vissuto in Argentina, Italia, Tahiti, Francia, New York e ora a Lisbona, città cui ha donato la sua biblioteca di 40mila volumi, Manguel, in un italiano colorito qui e là da espressioni spagnole e portoghesi, ha raccontato com’è nata la sua «affezione» per la lettura e le ragioni che l’hanno portato a scegliere fra tanti libri proprio il romanzo di Verne.

Una «passione» per i libri la sua - come ama definirla - che lo riporta direttamente ai libri dell’infanzia, «i suoi compagni di giochi», con i suoi protagonisti, tra cui si possono trovare Pinocchio, «il burattino che aspira alla condizione umana», la «servizievole Jo delle “Piccole donne”», gli «eroi del libro “Cuore” di De Amicis, che con devozione e coraggio difendono l’onore della patria o solcano il mare alla ricerca della madre perduta». Presto questi eroi - «tutti bene educati, obbedienti e responsabili» - cedono il posto a «personaggi avventurosi». Tra loro ci sono l’«audace Sandokan», il «perfido Batman», il «tossicodipendente Sherlock Holmes». «Mi seducevano e mi seducono tuttora», ha ammesso francamente Manguel. «I loro trucchi nascondevano strategie per sopravvivere in un mondo che già negli anni Sessanta mi sembrava spietato».

Poi, ha continuato lo scrittore argentino, vennero per me le letture delle grandi avventure di “Alice nel paese delle meraviglie” e dell’”Isola del tesoro”. «Né Carrol né Stevenson si sarebbero stupiti di scoprire che i loro racconti erano state le mie prime lezioni di anarchia legittime». Il contrario di quello che avviene oggi. Questo perché, ha lamentato Manguel, «il sano piacere del proibito e altre cose essenziali sono state smascherate dal mondo del commercio». E così «la letteratura dell’infanzia è diventata oggetto di consumo, insignificante, offensiva e scontata». Si è perso, insomma, quel bisogno di «avventura» che sin dall’antichità ha caratterizzato l’essere umano e le nostre società. «Noi umani siamo animali migranti, condannati a vagare. Qualcosa ci attrae verso l’altro lato del giardino, del fiume, della montagna». Dante l’aveva compreso e per questo aveva donato a Ulisse un ultimo viaggio che lo avrebbe portato a proseguire la sua avventura.
  

 

 

Che è poi il «dramma» di Nemo. Ma chi è il protagonista di “Ventimila leghe sotto i mari”? Il suo nome significa nessuno ed è lo stesso utilizzato da Ulisse per ingannare il ciclope dove averlo accecato. Verne, ha puntualizzato Manguel, descrive «meticolosamente il suo personaggio». Ha profondi occhi neri, ha un’età imprecisata tra i 35 e i 50 anni, è alto, con un torace ampio, denti perfetti, mani affusolate che si addicono a un animo nobile e appassionato. Ha una smisurata passione per i libri. Possiede una vasta biblioteca composta da 12mila volumi, contraddistinta da tre caratteristiche: è priva di testi di economia politica, l’ordine dei suoi libri è arbitrario, non presenta scritti nuovi. «Nemo crede nell’immaginazione» e «nella curiosità dell’essere umano», «ha a cuore la propria libertà», ma «ne detesta la sua tirannide e avidità». Altro non è «se non il precursore di quegli anarchici violenti del XIX secolo, il cui pensiero si tradusse in bombe».

«Quando lessi “Ventimila leghe sotto i mari” rimasi affascinato dalla straordinarietà del viaggio e dalla personalità del capitano. Il romanzo fu scritto prima del conflitto mondiale». Ma l’epoca di Verne fu contrassegnata dalla violenza delle guerre: quella napoleonica, franco-prussiana e la guerra di Crimea scoppiarono tutte durante la vita dello scrittore francese. «Il capitano Nemo è un ribelle universale» ma «non un rivoluzionario specifico». Come dice lui stesso al professor Arronax, «sarò ricordato come un grande criminale. Io sono la legge, io sono il tribunale». Dunque,  «Nemo era una risposta alla violenza della sua epoca».

In fondo, per Manguel il protagonista di “Ventimila leghe sotto i mari” è un emblema del nostro tempo. «Dopo gli orrori della Seconda guerra mondiale, stiamo assistendo al fascismo che riprende vita. La democrazia lotta per sopravvivere ma rischia di soccombere». E cosa farebbe Nemo se vivesse in questa epoca? Secondo lo scrittore argentino si troverebbe a dover scegliere fra tre opzioni: «Potrebbe lasciarsi alle spalle la sua biblioteca e accettare l’educazione della stupidità che i governi vogliono imporre; potrebbe ignorare l’insegnamento dei suoi libri e abbandonarsi alla violenza; potrebbe provare a immaginare una strategia per portare gli esseri umani nel regno della ragione contro l’avidità materiale e lo spargimento di sangue per porre fine al nostro isolamento».

Qual è la morale, allora? Nemo «sa che una lotta contro le leggi è una lotta per la sopravvivenza». Ma impiega una «strategia errata». Infatti, la «distruzione delle nostre democrazie», pur se non perfette e «le migliori che finora siamo riusciti a concepire», non comporterà «la morte del fascismo». Se «vogliamo sopravvivere dobbiamo pensare, agire collettivamente e trovare il modo di dialogare». Anche con il nemico, contrastando così «l’impulso al suicidio con l’impulso alla vita».

Un articolo di

Katia Biondi

Katia Biondi

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