«Dopo le prime puntate di “Preghiere esaudite”, molti cominciano a interrompere le comunicazioni con lo scrittore, a cancellare il suo numero dalle agende telefoniche. Quello stesso jet set cui aveva tanto desiderato avere accesso, gli si rivolta contro», commenta Lagioia. Il desiderio - nel caso di Capote «di fama e di successo» - è sempre «un’arma a doppio taglio». Ma è anche il «motore delle storie», «genera trame». L’esempio eclatante arriva da Ann Woodward, protagonista della prima storia di “Preghiere esaudite”. Donna dal passato discutibile, era la moglie di un noto plurimiliardario dell’epoca, di nome Bob, ucciso nel 1955 in circostanze misteriose. Quando Capote decide di pubblicarne su Esquire la storia, peraltro sentita raccontare tantissime volte tra le mura protette del ristorante più frequentato del tempo, “Le Côte Basque”, Ann si riconosce immediatamente nel personaggio. E accade una cosa terrificante: si ricorda di aver letto che la madre di Capote si era suicidata con il Seconal, un potente sonnifero, ne acquista una grande quantità e si toglie la vita. «Desiderio e rovina sono spesso dirimpettai», dunque. «Se Ann Woodward non fosse stata spinta dal grande desiderio di salto sociale e di ricchezza, lo stesso che la porterà in un vicolo cieco, non ci sarebbe stata una storia da raccontare», osserva Lagioia. A scriverne il finale è però Truman Capote attraverso la letteratura: «Se quel racconto non fosse stato scritto Ann non si sarebbe suicidata. È la «finzione letteraria a scrivere in qualche modo la storia reale».
Perché Capote è tanto interessato alla storia di Ann Woodward? Intanto, «perché presenta caratteristiche che lo ossessionano» e costantemente «ricorrono nella sua letteratura». “Colazione da Tiffany”, scritto tanti anni prima, già racconta di una ragazza che proprio come Ann arriva a New York da una provincia anonima, vuole emanciparsi e per farlo usa ogni mezzo pur di non essere restituita al mondo squallido da cui proviene. Ma anche perché «la storia altrui che raccontiamo è la nostra storia». In altre parole, «il desiderio di Ann Woodward, di Holly Golightly è il desiderio di Truman Capote».
Tutto torna, allora. Nel senso che la storia letteraria di Truman Capote è strettamente legata alla sua biografia. Truman Streckfus Persons, questo il suo vero nome, era figlio di un perdigiorno e di una donna dai facili costumi. Dopo essere stato abbandonato dai genitori, era stato cresciuto da alcuni parenti in uno sperduto paesino dell’Alabama. Un’infanzia difficile, la sua. Ma gli zii con cui cresce sono amorevoli e soprattutto ha un’amica del cuore che lo protegge e come lui diventerà un genio della letteratura: Harper Lee. Comincia a leggere, capisce di avere un dono, la scrittura, da cui potrà arrivare la sua emancipazione. Molla la provincia. Approda a New York, dove inizia a scrivere nella redazione del New Yorker. Pubblica i primi racconti, tutti perfetti. Arriva anche “Colazione da Tiffany”. È il 16 novembre del 1955 quando legge su un giornale della morte di un agricoltore ucciso con tutta la sua famiglia da due giovani sbandati. Con l’amica Harper Lee decide di recarsi sul luogo del delitto prima che gli assassini siano arrestati. E ancora una volta, «in una sorta di what if», lo scrittore «si riconosce nelle vite dei giovani protagonisti». Nasce così “A sangue freddo”.
«Gli scrittori sono un concentrato di contraddizioni, proprio come Capote», avverte Lagioia. È anche vero che «i romanzi sono meravigliosi» in quanto la «letteratura non dà mai risposte definitive, sollecita domande, aiuta a interrogarci» e ci restituisce «l’esperienza umana». Ha anche dei «limiti», però. Sono quelli del linguaggio letterario incapace di avvicinarsi alla realtà. Un «fallimento continuo» che ha un risvolto positivo: «mettere in gioco il lettore».