«Ogni lettore ha libri che segnano i suoi primi passi. Banali o profondi, i libri della nostra infanzia diventano parte della nostra autobiografia, tratteggiano un ritratto di chi eravamo. Molti sono esclusiva di un solo lettore ma alcuni trascendono gli oceani e costruiscono il patrimonio dei bambini. Tra questi ci sono i romanzi di Jules Verne e il suo “Ventimila leghe sotto i mari”». Alberto Manguel, è autore di una fortunata storia della lettura dal titolo “Vivere con i libri. Un’elegia e dieci digressioni”, pubblicata nel 2018 da Einaudi, e di numerosi romanzi, saggi, volumi tradotti in diverse lingue. In questi giorni è a Milano per presentare nell’ambito della manifestazione milanese Bookcity il suo ultimo libro “Il ricettario dei luoghi immaginari”, della casa editrice Vita e Pensiero, ideatrice della “Scuola di lettura” inaugurata il 27 ottobre da Alessandro D’Avenia. E venerdì 18 novembre è stato proprio lo scrittore argentino, amico di Jorge Borges e “lettore ad alta voce” dei suoi libri tra il ’64 e il ’68, il secondo ospite dell’iniziativa di Vita e Pensiero. Nato a Buenos Aires, formatosi in Israele e vissuto in Argentina, Italia, Tahiti, Francia, New York e ora a Lisbona, città cui ha donato la sua biblioteca di 40mila volumi, Manguel, in un italiano colorito qui e là da espressioni spagnole e portoghesi, ha raccontato com’è nata la sua «affezione» per la lettura e le ragioni che l’hanno portato a scegliere fra tanti libri proprio il romanzo di Verne.
Una «passione» per i libri la sua - come ama definirla - che lo riporta direttamente ai libri dell’infanzia, «i suoi compagni di giochi», con i suoi protagonisti, tra cui si possono trovare Pinocchio, «il burattino che aspira alla condizione umana», la «servizievole Jo delle “Piccole donne”», gli «eroi del libro “Cuore” di De Amicis, che con devozione e coraggio difendono l’onore della patria o solcano il mare alla ricerca della madre perduta». Presto questi eroi - «tutti bene educati, obbedienti e responsabili» - cedono il posto a «personaggi avventurosi». Tra loro ci sono l’«audace Sandokan», il «perfido Batman», il «tossicodipendente Sherlock Holmes». «Mi seducevano e mi seducono tuttora», ha ammesso francamente Manguel. «I loro trucchi nascondevano strategie per sopravvivere in un mondo che già negli anni Sessanta mi sembrava spietato».
Poi, ha continuato lo scrittore argentino, vennero per me le letture delle grandi avventure di “Alice nel paese delle meraviglie” e dell’”Isola del tesoro”. «Né Carrol né Stevenson si sarebbero stupiti di scoprire che i loro racconti erano state le mie prime lezioni di anarchia legittime». Il contrario di quello che avviene oggi. Questo perché, ha lamentato Manguel, «il sano piacere del proibito e altre cose essenziali sono state smascherate dal mondo del commercio». E così «la letteratura dell’infanzia è diventata oggetto di consumo, insignificante, offensiva e scontata». Si è perso, insomma, quel bisogno di «avventura» che sin dall’antichità ha caratterizzato l’essere umano e le nostre società. «Noi umani siamo animali migranti, condannati a vagare. Qualcosa ci attrae verso l’altro lato del giardino, del fiume, della montagna». Dante l’aveva compreso e per questo aveva donato a Ulisse un ultimo viaggio che lo avrebbe portato a proseguire la sua avventura.