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Sequestrare il carbonio nel suolo, una metodologia green e utile per le coltivazioni

09 giugno 2023

Sequestrare il carbonio nel suolo, una metodologia green e utile per le coltivazioni

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I ricercatori del campus di Piacenza dell'Università Cattolica del Sacro Cuore hanno evidenziato un metodo per sequestrare l’anidride carbonica e contemporaneamente migliorare la resa delle colture. Si tratta di avvicendare la coltivazione di specie arboree ed erbacee in genere usate per produrre biomassa (ad esempio a scopo energetico) a specie agricole alimentari come il frumento. Con questo approccio il tasso medio di rimozione dell’anidride carbonica atmosferica sotto forma di carbonio organico sequestrato nel suolo può raggiungere le 5 tonnellate di CO2 per ettaro e per anno, mentre con metodi di coltivazione convenzionali non si ha accumulo di carbonio nel suolo o si possono avere addirittura decrementi.

È il risultato che arriva da uno studio pubblicato sulla rivista “Agronomy” e coordinato dal professor Stefano Amaducci, ordinario presso la Facoltà di Scienze Agrarie, Alimentari e Ambientali, Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali Sostenibili. La sperimentazione ha avuto luogo a Gariga di Podenzano (PC) su un terreno dedicato alla coltivazione di specie agricole convenzionali, quali mais frumento e pomodoro da industria, e caratterizzato da un basso contenuto di sostanza organica (0,7%).

BACKGROUND

L’incremento della sostanza organica del suolo costituisce un importante obiettivo agronomico, finalizzato a recuperare la fertilità del suolo, oltre che un rilevante obiettivo ambientale poiché il sequestro di carbonio nei suoli è una importante strategia di mitigazione del cambiamento climatico. Secondo l’iniziativa “4 per mille Soils for Food Security and Climate” lanciata dal COP21, grazie al ricorso a “best management practices” «si potrebbe compensare tra il 20 e il 35% delle emissioni climalteranti antropogeniche incrementando il contenuto di carbonio organico dei suoli del 4 per mille ogni anno», spiega il professor Amaducci.

Un articolo di

Sabrina Cliti

Sabrina Cliti

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Terreno con residui di paglia e senza residui - (Foto Credits Andrea Ferrarini)

Terreno con residui di paglia e senza residui - (Foto Credits Andrea Ferrarini)

LO STUDIO

«La prova - racconta il professor Amaducci - è iniziata nel 2007 con l’impianto di tre specie erbacee (miscanto, panico vergato e arundo) e tre arboree (pioppo, salice e robinia) per la produzione di biomassa da destinare alla produzione di energia e biomateriali». Nel marzo del 2018, le colture sono state terminate e il campo è stato riconvertito alla coltivazione di specie erbacee annuali e in particolare sono stati coltivati in successione sorgo, soia e frumento. «Durante tutto l’esperimento - spiega - è stato monitorato il contenuto di sostanza organica del suolo (SOC), con l’obiettivo di evidenziare il contributo delle specie per la produzione di biomassa all’incremento della sostanza organica del suolo sia durante la loro coltivazione, ma anche in seguito, con il ritorno a una normale rotazione con colture erbacee a destinazione alimentare».

In media, durante gli 11 anni di coltivazione delle specie poliennali, sono state incorporate nel suolo 5,35 tonnellate di carbonio per ettaro (per la caduta delle foglie e spoglie e resti di radici) mentre quasi 11 tonnellate per ettaro di carbonio sono state incorporate al momento della riconversione (soprattutto per il taglio delle radici). In totale, considerando i 13 anni della prova, e sommando quindi gli anni di coltivazione delle specie poliennali con quelli dopo la riconversione a specie annuali, sì è registrato un incremento medio della sostanza organica del suolo superiore a una tonnellata di carbonio per ettaro e per anno.

«Questi risultati – sostiene il professor Amaducci - evidenziano l’efficacia di certe colture e dell’avvicendamento delle coltivazioni per aumentare il sequestro di carbonio nei suoli. In aggiunta, le specie produttrici di biomassa forniscono altri importanti servizi all’ecosistema, quali l’incremento della biodiversità e ovviamente l’ottenimento di biomassa utilizzabile sia per la produzione di bioenergie o di biomateriali, sia per implementare altre strategie di mitigazione del cambiamento climatico».

 

 


Nella foto in alto colture poliennali nel comune di Gariga di Podenzano (Foto credits Enrico Martani)

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