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La messa è sbiadita

05 giugno 2024

La messa è sbiadita

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È ormai noto a tutti che la pratica religiosa è molto tiepida in Italia, soprattutto tra i giovani. Un’indagine statistica con relative considerazioni è stata effettuata dal sociologo delle religioni, professor Luca Diotallevi, nel volume “La messa è sbiadita. La partecipazione ai riti religiosi in Italia dal 1993 al 2019” (Rubettino 2024).

A introdurre i qualificati relatori intervenuti con l’autore a presentare il volume è stata la sociologa dell’Università Cattolica Rita Bichi che ha sottolineato il panorama storico-sociale alla base delle ragioni di questa decrescita (presente già prima del Covid) che allo stesso tempo apre nuove prospettive.

Il primo intervento di taglio pedagogico è stato affidato a Paola Bignardi, che collabora per la redazione del Rapporto Giovani dell’Istituto Toniolo, in questo agevolata dalla conoscenza sul tema della pratica religiosa delle giovani generazioni. Si tratta di un abbandono della partecipazione alla messa domenicale e agli altri riti che caratterizzano l’appartenenza alla comunità ecclesiale sceso dal 37,3% del 1993 al 23,7% del 2019. Un abbandono che riguarda di più le donne giovani che non si sentono considerate nella Chiesa e ciò provoca risentimento. Quanti decenni ci vorranno per “smaschilizzare” la Chiesa, si è chiesta. Interpretando il dato quantitativo contenuto nel volume relativo alla partecipazione alla messa, vertice della vita cristiana, ha rilevato che dietro i numeri ci sono vite e ragioni, panorami esistenziali ed ecclesiali. Emerge il senso di noia e di costrizione, l’estraneità e la scarsa comprensione, l’impostazione dogmatica, il linguaggio vecchio e desueto, l’inefficacia della catechesi nel suscitare interesse. «Non è che si disconosca il sacramento ma il contesto istituzionale della celebrazione è ritenuto vecchio e insignificante, incapace di offrire iniziazione al rito e contenuti ai giovani che cercano esperienze e non informazioni. In tal senso la messa è sbiadita, cioè insignificante e irrilevante rispetto alla vita se come celebrazione non coinvolge e non apre la strada al mistero. Solo una pratica qualitativa può diventare quantitativa».

La lettura sociologica del volume è stata affidata alla docente di sociologia Linda Lombi che si è interrogata sul senso dei riti, e della loro crisi, per prospettare scenari finalizzati a ricolorare la partecipazione ponendo in relazione la crisi di partecipazione ai rituali religiosi con quella dei rituali civili. Una volta i riti scandivano il tempo e la realtà, oggi l’ascesa di individualismo e narcisismo ha eroso la dimensione comunitaria, il senso di appartenenza e di condivisione dei rituali. «L’odierno “tempo veloce” non si addice ai riti che chiedono lentezza, attenzione e concentrazione. Oggi è di moda la meditazione per ritrovare sé stessi ma la preghiera è cosa diversa. La partecipazione ai rituali ha affetti positivi personali e comunitari, consente alle persone disabili di uscire, riduce la depressione, suscita meraviglia».

La disaffezione sempre crescente alla messa domenicale è ben presente anche agli operatori della pastorale. Lo ha ribadito il teologo Claudio Stercal portando il contributo ecclesiale e teologico al dibattito, segnalando che le persone, guardando al passato, hanno un bel ricordo dell’oratorio ma non della messa. Così si è chiesto «Siamo di fronte ad una catastrofe o è il passaggio di un cammino? Dobbiamo dare colore alla messa o sostenere il colore dell’umano?» e ha spiegato che «più che lo sbiadimento della messa, occorre fare riferimento al ripensamento della liturgia, anche partendo da zero. Questo pone un più ampio problema di natura ecclesiale relativo alla formazione del clero, al ruolo dei celebranti, al rapporto complessivo tra Chiesa e contesto umano. Allora lo sbiadimento della messa può essere occasione per considerare che il vero colore da recuperare è quello dell’umano».

Tante sollecitazioni, emerse anche dagli interventi del pubblico, sono state gradite dall’autore professor Luca Diotallevi il quale, nel suo intervento conclusivo ha fatto riferimento al processo di individualizzazione in corso, che provoca il distanziamento dal sociale e che paradossalmente trova una conferma proprio nella massiccia interconnessione tecnologica in corso che rende incorporea la persona: «Il corpo è un impiccio, crea dipendenza, disturbi alimentari, ecc., si cerca di ignorarlo, e purtroppo senza corpo il rito, che richiede la presenza fisica, non si fa». Anche l’impianto umano crea disaffezione e richiede un ripensamento di natura più generale.

Un articolo di

Agostino Picicco

Agostino Picicco

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