«Leggere ogni mattina, insieme alla consueta tazza di caffè, di tè o al cappuccino, un libro di letteratura, di poesia, di filosofia». Un’abitudine quotidiana fondamentale per arginare l’«impatto» della tecnologia sul processo cognitivo e «preservare la conoscenza» umana. È il suggerimento, semplice ma prezioso di Maryanne Wolf, docente della University of California di Los Angeles (UCLA), membro della Pontificia Accademia e attenta studiosa della lettura, contro il «sovraccarico di informazioni» che sta cambiando la nostra stessa «capacità di leggere». Con la drastica conseguenza di compromettere l’empatia, la comprensione, l’analisi critica. Il costo, insomma, che noi tutti stiamo pagando alla digitalizzazione in cambio di altri benefici ricevuti nel campo della ricerca scientifica, della conoscenza, della sanità. Una riflessione da tempo al centro delle sue attività di ricerca come testimoniano i due bestseller pubblicati dalla casa editrice Vita e Pensiero: “Proust e il calamaro. Storia e scienza del cervello che legge” (2009) e “Lettore, vieni a casa. Il cervello che legge in un mondo digitale” (2018).
La neuroscienziata cognitivista americana ha esposto le sue preoccupazioni sul futuro della conoscenza umana lunedì 25 ottobre nell’Aula Magna dell’Università Cattolica dove ha pronunciato la lecture “Information, Knowledge, Wisdom. Their Transmission and Transformation in the Digital Age”, terza conferenza del ciclo “Un secolo di futuro: l’Università tra le generazioni” promosso dall’Ateneo in occasione del Centenario. «Con la rivoluzione digitale, non sono cambiati solo i modi di trasmissione del sapere ma persino le modalità con le quali il sapere viene recepito», ha osservato il rettore dell’Università Cattolica Franco Anelli introducendo l’iniziativa. «Noi docenti non possiamo ignorare questo cambiamento, almeno per due ragioni. La prima riguarda la necessità di educare gli studenti a sviluppare un approccio critico davanti alle migliaia di informazioni che possono reperire perché alcune sono vere, altre false. La seconda ragione è legata al fatto che avere più informazioni non significa avere maggiore conoscenza».
Più informazioni non implicano, quindi, necessariamente più conoscenza, come ha ribadito Maryanne Wolf, secondo cui ciò che conta «non è tanto quello che si legge ma come si legge». Purtroppo, «il mezzo e lo scopo della nostra lettura stanno cambiando» a causa del digitale. Certo, «nessuno di noi ha un cervello destinato a saper leggere». Si tratta di qualcosa di nuovo anche per la nostra specie, per questo è stato elaborato un «nuovo circuito» adatto alla lettura. «Il cervello che legge» è la nostra piattaforma per raggiungere la «saggezza», quella che Wolf definisce anche «principio proustiano», perché consente di arrivare alla sapienza attraverso l’autore che si legge. Tuttavia, un cervello che elabora, che produce insights, ha bisogno di tempo, di un’alta qualità di attenzione.