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Matteo Ricci e Xu Guangqi: un'amicizia che cambiò il mondo

15 febbraio 2022

Matteo Ricci e Xu Guangqi: un'amicizia che cambiò il mondo

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La prima opera tradotta in cinese da padre Matteo Ricci è stato un trattato sull’amicizia. Ecco il ponte simbolico che rende possibile l’incontro tra due culture fino ad allora sideralmente distanti come l’Impero cinese e il mondo occidentale, un legame di sincera amicizia tra due persone interessate a scoprire l’altro: il gesuita Matteo Ricci e il funzionario intellettuale mandarino Xu Guangqi. Su questo rapporto si è incentrato il webinar organizzato nell’anno della Cultura e del Turismo Italia-Cina dall’Associazione Alumni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e dal Comitato Internazionale Alumni UCSC – Far&Middle East, aperto da Antonella Sciarrone Alibrandi, prorettore vicario dell’Ateneo e moderato da Hermes Pazzaglini, Partner presso ADVANT Nctm, collegato da Shanghai.

La storia dell’amicizia tra Ricci e Guangqi mostra il potenziale del dialogo interculturale meglio di tanti tentativi diplomatici: «Il De Amicitia riformula la regola aurea del pensiero cristiano del “Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te stesso” -sottolinea l’ambasciatore italiano in Cina Luca Ferrari aprendo l’incontro-, un concetto simile lo aveva espresso lo stesso Confucio e Guangqi stesso collaborò alla traduzione dei suoi scritti in latino: due culture dialogando si scoprono più simili di quanto pensassero. Sento su di me il compito di portare avanti l’eredità di questo dialogo».

Eppure, agli inizi del 1600 l’incontro interculturale non fu semplice. La famosa “Carta geografica completa di tutti i regni del mondo”, commissionata dall’imperatore Wanli a padre Ricci mise in discussione non poche delle certezze del sapere cinese tradizionale. «La mappa rappresentava la Cina al centro del mondo -spiega Zhaoguang GE, professore della Fudan University di Shanghai- ma per la prima volta la inseriva proporzionalmente nel resto del mondo rompendo la tradizione cinese e scatenando le polemiche di molti burocrati. Fino ad allora infatti la Cina si era sempre considerata l’unica nazione del mondo e riteneva i paesi confinanti abitati da barbari da governare con sistemi di vassallaggio e tributi». Inoltre la Terra veniva rappresentata tonda, proponendo una visione del mondo alternativa a quella del confucianesimo, incidendo non solo sull’astronomia ma anche sulla sfera sacra: per i cinesi infatti era un grande coperchio tondo sopra la terra, concepita come un quadrato.

«Ricci fu l’interprete di una straordinaria stagione missionaria -sottolinea Elisa Giunipero, docente di Storia della Cina e direttore dell’Istituto Confucio dell’Università Cattolica-, ma senza la figura di Xu Guangqi non avrebbe potuto fare tutto quello che ha fatto. Fu un grande ed eclettico studioso, la cui opera omnia è raccolta in oltre 10 volumi, e aderì alla fede cattolica in un momento di grande incertezza politica e spirituale dovuta al declino della dinastia Ming ritenendola la risposta migliore per completare gli insegnamenti del confucianesimo». Xu Guangqi aiutò i missionari gesuiti a comprendere la cultura cinese, il rapporto con Ricci li rese amici, maestri e discepoli l’uno dell’altro. «Scienza e fede erano due rami dello stesso sapere per entrambi -spiega Giunipero-, da questa impostazione nacque “Tianxue”, gli Studi Celesti: l’insieme degli insegnamenti portati in Cina dai missionari gesuiti. Una visione del mondo nuova e condivisa è stata il cuore della loro amicizia».

Basti pensare che tuttora in cinese moderno la parola usata per indicare la geometria è “Jǐhé”, termine coniugato proprio da Ricci e Guangqi, che per ben due anni lavorarono alla traduzione degli “Elementi di geometria” di Euclide. «Entrambi erano cristiani e questo non è marginale -evidenzia Padre Federico Lombardi, scrittore emerito de “La Civiltà Cattolica”-. Guangqi si convertì perché vide in Ricci un modello di sintesi tra scienza, vita morale, virtuosa e religione. Si identificò con la nuova religione tanto da esporsi in prima persona per salvare i missionari durante le prime persecuzioni contro di loro. Non dico che il cristianesimo sia sempre stato promotore di fecondi incontri tra culture. Tanti tra i missionari cattolici guardavano le popolazioni locali con supponenza, riponendo più fiducia nelle armi che nel Vangelo. Ma l’incontro tra Ricci e Guangqi è uno dei punti d’incontro più belli nella storia di Oriente e Occidente, alimentato da una fede vissuta intensamente e libera dalla ricerca di potere. Ricci e i suoi compagni provavano grande rispetto per la cultura cinese, desideravano conoscerla e fu proprio grazie a questo atteggiamento se riuscirono a entrare in confidenza con i cinesi».

Un articolo di

Michele Nardi

Michele Nardi

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