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Violenza sulle donne: gli uomini devono mettersi in discussione

22 novembre 2023

Violenza sulle donne: gli uomini devono mettersi in discussione

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Giulia Cecchettin, Giulia Tramontano, Michelle Maria Causo, Yana Malayko, Sofia Castelli… è un triste e doloroso elenco quello delle 103 donne uccise in Italia nel 2023, 82 in ambito familiare/affettivo e di queste 54 dal partner o ex (dati del Viminale aggiornati al 12 novembre). In un confronto alla fine dell’anno, le donne vittime di questo tipo di omicidi sono state 61 nel 2022, 70 nel 2021 e 68 nel 2020, come riporta Avvenire. Come fermare questo fenomeno? Come parlarne senza rimanere incastrati nella cronaca e nelle polemiche del giorno ma trovando buone regole per il futuro? Come aiutare le donne vittime di violenza o prevedere le aggressioni prima di allungare ancora l’elenco? Lo abbiamo chiesto a Luca Milani, psicologo e psicoterapeuta, ordinario di Psicologia dello sviluppo presso l’Università Cattolica, autore con Serena Grumi del manuale Psicologia della violenza di genere (ed. Vita e Pensiero).

Iniziamo con un numero impressionante su cui è bene che tutti si soffermino: una donna su tre nel mondo è vittima di violenza psicologica, fisica o sessuale in quanto donna. Cominciamo a esserne più consapevoli perché se ne parla di più o perché sono aumentati i casi?
«È aumentata senz’altro la visibilità data al fenomeno della violenza di genere e quindi la sensibilità sociale. Il dato una su tre è longitudinale, significa che almeno una volta nella vita una donna su tre ha subito una violenza tra quelle elencate, quindi non è riferito all’assoluto presente, ma è comunque un dato molto negativo. Come insegna la Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne siamo di fronte a una violazione dei diritti umani che potremmo definire pandemica, perché riguarda tutto il mondo, nessun Paese escluso, e raffigura una iniqua distribuzione del potere e delle risorse agli uomini con ragioni storiche e trasversali nelle società».

Proviamo a guardare solo all’Italia e ai casi recenti di cronaca, tra stupri e femminicidi, con un’età media che si abbassa e quindi ci interroga anche sulle giovanissime generazioni che speravamo culturalmente al riparo: abbiamo meno anticorpi sociali o c’è una causa psicologica precisa?
«Ci sono tante cause, economiche, sociali, familiari… banalmente bambine e bambini vengono educati spesso ancora oggi in famiglia ad alcuni compiti divisi tra genere, con una stereotipia di ruoli (banalmente la bambina aiuta a sparecchiare il maschietto no) che non è del tutto innocente, perché instaura un flusso di pensiero che tenderà poi a ripetersi nell’età adulta. Focalizzandoci sull’età i dati ci dicono che la violenza di genere è trasversale, per classi sociali, età, censo, cultura di riferimento, quindi, nessuna generazione è al momento indenne. Certo ricerche recenti delle colleghe Confalonieri e Cuccì ci dicono che tra i più giovani l’atto violento, fisico, è stato sdoganato come uno dei linguaggi possibili nelle relazioni sentimentali e questo è chiaramente allarmante».

La scuola può avere un ruolo?
«A scuola i ragazzi devono partecipare a lezioni di educazione alla relazione e alla sessualità, hanno bisogno in quella parte delicata della vita, che è l’adolescenza e la preadolescenza, di avere un confronto su questi temi. In questo momento c’è un vuoto, ma finalmente se ne comincia a parlare più concretamente. Certo, se i media oggettivizzano ancora il corpo delle donne, se in famiglia i ruoli sono stereotipati, se al figlio maschio è concesso di non contribuire ai lavori domestici, ecc. …  non stiamo aiutando la società a sviluppare anticorpi alla violenza di genere che non è solo fisica, ma passa anche dalle parole e dagli atteggiamenti».

La comunicazione dei media, dal suo punto di vista, come può aiutare a sconfiggere la violenza di genere?
«Ci sono molti studi sul contenitore narrativo dei casi di violenza e campagne su questo punto, come quella di NarrAzioni differenti, dove si chiede di non usare espressioni come “raptus di gelosia” o descrivere i vestiti della vittima di violenza, ecc. Personalmente noto spesso che ad esempio la foto di repertorio che accompagnano sul quotidiano la cronaca di uno stupro è spesso quella di una donna giovane, con la spallina abbassata, piacente, ecc. è una sessualizzazione della vittima e di un evento terribile. Oppure si parla appunto di raptus improvvisi… il raptus non esiste; di solito siamo di fronte a una escalation di atteggiamenti tossici e violenti. Quando si arriva al femminicidio gli indizi ci sono già: gaslighting, vale a dire una forma di sottile di manipolazione cognitiva che porta la donna a essere dubbiosa circa le proprie percezioni, controllo maniacale, anche economico, ecc. I femminicidi non sono fulmini a ciel sereno. C’è anche un invischiamento connivente della società che dice che il privato deve rimanere privato. Ma la violenza non è mai un fatto privato e se ci capita di vedere delle situazioni di aggressività bisogna sempre denunciare e intervenire».

Inasprire la pena è utile e sufficiente per sconfiggere la violenza contro le donne?
«No, la legge punitiva da sola non basta, come dimostrano i risultati del protocollo Zeus che connette l’ammonimento con un percorso rieducativo del maschio violento. Cioè, se viene segnalato un caso di violenza, oltre al “cartellino giallo” intimato dalle forze dell’ordine l’uomo viene invitato a frequentare un presidio territoriale con educatori, psicologi, terapeuti ecc. che porta la persona a rivedere del tutto il modo di portare avanti la relazione. La recidiva in questi casi è dimostrato che diminuisce drasticamente, come dimostra l’esperienza CPIM diretta dal collega Paolo Giulini».

Certo per arrivare all’ammonimento è necessario che ci sia una denuncia o una segnalazione da parte della vittima, cosa non scontata: quali sono i campanelli d’allarme e quando chiedere aiuto?
«Nelle relazioni intime ci sono dei segnali spia aspecifici: controllare la persona tramite il cellulare e whatsapp, voler sapere sempre dove si trova, richiedere una esclusività affettiva, gelosia-possesso, ecc. Certo nelle prime fasi dell’innamoramento è naturale che ci sia la volontà reciproca di una certa frequentazione esclusiva, quindi, non è sempre facile capire questi segnali. Certo, se i segnali si sommano e c’è un crescendo per cui si tende a un controllo costante il campanello è chiaro e bisogna uscire dalla relazione o chiedere aiuto. Altre richieste allarmanti possono essere “perché esci con le amiche, non ti basto io”, oppure la richiesta di abbandonare il lavoro (“ci penso io a te”), ecc. sono elementi di una tela che formano una gabbia».

Questo ci aiuta a capire quanto sia sbagliato colpevolizzare le donne con frasi tipo “ma perché non l’hai lasciato prima”, “perché non lo denunci”?
«Sì, è un altro errore di sottovalutazione del fenomeno. Non è facile per chi è vittima capire subito i segnali e spesso l’abusatore mina completamente la fiducia della donna in sé stessa, per cui uscire dalla gabbia è difficilissimo. Quando si arriva alla violenza fisica ricordo che anche solo uno schiaffo è sempre uno schiaffo di troppo. Le famiglie d’origine a volte sono anche complici della colpevolizzazione quando cercano di mediare con una riappacificazione sterile in cui si chiede alla donna di perdonare».

Se ci sono dei figli?
«Il quadro è ancora più complesso, perché spesso la madre è pronta a sacrificarsi all’inverosimile pur di proteggerli. Le donne sono sole con davanti una montagna da superare. Anche chi pensa di denunciare ha paura o che la violenza peggiori dopo la richiesta pubblica d’aiuto o che la sua denuncia non venga presa sul serio dalle forze dell’ordine. Su questo secondo punto è bene sapere che, se è vero che in passato certe situazioni erano meno comprensibili e quindi si invitava, ad esempio, a una riappacificazione un po’ forzata tra moglie e marito, oggi c’è un’attenzione sulla formazione del personale che è allertato su questo tipo di richieste».

Il conflitto è diverso dalla violenza insomma…
«Esatto, questo concetto adesso comincia a essere più chiaro a tutti ma è stato spesso confuso. I giornali, ad esempio, dovrebbero smetterla di usare la parola “lite” quando c’è di mezzo un’aggressione: se ti accoltello non siamo di fronte a un litigio, siamo di fronte alla violenza pura e semplice».

Ci sono degli stereotipi anche sul maschio violento?
«Sì, si dice spesso che siano solo gli uomini con disturbi di dipendenza da alcol e sostanze, o con disturbi psichiatrici (da cui il ‘raptus’) o che siano stati da bambini a loro volta sempre e infallibilmente vittime di violenza. O ancora che sia colpa del rapporto con la madre…paradossalmente eccoci tornati a colpevolizzare la donna ancora una volta. Le cause invece sono varie e molteplici».

I maschi devono cambiare mentalità, come?
«L’uomo deve mettersi in discussione e non essere vigliacco nel confronto con sé stesso, la propria storia e l’educazione impartita. Esistono anche dei gruppi di ascolto maschile, come GNAM, dove si parla degli stereotipi e come superarli nel piccolo: dall’accudire i figli alla pari con le donne (e qui ci vorrebbe un intervento normativo sul congedo di paternità, assolutamente inadeguato), alla cura della terza età, all’ammonimento all’amico/conoscente che usa parole violente parlando di donne, anche quando queste non sono presenti».  

Un articolo di

Velania La Mendola

Velania La Mendola

Vita e Pensiero

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Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Le iniziative in Cattolica

L’Università Cattolica è da sempre impegnata nell’ambito delle pari opportunità, dell’inclusione e del rispetto della persona. Da oggi è attiva anche una pagina dedicata a questi temi che raccoglie gli obiettivi, le linee guida e i progetti che sono e saranno promossi da specifici organismi interni all’Ateneo. 
Pubblichiamo di seguito le iniziative promosse dai singoli campus in occasione della Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.   


MILANO

"L’Università Cattolica in difesa delle donne. In ricordo di Giulia Cecchettin" è il titolo dell'iniziativa in programma presso il campus di Milano dell'Ateneo in occasione della Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Promossa dal Comitato Pari Opportunità dell’Università Cattolica e aperta a tutta la comunità universitaria, venerdì 24 novembre (Aula Sant'Agostino, ore 14.30) la sede ospiterà la proiezione del docufilm “Un altro domani”, diretto da Silvio Soldini e Cristiana Mainardi. Durante l'evento, la professoressa Raffaella Iafrate, Prorettrice Delegata del Rettore alle Pari Opportunità, illustrerà le attività del Comitato Pari Opportunità, che rappresentano un ulteriore segno dell'importanza crescente che il tema delle pari opportunità sta assumendo nel nostro Ateneo. Un impegno che coinvolge attivamente corpo docente, personale tecnico-amministrativo e gli studenti. Al termine del docufilm i commenti conclusivi della professoressa Claudia Mazzucato docente di Diritto penale e di Francesca Garbarino, Criminologa clinica e vicepresidente del Centro Italiano per la Promozione della Mediazione.

BRESCIA

Sono diverse le iniziative promosse dal campus bresciano dell’Università Cattolica per sensibilizzare la comunità universitaria in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, fenomeno ancora troppo diffuso nel nostro Paese, come racconta la cronaca degli ultimi giorni. La Facoltà di Scienze della formazione, in collaborazione con il Comitato Pari Opportunità dell’Ateneo, venerdì 24 novembre la testimonianza di Moira Cucchi, che racconterà agli studenti la violenza e le persecuzioni subite dal marito (Mompiano, ore 12.30.). A introdurla sarà Monica Amadini, direttrice del CeSPeFI – Centro Studi di Pedagogia della Famiglia e dell’Infanzia. A seguire, alle ore 13, gli studenti si riuniranno nel cortile interno del campus per l’inaugurazione della Panchina rossa dove verranno ricordate le numerose donne vittime di violenza, alla presenza di Anna Frattini, Assessora alle Politiche educative, alle Pari opportunità, alle Politiche giovanili e alla Sostenibilità sociale del Comune di Brescia. Nella sede di via Trieste, sempre venerdì 24 alle ore 10 (Aula Magna) si svolgerà l’evento “Promuoviamo la consapevolezza”, uno workshop sulla prevenzione della violenza di genere promosso dalla Polizia di Stato.

ROMA

Venerdì 24 novembre nella hall del Policlinico Gemelli si terrà il meeting a più voci “Violenza di genere: cogliere per tempo i segnali”. Sarà l'occasione per fare un primo bilancio delle attività del Centro Antiviolenza S.O.S. Lei nato lo scorso marzo al Gemelli per offrire un servizio dedicato a tutte le donne che subiscono violenza e maltrattamenti grazie alla collaborazione dell’Associazione Assolei e realizzato con il sostegno non condizionato di Windtre. Si discuterà dell’importanza di informare e formare su ciò che davvero è la violenza di genere. Grazie al contributo di diversi rappresentanti del mondo delle istituzioni e delle associazioni si rifletterà anche sulla necessità di saper cogliere e accogliere i segnali che le vittime di violenza mandano a chi le circonda, sia che essi siano familiari e amici, sia che si tratti di professionisti che devono saper intervenire. 

PIACENZA-CREMONA

Presso il Campus di Piacenza, nell’ambito della Settimana del Dono, si è già tenuto di recente un incontro sul tema “Uomini autori di violenza: prevenzione e recupero”, in collaborazione con il Comune di Piacenza e con CIPM Emilia Impresa Sociale – Associazione per la gestione pacifica dei conflitti. Il prossimo 1° dicembre alle ore 10.30 si terrà un incontro, su iniziativa della Facoltà di Economia e Giurisprudenza – Laurea magistrale in Giurisprudenza – Doppia laurea Diritto e Economia, sul tema “Maltrattamenti, stalking e violenza di genere”. Interverrà Elio Sparacino, Magistrato presso il Tribunale di Asti. Con CIPM Emilia, inoltre, sono in fase di programmazione altre iniziative, con focus sulla prevenzione della violenza sulle donne. In altri incontri destinati agli studenti e ai collegiali si punterà a fornire non solo spunti culturali, ma anche informazioni concrete sui comportamenti e sulle attenzioni da adottare, per prevenire appunto episodi di violenza.

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