Proprio per questo il racconto biblico di Caino che “alza la mano” contro il fratello Abele è stato oggetto di studio non solo da parte della scienza biblica e della teologia ma della filosofia, della letteratura e finanche il teatro, che l’hanno reinterpretata in chiave moderna, come ha evidenziato Davide Assael, filosofo e autore di libri sulla fratellanza. Contrariamente alla lettura superficiale che vede Caino cattivo e Abele buono, il filosofo ha messo in evidenza la complessità di relazioni tra i due fratelli anche alla luce delle aspettative generazionali, delle rivalità, del silenzio e mancato riconoscimento reciproco che finiscono per chiudere l’orizzonte esistenziale del primogenito e annunciare il tragico epilogo. Non a caso, nella tradizione ebraica, Abele è “il muto”: il testo biblico, infatti, non ci fa udire nemmeno una sua parola. Lungi dal mettere da parte l’azione tragica di Caino, che causa la morte del fratello, la narrazione biblica invita ad andare oltre la domanda “Chi ha iniziato per primo? Chi ha ragione? Chi è nel giusto?” per concentrarsi invece sulla relazione, e quindi anche sulla dinamica azione-reazione che conduce ciascuno ad assumere – a fare proprie responsabilmente – le «conseguenze dei propri gesti». È così che si costruisce un percorso di riparazione a partire dal dato che «la fratellanza non è originaria ma è, appunto, una relazione da costruire».
Anche per Guido Bertagna – gesuita, artista, mediatore penale cui si deve l’avvio di un’esperienza di incontro tra vittime e responsabili di violenza politica – «la fraternità nasce fragile». Questa storia ci riguarda tutti e narra quello che accade sempre. Dio si identifica nel grido che si leva dal sangue di Abele – letteralmente «dai sangui», al plurale – e, proprio per questo Dio si identifica, allo stesso tempo, anche con il futuro di Caino. Dio vuole che Caino viva».
Il conflitto tra i due fratelli si perpetua nel tempo fino ai nostri giorni. Infatti «rappresenta un modo calzante per descrivere i conflitti attuali e pensare alla giustizia, bene sfuggente ma incredibilmente necessario», ha dichiarato Agnese Moro, psicologa, giornalista e figlia dello statista ucciso dalle Brigate Rosse, oggi impegnata in incontri riparativi. Riprendendo il tema del sangue, Agnese Moro si è interrogata sulla risposta al grido di quel sangue, che nel racconto biblico viene raccolto dalla terra. Le sue parole hanno rievocato il sangue del padre Aldo Moro e degli uomini della scorta, sangue le cui tracce sono visibili ancora oggi sulle tesi di laurea che lo statista doveva discutere il giorno del rapimento e sugli oggetti personali (fede, portafogli… ) restituiti alla famiglia. Cosa fare? Avere a cuore un futuro di vita significa rendere generativa la terra che raccoglie il sangue e, per esempio, desiderare anche per i responsabili della violenza una «giustizia del ritorno» nella società e nelle relazioni.
Le nuove prospettive della criminologia narrativa
Una giustizia, insomma, che pone al centro le persone e le loro storie. Ed è quello che fa anche la criminologia narrativa. Lo ha testimoniato Lois Presser, docente di Sociologia alla University of Tennessee e massima esperta di tale disciplina, nella sua lectio magistralis “Criminologia narrativa: il contributo della teoria criminologica e letteraria nella comprensione e risposta alla violenza”. Con alle spalle numerose pubblicazioni scientifiche in questo ambito, la professoressa Presser, partendo dall’analisi di alcuni casi concreti, ha mostrato in che modo la narrative criminology, basata sull’analisi delle storie, sia in grado di aprire a nuove prospettive nella interpretazione dei crimini. La «conoscenza narrativa» degli altri intreccia così anche i percorsi della giustizia riparativa, nonché “Giustizia e letteratura”, il filone di studio inaugurato dall’Alta Scuola “Federico Stella” sulla giustizia penale più di dieci anni fa.