Siamo di fronte alla prima generazione "datizzata" dalla nascita: da un lato, i genitori, che condividono immagini e video dei figli sui social media (sharenting), e che usano dispositivi digitali per monitorarne lo sviluppo e il benessere; dall’altro le nostre case, sempre più popolate da dispositivi connessi a internet (IoTs, Internet of Things) e smart, come smart TV, altoparlanti intelligenti, elettrodomestici connessi, video citofoni smart che trasformano la casa in un ambiente per così dire “datificato”.
Le evidenze della pervasività del digitale sono state al centro del webinar “Datizzati dalla nascita: dati, algoritmi e automazione nella vita dei bambini. Progetto DataChildFutures”, promosso dall’Università Cattolica il 23 giugno.
L’ultimo anno vissuto tra lockdown e restrizioni alla vita all’aperto ha dato una forte spinta alla digitalizzazione della vita quotidiana di famiglie e bambini. Lo dimostrano i primi risultati del progetto di ricerca DataChildFutures, finanziato dalla Fondazione Cariplo e coordinato dalla docente di Politics in media dell’ateneo Giovanna Mascheroni, raccolti a settembre 2020 su un campione rappresentativo a livello nazionale dei genitori di bambini di età compresa fra 0 e 8 anni, che confermano la crescente normalizzazione di IoTs e IoToys (giocattoli connessi) nella vita domestica. Infatti, tutte le famiglie intervistate possiedono almeno uno smartphone; l'84% almeno un tablet; l'85% ha una smart TV e il 74% un abbonamento a piattaforme on-demand. Più sorprendente il dato relativo alla diffusione di smart speakers (il 46% delle famiglie intervistate ne possiede almeno uno) i giocattoli connessi (40%) e dispositivi indossabili (57%).
La datizzazione della vita familiare appare, dunque, pervasiva. Una volta digitalizzate, le attività di routine, ma anche quelle di cura (si pensi che il 43% dei proprietari di smart speaker li usa per raccontare storie della buonanotte ai propri figli) producono tracce digitali altamente monetizzabili.
«Generalmente ci si concentra sui rischi breve termine della datizzazione, quindi sulla violazione della privacy, la profilazione, il furto di identità - ha spiegato Giovanna Mascheroni, che con Andra Siibak è autrice del volume Datafied Childhoods: Data practices and imaginaries in children’s lives (Peter Lang 2021) -. Ma le conseguenze più problematiche della profilazione sono sul medio e lungo periodo. Pensiamo innanzitutto alla classificazione algoritmica come forma di governance dell’accesso a risorse e opportunità, vale a dire gli allocative harms. Dal momento che, e contrariamente alla fiducia nell’imparzialità dei dati, gli algoritmi contengono una serie di bias (nei dati usati per addestrare l’algoritmo, e nell’algoritmo stesso), affidare a processi algoritmici di ADM (Automated Decision Making) l’accesso a istruzione, salute, credito, mercato del lavoro ecc., rischia di istituzionalizzare i pregiudizi e le discriminazioni tipiche degli attori umani replicandole sistematicamente su vasta scala».
Il nuovo immaginario sociale in cui la sorveglianza viene normalizzata e socializzata e interiorizzata anticipa una trasformazione epistemologica secondo la quale esiste solo quello che può essere rappresentato in dati. E di conseguenza ci si fida solo del risultato di processi algoritmici (il contrario del modello illuministico dell’Enciclopedia).
Tutto ciò rimanda a un problema antropologico, come ha sottolineato Veronica Barassi, professore di Media and communications studies alla University of St. Gallen in Svizzera e autrice del libro in uscita I Figli dell’Algoritmo: Sorvegliati, Tracciati e Profilati dalla Nascita: «Le famiglie non hanno scelta, subiscono una partecipazione digitale forzata. Dal 2019 il problema della sorveglianza attraverso i dati raccolti nella vita privata e il credo cieco nei profili digitali sta portando a trasformazioni non democratiche come la profilazione dei cittadini da parte di organi istituzionali come governi e polizia». I profili sono costruiti su dati inaccurati e questo è particolarmente grave in relazione ai bambini che vengono imprigionati in stereotipi costruiti sulla base della famiglia che hanno, del loro background. «La mancanza di controllo sui dati e l’ingiustizia sociale amplificata su scala sistemica e globale che fa leva sul “dataismo” conduce a una pericolosa predeterminazione che modifica il futuro prima ancora che succeda».
Una preoccupazione condivisa dagli altri ospiti del webinar che hanno raccontato le policy delle aziende e delle istituzioni e i mezzi di contrasto ai rischi di ingiustizia sociale provocata dalla datizzazione. Martina Colasante, che si occupa di Public Policy a Google ha evidenziato i diversi strumenti personalizzabili che Google mette a disposizione delle famiglie come i family link, la app di parental control che controlla il tempo di utilizzo dei device, youtube kids che propone video adatti ai più piccoli, “Vivi internet al meglio”, uno strumento che in collaborazione con partner esterni come Altro consumo e la Polizia di Stato vuole formare i genitori a un uso sicuro di internet.
Esiste un’etica nell’intelligenza artificiale? Una domanda su cui si è interrogato anche Giacomo Lev Mannheimer, head of GR e Public Policy per l’Europa del sud di Tik Tok. La sua azienda è attenta agli utenti che non devono avere meno di 13 anni e poiché non è possibile controllare la loro identità per i problemi legati alla privacy la piattaforma li tutela attraverso uno stretto controllo dell’advertisement vietando quello politico, il marketing pubblicitario e personalizzato per i minori. «Certo i rischi ci sono perché l’esperienza dei minori su Tik Tok è basata su un feed, e i contenuti continuamente proposti diventano virali e possono diventare pericolosi se finiscono nelle mani sbagliate».
Negli anni sono sorti organismi istituzionali nei governi a tutela dell’infanzia, come ha ricordato la presenza di Ester Di Napoli del dipartimento “Politiche per la famiglia della presidenza del Consiglio” che fa capo alla ministra Elena Bonetti e che si occupa in particolare delle politiche per l’infanzia e l’adolescenza con una competenza specifica in materia di prevenzione e di contrasto al cyberbullismo.
Giovanni Vespoli, project manager di Generazioni Connesse Milano e coordinatore del Safer Internet Center, ha ribadito l’importanza degli strumenti che loro utilizzano come le campagne informative, l’attività di formazione per realizzare documenti di policy nelle scuole, le helpline coordinate da Telefono azzurro e le hotline per segnalare materiali su ci si può imbattere online. «Esiste un piano europeo sull’educazione digitale per promuovere un ecosistema di educazione digitale, per le competenze dei docenti e per lo sviluppo di contenuti di qualità reperibili online» ha dichiarato Vespoli che ha concluso lanciando le due sfide su cui bisogna lavorare in futuro: la formazione di alto livello per genitori e ragazzi che aumenti la consapevolezza nell’uso dei dati, e la sempre maggiore collaborazione tra aziende, decisori politici, professori e ricercatori.