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San Francesco re-incontra il teatro

10 ottobre 2025

San Francesco re-incontra il teatro

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Tra i santi più amati della tradizione popolare, Francesco d’Assisi è senza dubbio una figura che ben si presta a una resa scenica e a una rilettura teatrale, grazie anche alla ricchezza dei “Fioretti francescani”, preziosa testimonianza della sua vita e dei suoi insegnamenti. Una popolarità così radicata da trovare ulteriore conferma nel recente riconoscimento istituzionale: dal prossimo anno, infatti, il giorno della sua commemorazione - il 4 ottobre - tornerà a essere festa nazionale per legge.

A mettere sotto i riflettori la dimensione teatrale del poverello di Assisi è stato l’incontro andato in scena martedì 7 ottobre nell’Aula Magna dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Protagonista dell’iniziativa padre Marco Finco, da oltre vent'anni impegnato nella divulgazione dello spirito del Santo attraverso il teatro e la musica. «Non sono un attore vestito da frate ma un frate cappuccino che porta sulla scena il vissuto di Francesco», ha esordito padre Finco nel rispondere alle numerose sollecitazioni del docente di Politica economica nella Facoltà di Scienze politiche e sociali Mario Maggioni, che ha arricchito il dialogo con citazioni di autorevoli autori. «Salgo sul palco non per comunicare agli altri delle cose ma per aiutare me stesso a crescere e a convertirmi, raccontando la mia esperienza».

Una conversazione, densa di spunti e di riflessioni, che ha avuto il merito di mettere in evidenza quanto la teatralità sia un tratto specifico dell’opera di Francesco. Lo ha spiegato bene padre Renato Delbono, del Centro Pastorale dell’Ateneo, introducendo la conversazione tra padre Finco e il professor Maggioni: per lui «mettere in scena» è uno strumento per «comunicare ciò che si ha nel cuore», rispondendo al bisogno profondo di narrare il proprio vissuto.

Un articolo di

Agostino Picicco

Agostino Picicco

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Secondo padre Finco il «senso di teatro» per Francesco non corrisponde a quello che intendiamo oggi. «Egli non ha mai pensato di scrivere copioni o curare scenografie o fare il regista. Il teatro era la sua vita, perciò più che parlare di rappresentazioni teatrali, occorre parlare della vita di Francesco». La teatralità, nel senso moderno del termine, si manifestava soprattutto nella sua esistenza prima della conversione. Infatti, era conosciuto come il re delle feste di Assisi, disponeva di soldi per farlo, sapeva intrattenere, insomma era una sorta di “showman”. Dopo la conversione, quelle stesse capacità teatrali non furono più messe al servizio del divertimento, ma divennero strumenti di cambiamento, per sé e per chi lo ascoltava. «La sua vita dopo la conversione è immersa in una forma teatrale. Il teatro è aiuto a sé, prima che agli altri».

E qui si pone l’esatta comprensione della definizione di Francesco come “giullare di Dio”: «Non si tratta di un appellativo dal tono comico ma va inteso nel senso di servitore, di chi mette la propria arte a servizio. Non è un buffone che fa acrobazie né un giullare di corte ma un servitore … al servizio di Dio, una creatura nelle mani del Creatore, come ben evidenziato nel ‘Cantico delle creature’», ha spiegato padre Finco.

Nell’ottica del servitore, molti gesti di Francesco assumono una forte valenza teatrale: il cospargersi il capo di cenere, le estasi mistiche, la sua presenza davanti al papa. Tra gli episodi più emblematici vi è il presepe di Greccio, che non intende essere un presepe vivente. Nella scena che Francesco crea al centro non c’è un bambino a impersonare Gesù ma l’altare con un sacerdote che consacra l’ostia. Secondo padre Finco lo scopo non è offrire una rappresentazione al popolo, bensì ricordare a sé stesso - e vedere con gli occhi del corpo - il disagio del Bambino Gesù.

Anche gli ultimi istanti della sua vita sono intrisi di teatralità: come quello in cui chiede alla nobildonna Iacopa dei Settesoli dei mostaccioli, i dolcetti di miele e mandorle: una richiesta quasi ironica che stride con la mestizia del momento, mentre i frati piangono la sua imminente dipartita. Una scena, ha osservato padre Finco, che esprime in modo chiaro «la leggerezza consentita a un uomo che sa di essere creatura del suo Signore».

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