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Pascal, la grandezza e la miseria della natura umana

19 giugno 2023

Pascal, la grandezza e la miseria della natura umana

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Il 7 luglio 2017 Papa Francesco, incalzato dalle domande di Eugenio Scalfari per La Repubblica, affermò che i tempi erano ormai maturi per l’apertura del processo di beatificazione di Blaise Pascal. L’idea, solamente un giudizio espresso a titolo personale attraverso una testata giornalistica, non ha avuto finora concreti sviluppi. Tuttavia, la stima nutrita dal pontefice nei confronti del grande pensatore francese non è scemata. Lo dimostra la lettera apostolica Sublimitas et miseria hominis, pubblicata in occasione del quattrocentesimo anniversario della nascita di Pascal.

LEGGI IL TESTO DELLA LETTERA 

Nato a Clermont-Ferrand, in Alvernia, il 19 giugno 1623, Pascal ricevette la prima formazione dal padre Etienne. Dimostrò una precoce passione per le scienze. Trasferitosi sin da piccolo a Parigi con il padre e le sorelle (Gilberte e Jacqueline) a seguito della morte della madre, poté approfondire questa sua passione. Etienne, infatti, magistrato delle corti di giustizia, era anche uno stimato matematico e frequentava alcuni dei più noti scienziati del tempo, tra i quali Fermat, Gassendi e Le Pailleur (il circolo che, riunendosi intorno a Marin Marsenne, padre della Compagnia dei Minimi, costituì il nucleo originario dell’Accadémie des Sciences). A dodici anni, rimasto colpito dal suono provocato da un piatto colpito da una posata, scrisse un breve trattato sul suono (oggi andato perduto). Dopo essersi accostato alla trentaduesima proposizione della Geometria di Euclide e avere scritto un Saggio sulle coniche, nel 1642, per aiutare il padre nei calcoli delle imposte, progettò e costruì la “pascalina”, macchina meccanica precorritrice della moderna calcolatrice.

Al 1646 risale la sua “prima conversione”. A seguito di una caduta da cavallo, Etienne venne curato da alcuni medici seguaci della corrente giansenista, che allora aveva il proprio centro nevralgico nell’abbazia di Port-Royal, riportata ai suoi antichi fasti nei primi anni del Seicento dalla badessa Angélique Arnauld. Folgorati dal rigore morale dei suoi adepti, Blaise e la sua famiglia si avvicinarono al giansenismo, tanto che nel 1652 Jaqueline, la sorella minore, prese i voti ed entrò a Port-Royal. Allargando l’orizzonte dalle letture di geometria, fisica e matematica, il giovane si accostò agli scritti religiosi di Saint-Cyran, capofila del giansenismo francese.

La passione per le scienze non lo abbandonò mai completamente (lo attestano gli scritti pubblicati su svariate materie sino alla tarda maturità), ma in lui cominciò a occupare uno spazio sempre più rilevante la speculazione teologica e filosofica.

La vera svolta, la cosiddetta “seconda conversione”, la “notte di fuoco” del 23 novembre 1654, venne descritta da Pascal in un breve Memoriale. Nella pergamena, che egli volle portare sempre con sé, tanto da farsela cucire nella tasca della giacca, diede conto in maniera fulminea della straordinarietà dell’evento: “Fuoco. Dio d’Abramo, Dio d’Isacco, Dio di Giacobbe. Non dei filosofi e dei dotti. Certezza. Sentimento. Gioia. Pace. Dio di Gesù Cristo. Non lo si conserva che per le vie insegnate dal Vangelo”. Parole che esprimono alla perfezione l’indicibilità della sconvolgente esperienza della conversione, grazie alla quale il cristiano conosce Dio attraverso una dinamica relazionale che, non contemplando la ragione, si fonda unicamente sulla grazia divina che giunge a illuminare l’oscurità della natura umana gravata dal peccato (rimando evidente alla teologia paolina e agostiniana).

Da quel momento Pascal cominciò a riflettere sui grandi problemi della teologia, in primo luogo sul rapporto tra Dio e le sue creature. Lo studio delle materie scientifiche, che lo aveva occupato per molti anni, gli permise di comprendere l’incolmabile divario esistente tra i meccanismi della conoscenza delle verità scientifiche e divine. Se le prime sono conoscibili attraverso la ragione, i misteri trascendenti non sono attingibili attraverso le sole forze umane. Tra Dio, espressione dell’infinito e della potenza assoluta, e l’uomo, essere finito e inevitabilmente peccatore dopo la caduta, esiste uno scarto che non può essere né concepito né tantomeno colmato con la forza della ragione. Da qui la definizione della teologia di Pascal, sintetizzabile nella celebre distinzione tra le categorie della “ragione” e del “cuore” (inteso come luogo in cui si inscrive l’amore, la grazia, ossia la carità divina). La dicotomia tra ragione e fede è a tal punto profonda da spingere il pensatore francese a paragonare la credenza di Dio in una “scommessa”, statisticamente la meno rischiosa che l’uomo possa compiere: “A ogni nuovo passo che farete in questa via, scorgerete tanta certezza di guadagno e tanto nulla in quanto rischiate, che alla fine vi renderete conto di avere scommesso per una cosa certa”.

Attraverso la ripresa radicale della dottrina di Agostino, egli sviluppò il proprio pensiero riguardo alla salvezza. Dio, nella sua infinita misericordia, dona ad alcuni eletti la salvezza indipendentemente dai loro meriti (centrali risultano gli Scritti sulla grazia, editi tra il 1655 e il 1656). Punto di vista che, rompendo con la plurisecolare tradizione scolastica, implicava la limitazione, se non addirittura l’azzeramento, del ruolo del libero arbitrio umano i fini della salvezza (che, al contrario, il Concilio di Trento si era impegnato a preservare contro la dottrina riformata del “sola gratia”). È proprio in questo aspetto che il documento pontificio riscontra il maggiore limite del sistema teologico e filosofico di Pascal.

La “conoscenza” di Dio fu a tal punto sconvolgente che egli consacrò gli ultimi anni della sua vita alla scrittura di una Apologia del Cristianesimo, progetto inattuato di cui rimangono i famosi frammenti, editi per la prima volta nel 1670 con il titolo di Pensieri (opera verso cui papa Francesco ha in varie occasioni attestato il proprio interesse).

Una svolta nella riflessione teologica e morale di Pascal si ebbe nel 1656 con la pubblicazione delle Provinciali, in cui attaccò duramente la morale lassista a suo dire impersonata dai gesuiti. Il linguaggio accattivante, sarcastico e semplice dell’opera (un insieme di lettere indirizzate a un superiore della Compagnia di Gesù, un provinciale per l’appunto) le garantirono un successo enorme, facendo dello scritto un vero e proprio best-sellers. La condanna di alcune proposizione estratte dall’Augustinus di Giansenio (il vescovo e teologo olandese da cui la corrente religiosa del giansenismo prese il nome) da parte della Santa Sede nel 1653 contribuì ad esacerbare lo scontro con i padri gesuiti, i principali sostenitori della strategia controriformata attuata da Roma all’indomani del Concilio di Trento (1545-1563).

Il documento papale concepisce le Provinciali come l’esito radicale dello sforzo retorico di Pascal di contrastare la casistica (la scienza dei casi applicata in ambito religioso, che Pascal giudicava esito ultimo e più grave della morale gesuitica rilassata), giudicata come pratica lesiva dei valori cristiani. Un tentativo in buona fede dunque, che spinge il pontefice a riconoscere “la sincerità delle sue [di Pascal] intenzioni”.

Al di là del contenuto della riflessione di papa Francesco (se cioè l’opera del filosofo francese sia l’esito di un impegno controversistico o il frutto maturo di una sistematica elaborazione teologica), quello che conta è che le parole del pontefice contribuiscono a sanare una ferita che, provocata dalle Provinciali, è rimasta aperta per molti secoli nel corpo della Compagnia di Gesù.

Oggi come allora, Il pensiero di Pascal è materiale difficile da comprendere perché essenzialmente antimoderno. Contro la rivendicazione dell’uomo di vantare unicamente diritti, di pensare un Dio talmente buono da salvare tutti indistintamente, di concepire una religione costruita sulla libera scelta dell’opzione più conveniente, Pascal propone una morale severa, che deve guidare l’essere umano ad amare Dio più di qualunque altra cosa. Solo questo gli permette di assurgere alle vette più alte della virtù, plasmando la propria vita sul modello di Gesù Cristo.

È solo alla luce della relazione dialettica tra Dio e le sue creature, che tiene insieme l’incomprensibile altezza di Dio e il vertiginoso abisso della natura umana, che è possibile concepire l’assurdità della realtà dell’uomo e, dunque, il vero senso della religione cristiana. Da un lato la tensione dell’uomo verso la realtà trascendente e dall’altra la certezza di non poterla mai raggiungere pienamente, condizione da cui origina una costante e lacerante inquietudine. “Sublimitas” e “miseria”, dunque, come recita il titolo del documento papale, come condizioni esistenziali che non si escludono a vicenda, ma che, al contrario, connotano dialetticamente la vera essenza della natura umana. È in questa dinamica originata dalla grazia divina, e non attraverso il geometrico tentativo di dimostrare l’esistenza di Dio, che per Pascal è possibile comprendere la vera essenza della religione cristiana e, dunque, la sua verità. In questa prospettiva si spiega il suo tentativo di inscrivere la scienza entro un orizzonte trascendente.

La relazione dialettica tra Dio e l’uomo costituisce la chiave interpretativa del sistema teologico e filosofico del pensatore francese, il quale, in punto di morte, volgendo lo sguardo al cielo, con un sentimento di consapevolezza frammisto a persistente inquietudine, sospirò: “Dio mio, non mi abbandonare mai”.

Un articolo di

Marco Rochini

Marco Rochini

Docente di Storia del Cristianesimo nell’età moderna

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