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Massimo Cosentino: i chiostri e il calcio tra sogni e passioni

04 aprile 2022

Massimo Cosentino: i chiostri e il calcio tra sogni e passioni

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Ci sono luoghi importanti, spesso fondamentali, nella vita di ognuno di noi. Perché se è vero che la felicità è una direzione, non un luogo, è altrettanto certo che portiamo dentro di noi i luoghi della nostra vita. Fino a sentire il bisogno di tornarci. È capitato così a Massimo Cosentino, il cui luogo del cuore è Sion, la capitale del Canton Vallese. Cosentino è nato e cresciuto nella cittadina svizzera, circa 35mila abitanti, fondata dai romani dove il torrente Sionne confluisce nel Rodano. E oggi è il direttore generale del Football Club de Sion, uno dei club più antichi della Super League, la Serie A elvetica.

«Volevo fare il diplomatico – racconta –, fa sorridere ma è così. Mia mamma lavorava agli Esteri in Svizzera, quindi ho sempre vissuto l’ambiente consolare e le ambasciate. Quando è arrivato il momento di scegliere l’università, non ho avuto dubbi. Mio papà iniziò a frequentare Scienze politiche alla Cattolica a Milano. Ma avendo un papà giovane, quando nacqui io non poté più proseguire gli studi, e abbandonò. Per questo mi sono iscritto a Scienze politiche in Cattolica. Ho solo ricordi meravigliosi dell’università, tra i chiostri, con il sole. Anni spensierati, e una preparazione notevole. Tornando recentemente in Cattolica (per l’incontro Calcio & geopolitica. Come e perché i Paesi e le potenze usano il calcio per i loro interessi geopolitici globali, ndr), è stato impossibile non ripensare a docenti indimenticabili. Come Lorenzo Ornaghi o Vittorio Emanuele Parsi, che negli anni è diventato un amico».  

 

Dopo la laurea, Cosentino è volato a Madrid per frequentare un master alla Universidad Rey Juan Carlos realizzato in collaborazione con il Real Madrid. Ma dopo Sion e Milano, non è la capitale spagnola il terzo luogo chiave nella sua vita. «Come nello sport, anche a livello professionale ci vuole tanto lavoro e una buona dose di fortuna. Dopo il master mi sono ritrovato a Torino per una serie di motivi personali. Il Toro era appena fallito, sono andato a bussare alla porta del team di Urbano Cairo, il nuovo proprietario. “Verrei a lavorare anche gratuitamente per voi”, e così è stato. Ho iniziato la mia carriera al Torino, in Serie B, ricoprendo le mansioni più disparate».

Rimanendo inizialmente in Piemonte, Cosentino è passato al Novara, poi alla Sampdoria e infine all’Inter, dove è stato segretario generale del club durante lo scoppio della pandemia. Ecco Milano, di nuovo. «L’Inter è una grandissima macchina organizzativa, nella quale non puoi fare a meno di confrontarti con le altre anime della società. Vieni catapultato in un contesto di una dimensione superiore e hai a che fare con un gruppo di lavoro di più di trenta persone, che corrisponde al totale dei dipendenti di molti altri club. E poi il mio incarico all’Inter è coinciso con uno dei periodi più complicati nella storia del nostro Paese. A marzo 2020 non si capiva quasi nulla di quello che stavamo vivendo. Non si sapeva se si dovesse giocare o meno, non si aveva contezza dell’entità di questo virus. In una situazione caotica, siamo stati invitati a scendere in campo con la Juventus a Torino. Così come è stato un contesto blindato, surreale, quello in cui abbiamo giocato la finale di Europa League a Colonia a porte chiuse».

Nell’estate del 2021 Cosentino ha lasciato Milano. Per tornare 230 chilometri più a nord, a Sion. Questa volta, come direttore generale del club cittadino. «Erano un paio d’anni che mi sentivo con la proprietà di questa squadra, piccola ma simbolica per la mia vita. Una parte di me ha sempre fatto il tifo per il Sion. Avevo bisogno di misurarmi con un nuovo Paese e contemporaneamente di respirare un po’ rispetto ai livelli di stress a cui sei sottoposto in un top club italiano. È stato come tornare a casa».

In effetti, ben prima di iscriversi alla Cattolica o di quella porta aperta inaspettatamente a Torino, a Sion è incominciato tutto. «I miei genitori non hanno mai seguito il calcio. Ma è stato proprio lo sport, da piccolo, a conquistarmi. In Svizzera a scuola si faceva tantissima attività sportiva. Solo che a hockey non ero bravo, a calcio avevo qualche idea in più e allora… È stato un amore naturale. E poi negli anni Ottanta non c’erano i videogiochi: bastava un pallone, anche di pezza o di carta. Si giocava a calcio perfino con le pigne».

Da allora, molto è cambiato. Nell’era delle partite di calcio in 4K, chiediamo a Cosentino qual è la sfida dei nostri giorni. Lui non ha dubbi: «Rimanere tradizionali cercando sempre l’innovazione. Vale per il mondo del calcio così come per l’università. I ragazzi di oggi una partita non la guardano, sono avanti. Mentre sono davanti al televisore, o al tablet, hanno un altro dispositivo in mano. Oppure ascoltano la musica. La sfida è integrare questa generazione in un contesto tradizionale, ma dando loro la possibilità di esprimersi».

 

 


Photo: Prise de vue sur le stade de Tourbillon à Sion depuis Valère 
Credits: Author- Jamcib (CC BY-SA 4.0)

Un articolo di

Francesco Berlucchi

Francesco Berlucchi

Cattolicaper lo Sport

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