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Semplificazione e Pnrr, è il tempo della svolta per l’Italia

21 maggio 2021

Semplificazione e Pnrr, è il tempo della svolta per l’Italia

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Semplificare: è il verbo che nei prossimi mesi metterà alla prova l’Italia nel suo percorso di ripresa economica post pandemica, grazie al sostegno dei 205 miliardi di euro del Recovery Fund. «Il Covid è stato un dramma per il mondo intero, ma per il nostro Paese potrebbe essere uno straordinario giro di boa non solo per la quantità di risorse economiche a esso destinate ma per la leadership che li gestirà e per la deadline richiesta dall’Europa per le riforme». Ne è profondamente convinto Gaetano Miccichè, chairman divisione IMI CIB di Intesa Sanpaolo, tra i protagonisti del webinar “Fare impresa e semplificazione dello Stato” promosso dal Think Tank - Sviluppo, imprenditorialità innovativa di Università Cattolica e associazione Prospera-Progetto Speranza che ha messo a confronto manager finanziari, imprenditori pubblici e privati, docenti universitari chiamati a confrontarsi sia per documentare esperienze in cui l’intervento dello Stato svolge o ha svolto un ruolo positivo nel sistema economico sia per individuare le condizioni favorevoli per fare impresa in Italia. Un’iniziativa aperta dal direttore del CeTIF Federico Rajola, moderata da Sabino Illuzzi, presidente Prospera-Progetto Speranza e senior director Intesa Sanpaolo, e conclusa dall’intervento di Chiara Frigerio, segretario generale CeTIF.

Secondo il rettore dell’Università Cattolica Franco Anelli «la semplificazione è uno dei problemi chiave del nostro Sistema-Paese, soprattutto nel rapporto tra attività economica e regole» e tocca l’interrogativo «su come l’economia debba essere guidata e coordinata affinché sia rispettosa dei valori delle persone e delle esigenze collettive».

Un dato è certo: per fare impresa c’è bisogno di semplificazione, che serve sia allo sviluppo umano sia alla crescita del Paese. Secondo Barbara Boschetti, docente di Diritto amministrativo in Università Cattolica e coordinatrice del Recovery Lab, «ce lo dicono i numeri e ce lo chiede anche l’Europa». Eppure, la storia d’Italia è piena di esempi in cui ci troviamo semplicemente di fronte un’etichetta. Abbiamo «un cammino lastricato» di tante belle parole e di istituti che portano solo a «complicazione»: è giunto il tempo di smetterla con questa «grande ipocrisia» e di «abbassare la maschera».

Fare impresa in Italia non è solo un cammino a ostacoli. «In Italia si può fare azienda bene partecipando al sistema» fa notare l’amministratore delegato FSI Maurizio Tamagnini. In questo momento la nostra priorità resta quella di «investire con chiarezza le risorse di cui l’Italia dispone in pochi progetti collegati all’Europa, in economia digitale e soprattutto in educazione». Perché se non investiamo sulle future generazioni «pagheremo il conto in termini di marginalizzazione sociale».

La semplificazione è necessaria ma serve anche una buona dose di ottimismo. «L’Italia con il Pnrr ha grandi possibilità di migliorare e gli italiani hanno sempre avuto capacità di resilienza e di imparare a nuotare», fa notare l’imprenditore e civil servant Matteo Marzotto, che porta anche un esempio concreto di attività imprenditoriale recentemente intrapresa nel distretto del lusso di Arezzo in piena emergenza sanitaria e che ha già all’attivo 20milioni di fatturato. «Da imprenditore l’unica cosa che contesto agli italiani che intraprendono è una certa “dissociazione” tra vita dello Stato e incidenza che quest’ultimo ha sulla vita dell’impresa. Bisogna invece ascoltare la politica e sentirsi parte di un sistema».

Ma se in Italia si contano tante inefficienze dov’è che abbiamo sbagliato? «Siamo il Paese che negli ultimi 19 anni ha avuto il Pil più basso rispetto alla media europea» sapendo bene che «prodotto interno lordo vuol dire entrate per l’erario e crescita», precisa Gaetano Micciché. Su questo fronte non ha giovato il fatto che «negli ultimi dieci anni abbiamo avuto otto governi. Quale azienda potrebbe resistere con otto amministratori delegati in dieci anni tenendo conto che un Paese è un’impresa con tante aree di interesse dove il capo del governo è l’ad e i ministri sono capi divisione?». Fino a quando in Italia non avremo governi più stabili «vivremo di scelte che non avranno nulla di strategico ma solo tattico per soddisfare il consenso del giorno dopo».

E in una competizione veramente mondiale dove i mercati non sono più di prossimità e il cambiamento è così frequente «il dovere di una banca è aiutare le aziende a crescere» mentre «il principale obiettivo di un Paese è assicurare occupazione ai giovani». Ecco perché questo potrebbe essere il momento della «svolta per le riforme» che solo una leadership come quella di Mario Draghi può rendere possibile.

 

Un articolo di

Katia Biondi

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