Già solo il titolo fa capire tutto. Il progetto “Sguardo Oltre il carcere” vuole superare sbarre e stereotipi classici della giustizia carceraria: cogliere il punto di vista di tutti i soggetti coinvolti e trovare modi per far funzionare meglio un mondo complesso come quello del carcere. Con un elemento di difficoltà in più: il progetto, iniziato nel 2018 e finanziato dalla Agenzia Italiana per la Cooperazione Internazionale e a cui l’Università Cattolica partecipa come partner scientifico e amministrativo attraverso il Centro di Ateneo per la Solidarietà Internazionale (CeSI), si muove nel contesto del Camerun. Un paese dove la situazione di detenuti ed ex detenuti è particolarmente problematica.
«In Camerun si va in prigione per aver rubato un portafoglio, anche se sei minorenne -racconta la dott.ssa Oana Marcu, ricercatrice che ha partecipato alle attività sul campo per l'Università Cattolica-. Esiste una legge sulle pene alternative già approvata ma che dopo quattro anni non ha ancora un decreto attuativo. Nel paese c’è un grave problema di sovraffollamento delle carceri, entrarci è un’esperienza molto comune, anche per la lentezza dei processi giudiziari».
Il progetto ora si trova nelle sue fasi finali. La dott.ssa Marcu, dopo due visite in Camerun nelle città di Douala, Mbalmayo, Garoua e Bafoussam svolte nei mesi di novembre e dicembre 2018, si è occupata della somministrazione di interviste a testimoni privilegiati e ha realizzato un percorso di formazione sulla realizzazione di interviste semi strutturate a 8 operatori locali nelle città di Mbalmayo e Douala. «Avevamo bisogno di capire il contesto – spiega Marcu-, comprendere come le persone rappresentano e percepiscono la città, che tipo di quartiere ospita le carceri. Gli intervistatori locali hanno realizzato e trascritto 100 interviste, per cui abbiamo predisposto report di analisi. Ora siamo nella fase finale della seconda parte del progetto. Nella prima parte abbiamo fornito indicazioni per le attività di progetto. Per esempio su che tipo di strutture esistono e cosa sarebbe necessario attivare per favorire il processo di reinserimento nella società di ex detenuti oppure che tipo di comunicazione occorre implementare per contrastare la stigmatizzazione dei detenuti. Ora stiamo analizzando la seconda tranche di interviste che abbiamo realizzato tra gennaio e febbraio per cogliere cosa è cambiato in questi anni di attività».
Il Camerun è stato scelto come sede del progetto per l’esperienza dell’ente capofila, il Centro Orientamento Educativo (COE), presente da anni nel paese e con all’attivo già altri progetti sul tema. «Prima di questa ricerca le realtà del terzo settore locale non avevano i finanziamenti per eseguire analisi simili – sottolinea Marcu-. Ora è aumentata la percezione generale sull'importanza di attivare processi di reinserimento già durante il periodo di carcerazione e sostenere le persone attraverso formazione e tirocini. Purtroppo però permane un’idea del detenuto come individuo che ha commesso uno sbaglio e che deve fare qualcosa per cambiare, senza prendere in considerazione gli aspetti sociali e di contesto che spingono al crimine».
Uno dei punti focali di “Sguardo oltre il carcere” è proprio accendere la luce sul punto di vista dei protagonisti del processo di reinserimento, i detenuti. «Leggendo le loro interviste abbiamo colto forse per la prima volta il loro punto di vista, spesso estremamente competente e interessante -conclude Marcu-. Per me questa è la grande motivazione del mio lavoro di ricerca: riuscire a cogliere il punto di vista dei protagonisti della realtà che indaghiamo, riuscire a raccontarlo e metterlo a frutto affinché diventi un suggerimento per far funzionare meglio le cose».