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Professioni della comunicazione. Cosa sta cambiando?

16 giugno 2021

Professioni della comunicazione. Cosa sta cambiando?

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Presentata, nell'ambito della Open Week Master &Postlaurea, l’edizione 2021 del Libro Bianco delle Professioni della Comunicazione, la pubblicazione biennale curata da Almed - Alta Scuola in Media Comunicazione e Spettacolo, che dal 2016 monitora il settore e i cambiamenti relativi alle professioni della comunicazione col fine – triplice – di fotografare l’andamento del mercato del lavoro nel comparto della comunicazione e dei media; dialogare con le imprese per aggiornare la formazione in relazione alle neonate esigenze che il mercato di settore esprime; e fornire uno strumento di orientamento utile ai giovani, ma non solo, che si affacciano al mondo del lavoro.

La terza edizione del "Libro Bianco "è disponibile in formato elettronico e open access (clicca qui per scaricare il volume), in linea con le policy di terza missione, e con l’obiettivo di rendere ampiamente accessibili i risultati di ricerca avviata cinque anni fa con l’obiettivo di consolidare i ponti che uniscono professioni, aziende e istituzioni con la formazione post graduate universitaria.

Da un lato la rivoluzione digitale in atto nell’ultimo decennio, dall’altro i colpi ben assestati da parte della pandemia mondiale, il DNA delle aziende della comunicazione va modificandosi progressivamente.


A constatarlo nell’introduzione al webinar di presentazione della ricerca è stato Marco Lo Conte, giornalista e social media editor de Il Sole24Ore, che ha riflettuto: «Mentre prima il giornalista era l’unico intermediario tra la notizia e il pubblico destinatario, oggi l’infosfera sempre più articolata e il proliferare di piattaforme digitali che moltiplicano le occasioni di informazione (talvolta a scapito di qualità e attendibilità), hanno imposto un cambio di passo a tutti i professionisti della comunicazione».

Nel merito del progetto di monitoraggio delle professioni, di cui il Libro Bianco è l’esito, è entrata Mariagrazia Fanchi, direttrice di Almed. «La ricerca si articola in 4 parti e descrive sia i cambiamenti incoraggianti che stanno investendo la comunicazione e della cultura, sia le criticità del settore. La prima parte è una fotografia del comparto effettuata tramite la raccolta di testimonianze, e ambisce ad essere una mappa destinata ai giovani che si devono orientare per entrare nel mercato di settore. Sono descritti i criteri e competenze oggi richiesti».

I cambiamenti rispetto al passato sono stati dettati anche dalla recente crisi sanitaria che ha contribuito a ridisegnare la filiera e sue logiche. «La seconda sezione presenta i risultati dell’indagine che ha coinvolto 149 imprese della comunicazione e della cultura per fornire una visione prospettica dei cambiamenti; mentre la terza ricerca riguarda la previsione occupazionale ed è articolata in tre indagini condotte su 1500 ragazzi di età tra 16 e i 25 anni in procinto di affacciarsi al mondo del lavoro, residenti in tutta Italia. Il quarto ed ultimo focus riguarda i grandi temi attuali: l’inclusione e il bilanciamento tra uguaglianza e disuguaglianza di genere nell’ambito della comunicazione» precisa Fanchi.

Voce ai partner delle ricerche succitate, con Lucio Dionisi, Responsabile ufficio stampa/media relation Gruppo Credem.

«Si tratta di un’opera che andava fatta anche per aiutare le persone nel processo di comprensione dei mestieri. Troppo spesso si tende a pensare per comunicare basti il talento. Ci vuole attitudine, certo, ma parlare e scrivere non basta per essere professionisti e considerarsi opinion leader nel processo di circolazione della informazioni e di generazione del consenso. La ricerca aumenta quindi la consapevolezza dei meccanismi che si celano dietro la comunicazione e comportamenti» ha fatto notare Dionisi.

Per Marianna Ghirlanda, Presidente Centro Studi UNA, associazione che riunisce le aziende che si occupano di comunicazione commerciale «La pandemia ha fornito una spinta evolutiva al nostro settore. Ai futuri professionisti della comunicazione digitale saranno richieste le cosiddette softskills, la voglia di continuare ad aggiornarsi e formarsi, l’attitudine ad apprendere conterà molto più delle competenze hard, tecniche, e sarà quella che favorirà il successo lavorativo. Altro tema cardine: il gender gap».

La ricerca stima infatti che nelle società delle comunicazione le impiegate femminili sono il 57% del totale, ma la percentuale scende al 32% e 36% quando si parla di board director e dirigenti. Il 97% dei contratti di lavoro part-time riguarda le donne, mentre sono rarissime - e perlopiù all’interno di grandissime aziende - le richieste di congedo parentale da parte dei padri. Elementi però lasciano intuire che le fasce di lavoratori più giovani potrebbero sviluppare un’attitudine diversa

Argomenti che devono essere trasposti e implementati a livello di best practice anche livello istituzionale. E a confermarlo Diana De Marchi, Presidente Commissione Pari Opportunità e Diritti Civili Comune di Milano, che ha sottolineato come «Grazie a queste ricerche ricaviamo modelli che sostengono e indirizzano il nostro lavoro. Ne un esempio il Bilancio di genere che abbiamo introdotto e a cui guardiamo per fare in modo che tutte le nostre azioni siano studiate anche in base delle ricadute generate a livello di genere. A partire dal linguaggio quotidiano, con l’introduzione di termine come Assessora, Sindaca, Ministra - che peraltro l’italiano prevede, quindi non si tratta di forzatura – in tutte le comunicazioni interne ed esterne del Comune di Milano».

Sul tema del cambiamento torna anche da Emiliano Novelli, Co-Founder & President presso Universitybox.com Gen-Z & Millennials marketing Agency. «La ricerca ha portato all’emersione dei profondi cambiamenti che stanno investendo le professioni possiamo considerare l’attuale crisi dei modelli come un’opportunità per correggere i comportamenti sbagliati degli ultimi decenni, a livello di politiche giovanili e di gender. Un aspetto molto interessante emerso è come i modelli di inclusione, la qualità vita il concetto di lavoro agile a cui per tanti anni le nostre aziende hanno guardato nei modelli stranieri più evoluti, in attesa di costruirlo loro stesse…ora è accellerato e fa parte della politica di attrazione di quelle aziende che vogliono calamitare futuri talenti. Oltre alla sicurezza economica oggi molti giovani considerano importanti aspetti come il mantenimento della propria individualità, la possibilità di collaborare da remoto, scegliere di vivere in una città che non per forza è quella dove lavorano. Un concetto scardinato anche grazie al Covid, ma a cui giovani – privi di sovrastrutture pregresse – si abituano con maggiore velocità».

Un articolo di

Bianca Martinelli

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