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Social network: nuova arma di guerra?

18 marzo 2022

Social network: nuova arma di guerra?

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Quasi un mese fa la Russia ha invaso il territorio ucraino attaccando la capitale Kiev e le principali città del Paese. È da qui che è partito un conflitto che ad oggi conta 2 milioni e mezzo di profughi e oltre 2mila vittime civili. Una guerra che, inevitabilmente, è ampiamente documentata in tempo reale sul web. Ma nell’era del digital anche i social network possono diventare un’arma. Come? Lo abbiamo chiesto alla professoressa Nicoletta Vittadini, docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi del nostro Ateneo.

Come si può raccontare una guerra attraverso i social network?
«Questa è una domanda ampia che comprende tanti punti di vista diversi. È importante sottolineare che i social media esistono da oltre vent’anni: in questo lasso di tempo di guerre ce ne sono state tante e l’attuale conflitto in Ucraina non è il primo ad essere raccontato con questi mezzi. Ci sono però degli aspetti particolari da considerare. Innanzitutto, i social sono utilizzati come strumento di racconto, con il mescolarsi di fonti istituzionali che informano sulla guerra e narrazioni in prima persona di chi è coinvolto nel conflitto, dall’interno o dall’esterno. In secondo luogo, la guerra si sta combattendo anche all’interno dei social che non sono più solo fonte d’informazione, ma anche strumento di propaganda. Ad esempio, la propaganda ha trovato spazio all’interno di Tik Tok: una piattaforma che ha il suo punto di esistenza geografica in Cina e il cui consumo delle fake news è piuttosto disattento. Infine, è importante considerare che i social media sono un soggetto attivo all’interno della guerra e in relazione al loro radicamento geografico hanno preso delle posizioni ben precise. Le piattaforme che appartengono all’impresa statunitense Meta come Facebook, Messenger, Instagram o WhatsApp non solo hanno attuato una serie di strumenti di controllo dell’informazione, ma stanno anche partecipando al conflitto sul piano economico. Meta, ad esempio, ha proibito la pubblicità da parte dei media russi per impedire loro la disinformazione e i guadagni. Dunque, non si tratta più solo di ottenere il controllo, ma anche di togliere delle risorse economiche».

Quali conseguenze potrebbe avere la chiusura di internet e di social network come Facebook o Instagram da parte della Russia?
«Ci sono due motivazioni per cui la Russia ha operato questa scelta: innanzitutto per impedire che entrino all’interno della cultura e dell’informazione russe delle narrazioni diverse da quelle che il Cremlino sta dando, in secondo luogo per non far uscire all’esterno informazioni interne al Paese. La conseguenza immediata di tutto ciò sarà che il governo russo riuscirà ad avere un controllo molto più significativo sui flussi di comunicazione interni, sia in ingresso che in uscita. E soprattutto la Russia, in questo modo, comunicherà all’esterno solo ciò che vorrà raccontare».

Come considera l’utilizzo dei social network e più in generale dei media da parte dell’Ucraina? In riferimento non solo ai civili, ma anche a personaggi di spicco come l’attuale presidente ucraino Zelensky.
«Anche in Ucraina ci sono due diversi canali informativi: da una parte giornalisti che documentano ciò che succede, dall’altra i civili che raccontano il loro vissuto della guerra. C’è una grande polemica, negli ultimi giorni, sulla foto postata su Instagram di una bambina di nove anni fotografata dal padre con in mano un fucile. La polemica riguarda il fatto che questa foto non sia giornalistica, ma in realtà è solo lo scatto di un padre che sta cercando di far vedere agli altri quanto gli sta accadendo. Sentimenti, emozioni, vissuti: anche questo sta uscendo dal Paese, con forme a volte più espressive che documentative. È invece diverso il discorso nel caso del presidente ucraino. Zelensky ha bisogno di visibilità perché questo gli permette sia di avere salva la vita che di tenere sempre alta l’attenzione dell’Europa nei confronti dell’Ucraina e del conflitto».

E qui da noi? Come stanno raccontando il conflitto i social in Italia?
«I social italiani come Instagram, Facebook o Tik Tok sono in realtà i social americani e cinesi: noi raccontiamo su piattaforme di altri. In Italia i profili ufficiali del mondo dell’informazione stanno narrando la guerra secondo le posizioni decise dall’Unione europea, ovvero a sostegno dell’Ucraina. Invece chiedersi come gli italiani stiano raccontando la guerra sui social è complesso perché tutto dipende sempre dalla rete sociale che si frequenta quando si utilizzano questi mezzi. In generale noto che si sta dando molto spazio al racconto della solidarietà verso la popolazione ucraina».

Cosa potrebbe succedere nelle prossime settimane dal punto di vista mediatico e informativo?
«Se la situazione continuerà ad essere di conflitto e non cambieranno gli assetti internazionali, allora anche tutto l’ecosistema mediale continuerà a muoversi come ora. Ma nel caso in cui la guerra dovesse andare avanti per molto tempo, la questione da considerare sarà il come continuare a mantenere alta l’attenzione delle potenze mondiali e dell’opinione pubblica rispetto al conflitto. Questa però non è una problematica urgente perché nei prossimi mesi il livello dell’attenzione continuerà a restare altissimo».

Un articolo di

Aurora Ricciarelli

Scuola di giornalismo

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