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Charles Taylor: «Questa è l’epoca dei cercatori di spirito»

11 gennaio 2023

Charles Taylor: «Questa è l’epoca dei cercatori di spirito»

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L’«era secolare» comporta un «cambiamento profondo» per la vita religiosa e spirituale. Ma la secolarizzazione non va demonizzata. In un’epoca caratterizzata dal dominio della scienza e della tecnologia, può rappresentare in positivo una «sfida per la religione». Un’occasione per «trasformare noi stessi», per «ricercare nel nostro mondo nuovi linguaggi» e forme di «fratellanza» tra le persone.

Charles Taylor, 91 anni, è uno dei più eminenti filosofi contemporanei. Nella sua riflessione culminata nel fortunatissimo volume di 900 pagine “L’età secolare”, uscito nel 2007 e pubblicato in Italia nel 2009 da Feltrinelli, il pensatore canadese ha contestato in maniera argomentata le tesi secondo cui la secolarizzazione sancirebbe la fine della fede e della religione.

Il professore emerito di Filosofia alla McGill University di Montreal e autore di numerosi saggi sul tema pubblicati anche dalla rivista culturale dell’Università Cattolica “Vita e Pensiero”, ha riproposto gli aspetti principali del suo pensiero nel corso di due incontri - mattutino e pomeridiano - ospitati martedì 10 gennaio nell’Aula Pio XI dell’Ateneo. «Il pensiero di Taylor sulla secolarizzazione ha fatto sì che il termine non implichi più necessariamente un significato di decadenza», ha detto il rettore Franco Anelli, introducendo la conferenza del mattino dal titolo “Solo la secolarizzazione ci potrà salvare? Fede e ragione nell’epoca del disincanto”.

 

 

 

Infatti, secondo il direttore del Centro di ricerca sulla filosofia della persona “Adriano Bausola” (CrifipAB) Adriano Pessina, tra i meriti del filosofo canadese c’è la dimostrazione di come la «narrazione classica» della secolarizzazione che riduce la fede a un fatto privato – “umanesimo esclusivo” la chiama Taylor – sia «sì efficace e pervasiva, ma non consistente e veritiera». In particolare, Taylor ci ha insegnato che la secolarizzazione non abbia un significato puramente teorico, perché interpella le nostre esperienze personali e la collocazione stessa della presenza di Dio nella storia e nel pensiero. In tal senso, rappresenta «un’occasione della liberazione della fede e della religione», la possibilità di un «rinnovamento» e di una «ridefinizione dell’esperienza religiosa».

Disertare la religione, perché considerata retrograda rispetto alle conclusioni chiare del pensiero scientifico e tecnologico, resta fra le più palesi conseguenze dell’era secolare. Per Taylor, invece, quella che stiamo vivendo è «un’epoca di cercatori spirituali». Molte persone cercano risposte per dare un significato pieno alla propria vita. Non tutti le trovano. Non tutti giungono allo stesso traguardo, che può essere vicino alla fede cristiana o al grande amore che vediamo in Cristo. È tuttavia un viaggio, un percorso, un tentativo di cambiare e trasformare se stessi. Un processo che si traduce nell’elaborazione di nuovi linguaggi, nuovi approcci al mondo che hanno in comune la stessa direzione: la ricerca della spiritualità. Taylor per descrivere al meglio questa situazione in cui ci troviamo ha utilizzato il termine «ecumenismo». Il filosofo l’ha definita «un’azione comune di persone che hanno fedi diverse, provengono da contesti culturali differenti, ma sono accomunate dall’esperienza spirituale».

 

 

 

Se la secolarizzazione è un’occasione per riscoprire la fede, tuttavia nel mondo contemporaneo non è venuto meno il tentativo di ripristinare tradizioni religiose ortodosse, in molti casi legate a risentimenti di natura politica. Per questo, ha avvertito Taylor, «il nostro compito è prevenire culture che vogliono essere distruttive e possono portare a conflitti».

L’epoca secolare apre così a numerose sfide con cui sono chiamati a confrontarsi non solo i laici ma anche i credenti. È emerso chiaramente dalla tavola rotonda pomeridianan che, animata dalle domande della docente di Filosofia morale Alessandra Gerolin, ha fatto dialogare con il filosofo Taylor l’assistente ecclesiastico generale della Cattolica monsignor Claudio Giuliodori, il preside della facoltà di Scienze Politiche e sociali Guido Merzoni, il docente di Teologia Julián Carrón e il professor Adriano Pessina.

La secolarizzazione è veramente un’occasione per nuove forme di spiritualità? Per monsignor Giuliodori, che si definisce un «vescovo secolare», questa «ci mette in guardia da tutto ciò che soffoca il divino». Nell’epoca secolarizzata la forza della fede, il «divino che si fa uomo, penetra e trasforma la realtà» permane, pur venendo meno «l’infrastruttura religiosa».

Da parte sua, il preside Merzoni ha individuato nell’individualismo imperante, nel conformismo e nell’impoverimento della capacità di giudizio le derive preoccupanti della secolarizzazione. Ma accanto a questo «pessimismo della ragione», c’è però anche «l’ottimismo della volontà» che il preside indica in due direzioni. «Una è quella della costruzione della comunità, dove si consolida la verità; l’altra direzione è il dialogo, l’incontro con la persona che fa cogliere il valore dell’esperienza».

Incontro, esperienza, fede. Sono parole riprese anche dal teologo Carrón. «La condivisione delle speranze e delle paure è una delle occasioni più belle per capire il tempo in cui vivo». Perché «condividere con coloro che incontro per strada l’esperienza che faccio di questo vivere è entusiasmante per la verifica della propria fede che non può appoggiare sull’esperienza stessa». Da questo punto di vista, il mondo secolarizzato fa apparire nella sua potenza il «vero bisogno dell’uomo» e la sua incapacità di risolvere la sua «sete di pienezza». Pertanto, ha continuato Carrón, «è questa la bellezza del momento: lo spazio aperto dalla secolarizzazione offre diverse opzioni in cui è possibile trovare quella meglio in grado di rispondere al dramma della vita».

In questo contesto di esperienza del vivere accompagnata dalla trascendenza, un ruolo significativo lo rivestono i legami, le relazioni, il dialogo. Solo così è possibile evitare nuove forme di alienazioni. E un contributo può arrivare anche dalle università cattoliche. Come ha suggerito Taylor, «tutti noi siamo in cammino, ci stiamo muovendo verso qualcosa. Per questo potrebbe essere fondamentale raccontare le diverse storie e le esperienze religiose degli altri, anche quando non sono positive. Potrebbe aiutarci a comprendere meglio le persone e il loro modo di esplorare il mondo».  

Un articolo di

Katia Biondi

Katia Biondi

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