Dopo la laurea, Cosentino è volato a Madrid per frequentare un master alla Universidad Rey Juan Carlos realizzato in collaborazione con il Real Madrid. Ma dopo Sion e Milano, non è la capitale spagnola il terzo luogo chiave nella sua vita. «Come nello sport, anche a livello professionale ci vuole tanto lavoro e una buona dose di fortuna. Dopo il master mi sono ritrovato a Torino per una serie di motivi personali. Il Toro era appena fallito, sono andato a bussare alla porta del team di Urbano Cairo, il nuovo proprietario. “Verrei a lavorare anche gratuitamente per voi”, e così è stato. Ho iniziato la mia carriera al Torino, in Serie B, ricoprendo le mansioni più disparate».
Rimanendo inizialmente in Piemonte, Cosentino è passato al Novara, poi alla Sampdoria e infine all’Inter, dove è stato segretario generale del club durante lo scoppio della pandemia. Ecco Milano, di nuovo. «L’Inter è una grandissima macchina organizzativa, nella quale non puoi fare a meno di confrontarti con le altre anime della società. Vieni catapultato in un contesto di una dimensione superiore e hai a che fare con un gruppo di lavoro di più di trenta persone, che corrisponde al totale dei dipendenti di molti altri club. E poi il mio incarico all’Inter è coinciso con uno dei periodi più complicati nella storia del nostro Paese. A marzo 2020 non si capiva quasi nulla di quello che stavamo vivendo. Non si sapeva se si dovesse giocare o meno, non si aveva contezza dell’entità di questo virus. In una situazione caotica, siamo stati invitati a scendere in campo con la Juventus a Torino. Così come è stato un contesto blindato, surreale, quello in cui abbiamo giocato la finale di Europa League a Colonia a porte chiuse».
Nell’estate del 2021 Cosentino ha lasciato Milano. Per tornare 230 chilometri più a nord, a Sion. Questa volta, come direttore generale del club cittadino. «Erano un paio d’anni che mi sentivo con la proprietà di questa squadra, piccola ma simbolica per la mia vita. Una parte di me ha sempre fatto il tifo per il Sion. Avevo bisogno di misurarmi con un nuovo Paese e contemporaneamente di respirare un po’ rispetto ai livelli di stress a cui sei sottoposto in un top club italiano. È stato come tornare a casa».
In effetti, ben prima di iscriversi alla Cattolica o di quella porta aperta inaspettatamente a Torino, a Sion è incominciato tutto. «I miei genitori non hanno mai seguito il calcio. Ma è stato proprio lo sport, da piccolo, a conquistarmi. In Svizzera a scuola si faceva tantissima attività sportiva. Solo che a hockey non ero bravo, a calcio avevo qualche idea in più e allora… È stato un amore naturale. E poi negli anni Ottanta non c’erano i videogiochi: bastava un pallone, anche di pezza o di carta. Si giocava a calcio perfino con le pigne».
Da allora, molto è cambiato. Nell’era delle partite di calcio in 4K, chiediamo a Cosentino qual è la sfida dei nostri giorni. Lui non ha dubbi: «Rimanere tradizionali cercando sempre l’innovazione. Vale per il mondo del calcio così come per l’università. I ragazzi di oggi una partita non la guardano, sono avanti. Mentre sono davanti al televisore, o al tablet, hanno un altro dispositivo in mano. Oppure ascoltano la musica. La sfida è integrare questa generazione in un contesto tradizionale, ma dando loro la possibilità di esprimersi».
Photo: Prise de vue sur le stade de Tourbillon à Sion depuis Valère
Credits: Author- Jamcib (CC BY-SA 4.0)