Non potevo che leggere avidamente l’Esortazione Apostolica Laudate Deum, nei giorni in cui stavo incontrando i nuovi studenti dei corsi dove insegno, che trattano questioni relative alle politiche e alle istituzioni internazionali. Il momento dell’inizio è sempre intenso e in un certo senso anche sofferto: sfida soprattutto chi insegna a riscoprire le ragioni del suo lavoro e la bellezza di quel che siamo chiamati a diventare: una comunità di persone che si interrogano a fondo sulla realtà che studiano, che non si accontenta del déjà-vu, che vaglia criticamente ogni risposta, trattenendo quello che vale. In questo, la lettura della Laudate Deum mi ha esortata e sostenuta nel tentativo di guardare con realismo e con passione alle sfide del presente: avere politiche e istituzioni internazionali non centrate su interessi e potere consolidati, ma esploratrici di una possibile migliore convivenza fra popoli e fra nazioni.
L’oggetto della Esortazione riguarda esplicitamente la crisi climatica: un problema ambientale che è soprattutto un problema umano e sociale, “intimamente legato alla dignità umana” (LD 3). Paternamente, papa Francesco ripropone i grandi temi della Enciclica Laudato si’, ben sapendo che anche fra i figli della Chiesa Cattolica tanti manifestano “opinioni sprezzanti e irragionevoli” (LD 14); ed esorta i piccoli e i grandi della terra a una profonda conversione dei loro atteggiamenti. Tra i grandi, l’Esortazione chiama in causa direttamente i rappresentanti delle nazioni che si riuniranno a Dubai per la COP28 (LD 53-60). Quanto ai piccoli, ribadisce che solo un cambiamento diffuso degli stili di vita può far maturare convinzioni sociali capaci di trasformare dal profondo la cultura e la società.
Non si tratta di temi nuovi, ma essi vengono riproposti con accenti originali, che mi hanno colpito per la loro freschezza e la loro lucidità. Vorrei fare due soli esempi, che mi sembrano particolarmente collegati al lavoro universitario.
Innanzitutto, il Papa parla del paradigma tecnocratico sottolineando “che si nutre mostruosamente di se stesso” (LD 21). Questo paradigma “può isolarci da ciò che ci circonda e ci inganna facendoci dimenticare che il mondo intero è una zona di contatto” (LD 66). Qui, la sfida alla ricerca e all’insegnamento universitario si fa radicale, proprio perché riguarda il rapporto con la realtà. Esiste una realtà fuori di noi, che possiamo utilizzare come un oggetto manipolabile da piegare ai nostri scopi? Oppure siamo anche noi parte della realtà, da contemplare e da venerare nel suo ultimo mistero? Una realtà da penetrare con l’umiltà e con la libertà di chi non ha interessi precostituiti o pregiudizi ideologici? Fa davvero una gran differenza, credo: si tratta di libertà contro schiavitù del potere, subìto o esercitato.
Il secondo esempio è almeno altrettanto sfidante, per i temi di cui mi occupo. Si tratta dell’esigenza del “multilateralismo dal basso” in un momento storico di grande debolezza della politica internazionale. Non è fantasia, ma concreta possibilità: “La globalizzazione favorisce gli scambi culturali spontanei, una maggiore conoscenza reciproca e modalità di integrazione dei popoli che porteranno a un multilateralismo “dal basso””(LD 38). Ormai dovremmo essere consapevoli che non si vive del solo binomio stato-mercato, né a livello locale né a livello globale. Per una prospettiva multipolare, servono strumenti nuovi di multilateralismo - non una riedizione aggiornata di tali strumenti, ma una loro riconfigurazione. “Persone impegnate dei Paesi più diversi si aiutano e si accompagnano a vicenda” (LD 38) possono generare “spazi di conversazione, consultazione, arbitrato, risoluzione dei conflitti, supervisione e, in sintesi, una sorta di maggiore “democratizzazione” nella sfera globale” (LD 43).