A una prima lettura, il testo della Laudate Deum potrebbe lasciarci spiazzati e sgomenti: i suoi toni sono apparentemente lontani da quell’ottimismo della speranza che è la cifra delle donne e degli uomini di ‘buona volontà’ ai quali essa si rivolge. È dalle “grandi decisioni della politica nazionale e internazionale” che verranno – se verranno – le soluzioni più efficaci alla crisi climatica [N. 69], ma proprio dalle politiche nazionali e internazionali – ammonisce il Papa – sono finora giunte soluzioni tanto insufficienti da avvicinarci a un “punto di rottura” [N. 2]: espressione cruda e funesta che – come ci si poteva aspettare – ha più di tutte attratto l’attenzione dei media.
La ricostruzione delle conferenze sul clima che si sono succedute negli ultimi trent’anni, dei loro progressi e fallimenti [Nr. 44-52] – con un dettaglio sicuramente inedito per un testo del Magistero – giova a dare forza all’auspicio (ma il tono è quello di un ultimatum) che da essa possa venire una decisa accelerazione di una transizione energetica sostenuta da impegni efficaci e meccanismi di monitoraggio [N. 59], gli uni e gli altri indispensabili per superare l’imbarazzante distanza tra una apparente sensibilità al problema e il coraggio di effettuare cambiamenti sostanziali [N. 56].
Alla luce di tutto ciò, cosa può dire a noi, ancora fiduciosi “nella capacità dell’essere umano di trascendere i suoi piccoli interessi e di pensare in grande” [N. 54]? E come possiamo “accompagnare questo percorso di riconciliazione con il mondo che ci ospita e (…) impreziosirlo con il (nostro) contributo” [N. 69]?
Credo sia tra le righe di un testo che trasuda preoccupazione per un “pianeta sofferente” e per un mondo che “si sta sgretolando” [N. 2] che sia possibile individuare gli spazi di azione per noi, persone di buona volontà, e per la stessa comunità universitaria.
La sottolineatura di dimensioni quali la dignità personale, la responsabilità, la coscienza, i grandi valori, i cambiamenti culturali indispensabili a liberarci dalle insidie del paradigma tecnocratico chiarisce senza dubbio alcuno come la soluzione alla crisi climatica – e soprattutto la soluzione duratura – non possa essere affidata unicamente alla tecnologia che, al contrario, rischia fatalmente di divenire parte del problema quando si riduce a strumento di potere politico ed economico [Nr. 20-33; N. 57]. Specularmente, i ripetuti richiami ad aspetti quali l’interazione dei sistemi naturali con i sistemi sociali [n. 27], i rischi dello shortenismo che spinge alla ricerca del massimo profitto al minor costo e nel minor tempo possibili [N. 13], la realtà di un mondo in cui “tutto è collegato” [N. 19] in un sistema di interdipendenze globali sbilanciato sugli interessi dei più forti, la preoccupazione per le generazioni future [N. 33] sono facilmente declinabili nella preoccupazione ad educare professionisti e cittadini consapevoli di potere, a loro volta, ‘dare il loro prezioso contributo’. Penso, ad esempio, a come nella formazione manageriale, i temi della sostenibilità ambientale, analizzata e progettata nel suo denso intreccio con la sostenibilità sociale, debbano essere considerati centrali. O a come, nella preparazione di quella che usiamo chiamare la futura classe dirigente, sia prioritario dedicare attenzione alle grandi sfide sociali del mondo contemporaneo - il contrasto delle diseguaglianze, la governance della mobilità umana, la dignità del lavoro, il futuro dei sistemi sanitari e di welfare - solo per citarne alcune. Tuttavia, forse ancor più importante è sottolineare il ruolo che l’Università – e l’Università Cattolica in special modo – è chiamata a giocare con convinzione e consapevolezza rispetto ad alcune preoccupazioni che traspaiono, anche se non sempre direttamente esplicitate, dall’Esortazione. Tre in particolare.
In primo luogo, la produzione e la diffusione di conoscenze saldamente ancorate alla ricerca scientifica e ai principi dell’umanesimo integrale, capaci di imporsi nella giungla delle fake news e di un’informazione superficiale che alimenta la confusione, la diffidenza, la disillusione, dando così fiato a quella tendenza a negare, nascondere, relativizzare, ridicolizzare i segni del cambiamento climatico [N. 5 e 58].
Collegato a questo, l’impegno a rendere intelligibili a tutti le grandi trasformazioni che ci stanno intorno, attraverso un paziente esercizio di “traduzione” delle informazioni e dei saperi: coerente con la tradizione del nostro Ateneo (penso in particolare alle innumerevoli iniziative nei campi della formazione permanente e della promozione culturale), tale compito è oggi chiamato a rinnovarsi per rendere la nostra società non solo più inclusiva, ma anche più autenticamente democratica [N. 43].
Infine, dalla lettura della Laudate Deum colgo un incoraggiamento a ridefinire il senso del nostro lavoro coi più giovani e della nostra stessa presenza nell’arena pubblica proprio attraverso l’“offerta di senso”. Il senso della vita, del lavoro e dell’impegno [N. 33], da afferrare nel confronto con l’universo e le sue molteplici relazioni [N. 63] e attraverso la bellezza che c’è nel mondo, sulle orme di Gesù che, “quando percorreva ogni angolo della sua terra, si fermava a contemplare la bellezza seminata dal Padre suo, e invitava i discepoli a cogliere nelle cose un messaggio divino” [N. 64].