Sul «duplice servizio alla scienza e alle istituzioni» dell’economista inglese - che contraddistingue gli studiosi capaci di cogliere «i sentieri più utili per affrontare le questioni dirimenti per il futuro dell’umanità» - si è soffermato il rettore dell’Università Cattolica Franco Anelli. «L’importanza di questa laurea honoris causa è legata sia alla produzione scientifica del professor Stern, sia al suo approccio nel comprendere, analizzare e diffondere le ricerche scientifiche». Secondo il rettore Anelli «c’è un significativo punto di contatto tra l’approccio del lavoro di Lord Stern e le riflessioni del Papa Francesco». Infatti, «pur diverse per modalità e finalità, la Stern Review e l’enciclica Laudato si’ del Santo Padre pongono entrambe l’attenzione sulla complessità del problema ambientale suggerendo di affrontarlo con un approccio integrale». Difatti, ha osservato il rettore Anelli, «solo un’azione concordata tra politica e scienza (economica) può aiutare a trovare soluzioni alle crisi nelle quali siamo immersi. Ciò vale non solo per i problemi ambientali, ma per tutti gli ambiti del vivere sociale: basti pensare alla gestione della pandemia e, per molti versi, anche alla guerra in Ucraina. Da questo punto di vista, il ruolo delle università resta cruciale, specie se ispirate da quella “visione ampia” che Papa Francesco ci invita ad adottare non solo nelle nostre ricerche, ma anche nella vita quotidiana (Laudato si’, n. 197)». E l’«approccio poliedrico» che da sempre guida l’attività di Stern è «un modello da seguire per le nostre studentesse e i nostri studenti».
Lord Stern non ha nascosto le sue preoccupazioni nei confronti di un «modello di crescita e di sviluppo» che finora si è rivelato fallimentare e distruttivo per l’intero pianeta, e a discapito delle nuove generazioni. Secondo l’economista inglese ci troviamo in un «momento storico cruciale» che chiama a un «agire insieme», favorito da un «nemico comune»: cambiamento climatico e distruzione della biodiversità. Per questo, a suo avviso serve una «nuova forma di crescita e sviluppo, molto più produttiva, efficiente, attraente rispetto ai percorsi distruttivi del passato». E per fare in modo che questo accada vanno indentificate strategie chiave per le quali è fondamentale «mettere in campo le nostre capacità economiche, tecnologiche, politiche e organizzative». Insomma, un cambiamento di paradigma nei nostri sistemi economici i cui motori devono essere investimenti e innovazione. «Dobbiamo investire per cambiare i nostri sistemi energetici, il modo in cui organizziamo i trasporti e il funzionamento delle nostre città. Dobbiamo cambiare i nostri sistemi di utilizzo del territorio, compreso il ripristino delle terre e delle foreste degradate». Citando uno studio di alcuni colleghi della LSE, Stern ha aggiunto che gli investimenti «potrebbero comportare un aumento del tasso di investimento nei Paesi più ricchi di 2 o 3 punti percentuali del Pil» mentre «per i mercati e le economie emergenti sarebbero dell’ordine di 4 o 5 punti percentuali del loro prodotto interno lordo».
Investimenti, dunque, resi possibili dalla «collaborazione tra il settore privato e quello pubblico». Ma che vanno però accompagnati anche da un’attenta analisi economica, dalla responsabilità sociale e da un uso diverso degli strumenti economici a disposizione. Per esempio, ha precisato Stern, «dovremo rivedere il nostro approccio alla geografia economica ed esaminare l'economia e le dinamiche del cambiamento dei sistemi, anche nelle città e nel territorio. Fortunatamente i nostri economisti più giovani stanno iniziando a guardare a questi temi in modo nuovo, ma temo che la nostra professione, soprattutto a livello senior, possa essere troppo conservatrice per cambiare al ritmo necessario».