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Risparmio e credito, un binomio per la crescita sostenibile

17 novembre 2022

Risparmio e credito, un binomio per la crescita sostenibile

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Il binomio risparmio-credito non è solo una leva della crescita, ma può essere anche la chiave di volta per favorire uno sviluppo economico sostenibile, efficiente e resiliente. Anche se la particolare fase congiunturale che attraversiamo, con l’inflazione galoppante, il rialzo dei tassi d’interesse, il rincaro dei prezzi energetici, rischia di contrarre quel risparmio delle famiglie italiane, da sempre punto di forza del nostro Paese e volano per il sostegno al tessuto imprenditoriale. In questo quadro le stesse imprese sono chiamate a fare i conti con le nuove normative della vigilanza europea che, per tener fede agli accordi di Parigi sul clima, introduce «obblighi di comunicazione» molto più dettagliati sugli standard di sostenibilità rispetto all’attuale Non-Financial Reporting Directive (NFRD).

È il caso della direttiva Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD), destinata a entrare in vigore il 1° gennaio 2024. Anche le banche saranno interessate da questi cambiamenti «sia come fruitrici di migliori informazioni sulle imprese affidate sia in quanto anch’esse dovranno fornire al mercato più informazioni sui propri rischi». Paolo Angelini, vice direttore generale di Banca d’Italia, nell’ambito del convegno “Il risparmio per la crescita”, promosso martedì 15 novembre dall’Associazione nazionale per lo studio dei problemi del credito (Anspc) e in collaborazione con la facoltà di Scienze bancarie, finanziarie e assicurative dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, è entrato nel merito delle iniziative in materia di rendicontazione dei rischi climatici, evidenziando alcune «criticità» relative alla disponibilità di informazioni adeguate per valutare l’esposizione degli intermediari.

Per Angelini «il sistema finanziario può fornire un contributo fondamentale per convogliare le risorse necessarie alla transizione verso un’economia sostenibile». Ma gli ostacoli non mancano. Uno su tutti il progressivo deterioramento della ricchezza netta delle famiglie italiane «Dopo l’eccezionale rialzo nella fase più acuta della pandemia, la propensione al risparmio si è attestata all’11 per cento, due punti in meno rispetto all’ultimo trimestre del 2021. In termini assoluti il risparmio delle famiglie si è avvicinato a 35 miliardi di euro nei tre mesi terminanti a giugno 2022». Alla luce di questi dati Elena Beccalli, preside della facoltà di Scienze bancarie, finanziarie e assicurative, si dice convinta che l’incertezza dell’attuale quadro economico e finanziario internazionale mini il circolo virtuoso risparmio e credito, aumentando ulteriormente la povertà. «In questa fase congiunturale, la contrazione del risparmio riguarda, in particolare, i nuclei a basso reddito nel tentativo di salvaguardare adeguati livelli di consumo a fronte del notevole aumento delle pressioni sui prezzi. Una tendenza opposta, e di natura precauzionale, si registra nelle famiglie con redditi medio-alti in risposta all’elevata incertezza sulle prospettive economiche. Gli andamenti aggregati, quindi, pur nascondendo una notevole eterogeneità tra le famiglie italiane, mostrano segnali di indebolimento».

Dal canto suo, il vice direttore di Banca d’Italia richiama l’attenzione su tre aspetti tra loro interconnessi ed essenziali per rimettere in moto la macchina degli investimenti: il quadro regolamentare in materia di rendicontazione dei rischi climatici, la verifica dell’attendibilità dei dati sulla sostenibilità, i piani di transizione. Secondo Angelini «in Europa la regolamentazione in materia ambientale, pur tra le più avanzate al mondo, è ancora in fieri; essa riguarderà prevalentemente le imprese grandi e quelle quotate, lasciando le altre in un cono d’ombra. Il concetto stesso di emissioni complessive è incerto a causa di notevoli difficoltà di definizione e di misurazione». Ora, in virtù di «queste carenze nella rendicontazione di sostenibilità delle imprese, gli intermediari fanno ampio uso di dati acquistati da fornitori specializzati, che, per lo stesso motivo, ricavano spesso i dati a livello individuale mediante stime basate su medie di settore che non sono in grado di riflettere appieno le specificità delle singole imprese», talvolta generando «discrepanze anche notevoli, sia negli indicatori di sostenibilità relativi a una stessa impresa sia tra un fornitore e l’altro».

Difficoltà che indicano la necessità di uno «sforzo congiunto delle imprese e degli intermediari per la raccolta e la condivisione di dati di sostenibilità a livello di singola impresa, a fini sia di erogazione del credito sia di investimento». Infine, c’è l’aspetto dei piani di transizione. «La tematica sta acquisendo importanza per effetto della crescente consapevolezza che il successo della transizione ecologica dipende dalle scelte strategiche delle imprese, in particolare di quelle ad alte emissioni. Occorre quindi che si dotino di piani di decarbonizzazione realistici e ambiziosi, e che gli intermediari finanzino questi piani. Va tuttavia evitato un approccio al tema della transizione che faccia eccessivo affidamento sul sistema finanziario. Limitarsi a spingere sull’adozione di piani di transizione da parte delle banche con l’aspettativa che ciò sia sufficiente a guidare il sistema economico verso gli obiettivi di Parigi appare una strada rischiosa», nel senso che può alimentare il «greenwashing» e costituire «un serio ostacolo al contributo che il sistema finanziario può fornire alle politiche di contrasto al cambiamento climatico».

Eppure, per il presidente di Anspc Ercole P. Pellicanò, «il credito realizzato attraverso banche, assicurazioni e altri intermediari finanziari dà significato e valore a un accumulo di capitale che non deve restare pietrificato» ma va valorizzato. Come fare, allora, per equilibrare il «mismatch» esistente tra sistema produttivo italiano e l’alta quota di ricchezza finanziaria italiana, ha chiesto ai relatori del dibattito Gregorio De Felice, Chief Economist & Head of Research Intesa Sanpaolo. Una risposta potrebbero essere gli investimenti in titoli Esg (acronimo di Environmental, Social, Governance) e fondi alternativi. «I fondi e gli Etf sostenibili nonché i green bond hanno sperimentato a livello internazionale afflussi di nuovi capitali – ha osservato Elena Beccalli -. I flussi di investimenti verso Esg sono stati più resilienti rispetto ai comparti tradizionali non solo durante il Covid ma anche a seguito delle tensioni geopolitiche, delle pressioni inflazionistiche e della più recente crisi energetica. E anche l’Italia seppure non si sia distinta in passato per le masse investite nel comparto sostenibile, proprio nella fase della pandemia sembra aver cambiato atteggiamento».

A confermarlo anche alcuni operatori del settore, come Roberto Benassi, Gruppo Cassa di Risparmio di Asti, Fabio Carniol, General Manager Helvetia Vita e Helvetia Italia - Gruppo Helvetia Italia, e Luca Cosentino, Partner EY. Dal loro punto di vista è in atto un sempre maggiore orientamento verso investimenti sia in start up che sviluppano nuovi servizi sia in fondi alternativi con rendimenti a lungo termine. C’è, però, un fattore da non sottovalutare: la scarsa cultura finanziaria, anche tra i giovani. L’ha segnalato Liliana Fratini Passi, direttore generale CBI, secondo cui a fronte della spinta digitalizzazione che sta investendo le banche l’educazione finanziaria resta una componente fondamentale per proteggere gli investitori da un utilizzo, molte volte, poco consapevole delle piattaforme di pagamento. E il Buy now Pay later ne è solo un esempio.

 

Un articolo di

Katia Biondi

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