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Linfedema, come esito di tumori riguarda fino al 60% dei pazienti oncologici

26 settembre 2025

Linfedema, come esito di tumori riguarda fino al 60% dei pazienti oncologici

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A livello globale oltre 200 milioni di persone soffrono di linfedema, caratterizzato da un accumulo cronico di liquidi dovuto al danno dei vasi linfatici. La forma secondaria, legata soprattutto ai tumori e ai trattamenti oncologici, rappresenta oltre il 90% dei casi ed è la più frequente nei Paesi occidentali, con un’incidenza che varia dal 5% al 60% a seconda del tipo di tumore, delle terapie ricevute e della durata del follow-up. Un’analisi condotta su oltre 3400 pazienti con tumore in fase avanzata ha stimato una prevalenza complessiva di linfedema o gonfiore degli arti intorno al 19%. Nei tumori ginecologici, il linfedema interessa soprattutto gli arti inferiori, con incidenza compresa tra l’1% e il 49% e rappresenta una delle complicanze più frequenti e impattanti nei percorsi di cura.

Sono alcuni dei dati riferiti dalla Professoressa Antonia Carla Testa, Associata di Ginecologia e Ostetricia presso l'Università Cattolica, Responsabile della Unità di Ginecologia Ambulatoriale e Preventiva presso il Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, in occasione del workshop "Linfedema in Ginecologia Oncologica" che si tiene il 26 settembre presso la Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, Roma, organizzato in collaborazione l’Associazione Resilia ETS.

Una recente metanalisi che ha incluso 46 studi pubblicati nell’arco di oltre quarant’anni ha riportato tassi di incidenza variabili: dal 7,8% al 55,9% nel carcinoma della cervice uterina, dall’1,2% al 47% nell’endometrio, dal 5,6% al 30,4% nell’ovaio e dal 10,1% al 43% nei tumori della vulva e della vagina. Alcuni studi sui tumori vulvari registrano incidenze fino al 70%, confermando per questa sede il triste primato tra i tumori ginecologici. Questa grande variabilità riflette la mancanza di un metodo standardizzato per la diagnosi e la valutazione del linfedema, rendendo urgente lo sviluppo di strumenti condivisi e validati, sottolinea la Professoressa Paola Villa, Università Cattolica e Responsabile dell’UOSD Qualità della vita, Terapie integrate e Sorveglianza oncologica.

Il rischio di linfedema dipende da fattori specifici, come il numero e la sede dei linfonodi asportati, la radioterapia adiuvante, il sovrappeso e la comparsa di complicanze post-operatorie. Conoscere questi elementi consente di orientare la prevenzione.

L’introduzione della mappatura del linfonodo sentinella ha rappresentato un passo avanti decisivo: “Rimuovendo solo i linfonodi che drenano direttamente l’area tumorale si riduce in modo sostanziale il rischio di linfedema, fino a cinque volte rispetto alla linfoadenectomia sistematica. Approcci mininvasivi come laparoscopia e robotica riducono ulteriormente il trauma chirurgico, così come la chirurgia selettiva dei linfonodi patologici — oggi identificabili anche con ecografia intraoperatoria — e le tecniche di ricostruzione linfatica immediata per la prevenzione del linfedema rappresentano un importante fronte di innovazione e una concreta evoluzione dell’offerta di cura, con un vantaggio reale per le donne che oggi hanno bisogno di cure oncologiche”, spiega la Professoressa Giorgia Garganese, Associata all’Università Cattolica, e Responsabile dell’Unità di Chirurgia degli Organi Genitali Esterni Femminili in Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e del Centro di Ricerca Unversitario Women’s Health Center For Digital and Personalized Medicine.

La chirurgia plastica ricostruttiva aggiunge ancora nuove prospettive. “Con la microchirurgia e la supermicrochirurgia possiamo creare nuovi canali di drenaggio, ridurre il volume dell’arto, prevenire le infezioni ricorrenti e restituire libertà di movimento” spiega il Professor Stefano Gentileschi (nella foto a destra), Associato di Chirurgia Plastica all’Università Cattolica e Direttore dell’Unità di Chirurgia Plastica del Gemelli. “Nei casi di eccesso di tessuto adiposo o fibroso, tecniche mirate di liposuzione consentono di alleggerire il carico. La selezione accurata delle pazienti e un percorso integrato pre- e post-operatorio restano fondamentali per il successo terapeutico.”

Accanto alla chirurgia, il workshop ha posto l’accento sulle strategie conservative: terapia decongestiva complessa, elasto-compressione, linfodrenaggio manuale ed esercizio fisico — soprattutto in acqua — che restano i cardini del trattamento, arricchiti da integratori ad azione antinfiammatoria e drenante e da terapie complementari come pressoterapia, taping, tecarterapia e agopuntura.

Anche la nutrizione si conferma un tassello cruciale: “sovrappeso e obesità sono tra i principali fattori di rischio: una dieta ipocalorica e antinfiammatoria, ricca di fibre, alimenti fermentati, omega-3 e polifenoli, migliora in modo significativo la sintomatologia. Nuove strategie, come digiuno intermittente o dieta chetogenica, sono oggi allo studio per ridurre l’infiammazione e modulare il microbiota” sottolineano gli esperti coinvolti.

Fondamentale poi la voce dei pazienti, rappresentata da Maria Antonietta Salmè, presidente di Resilia ETS: “Il razionale di questo incontro è mettere in connessione la cura e la ricerca con la persona colpita dal linfedema secondario. Non si tratta solo di gestire una complicanza, ma di riconoscerne l’impatto esistenziale, sviluppando un modello di tutela olistica che integri discipline diverse e sappia dare risposte concrete alle donne.”

Il workshop ribadisce l’importanza del lavoro in equipe multidisciplinare — ginecologi oncologi, chirurghi plastici, fisioterapisti, angiologi, fisiatri, dietisti — e ha richiamato l’appello dell’International Society of Lymphology (ISL) per la sorveglianza regolare dei pazienti oncologici, con valutazioni preoperatorie e monitoraggi periodici per intercettare il linfedema nelle fasi iniziali.

“Incontri come questo mettono in luce quanto sia forte l’esigenza di realizzare un percorso di riferimento dedicato alla cura del linfedema nelle pazienti oncologiche” conclude la Professoressa Anna Fagotti, Ordinaria dell’Università Cattolica e Direttrice della Ginecologia Oncologica del Policlinico Gemelli. “Un percorso che sappia integrare assistenza clinica, ricerca e formazione: una prospettiva verso la quale vogliamo impegnarci, perché risponde a un bisogno reale delle pazienti.”

Nella foto in alto, da sinistra: le Professoresse Antonia Carla Testa, Paola Villa, Anna Fagotti, Giorgia Garganese e la Dottoressa Simona Maria Fragomeni

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Redazione

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