L’allenatore dell’Atalanta dialoga con Alberto Krali, docente di Lingua tedesca all’Università Cattolica, e racconta i tre ingredienti del suo successo. «Storicamente, a Bergamo l’obiettivo era la salvezza. Si lavorava con giocatori di categoria per ottenere il risultato. Ogni tanto si lanciava qualche giocatore forte, come Gaetano Scirea e Roberto Donadoni. Ma quello che, a un certo punto, ci ha permesso di andare oltre, è stata un’idea: puntare sui giovani, proporre una nuova organizzazione di gioco (un calcio moderno, ndr), ed essere consapevoli di giocare per qualcuno. Non è stato facile, nonostante la voglia della proprietà. Quando siamo partiti, ho rischiato fortemente: è andata bene». La mentalità ha fatto la differenza. «Generalmente le squadre di bassa classifica puntavano a difendersi» prosegue Gasperini. «Ho cercato di portare in campo il calcio che piace a me, aggredendo l’avversario. All’inizio non è andata sempre bene: a Milano, con l’Inter, abbiamo preso sette gol; a Zagabria ne abbiamo subiti quattro, cinque contro il Manchester City. La sera non dormivo, ma ero convinto che l’idea fosse superiore dei risultati. Lo sport, del resto, ti insegna a perdere».
Queste tre caratteristiche hanno fatto fare il salto di qualità all’Atalanta, grazie anche alla «voglia di fare qualcosa di diverso». Perché, come ripete Gasperini, «il successo e il risultato sono cose ben diverse: il risultato è alla portata di tutti, il successo arriva dopo. Il vero succo dello sport è lavorare per migliorarsi sempre, giorno per giorno. Studiando e giocando di squadra. Con capacità di reazione, accettando gli errori, che non sono sinonimo di fallimento». All’incontro, fortemente voluto anche da Mario Agostino Maggioni, direttore del Dipartimento di Economia internazionale, delle istituzioni e dello sviluppo della Facoltà di Scienze politiche e sociali e coordinatore del programma di studio, hanno partecipato Lars Börner, docente alla Martin-Luther-Universität Halle-Wittenberg, Battista Severgnini, docente alla Copenhagen Business School, Martin Klein, emeritus alla Martin-Luther-Universität Halle-Wittenberg.
Tra le testimonianze degli alumni del Double-degree, che sono in tutto oltre 120, Alberto ricorda «la sfida di fare la tesi in Diritto internazionale in lingua tedesca» e «la grande utilità di questo percorso, che mi ha dato la possibilità di vivere a Vienna per due anni, lavorando prima presso la Missione Permanente della Santa Sede e poi all’Osce, l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa». Marta sottolinea che il Double degree è stato «molto formativo anche umanamente». Oggi lavora in un’azienda che produce acciai, si occupa di automotive e utilizza quotidianamente il tedesco. Laura, invece, invia un suo videomessaggio. Vive in Germania, e dice di aver scelto questo programma «per ampliare le mie conoscenze sulle altre culture». Dopo la laurea, ha subito trovato lavoro al Boston Consulting Group a Monaco di Baviera. Martina, infine, lavora alla Camera di Commercio Italo-Tedesca, dove è senior project manager, e suggerisce di studiare la lingua tedesca, «è un vantaggio competitivo molto forte sul mercato del lavoro».
Al termine del Double degree, gli studenti ottengono due titoli: la laurea magistrale in “Politiche Europee e Internazionali” all’Università Cattolica, e il Master of Science "Europäische und internationale Wirtschaft" alla Martin Luther Universität di Halle-Wittenberg. «Oggi mi porto a casa due insegnamenti straordinari» conclude il professor Merzoni. «La capacità di reagire, di non buttarsi giù quando le cose non vanno bene, e il coraggio, che permette di vincere la paura». Quelle qualità che a Bergamo non mancano di certo, dentro e fuori dal campo. Come il mondo intero ha imparato, durante la pandemia. L’Atalanta di Gasperini ce lo ha ricordato, proprio contro i campioni di Germania, in una notte di primavera, all'Aviva Stadium di Dublino. La notte in cui la Dea è entrata, definitivamente, nella storia.