News | Milano
La partecipazione sia il nuovo nome del dialogo sociale
È questo il messaggio che giunge da un convegno all’Università Cattolica in un periodo in cui tornano ad essere tese le relazioni industriali
| Francesco Chiavarini
03 ottobre 2024
Condividi su:
Cresce il malessere dei lavoratori, aumentano i carichi di lavoro, cala il senso di appartenenza e si fa sempre più fragile il patto di fiducia tra aziende e dipendenti che, oltre allo stipendio, oggi chiedono più ascolto, coinvolgimento e riconoscimento individuale, trovando spesso rifugio nella collaborazione e complicità tra i colleghi. In un contesto di grande trasformazione, i direttori del personale italiani sono sempre più consapevoli della centralità del loro ruolo e sono impegnati in molteplici attività per potenziare l’engagement, progettare al meglio il lavoro ibrido e promuovere diversity & inclusion nelle organizzazioni.
Ma la sfida è molto complessa, a giudicare dallo scollamento di percezione con i dipendenti sul livello di benessere, fiducia e inclusione: gli HR vedono miglioramenti, mentre la maggioranza dei lavoratori dichiara di stare peggio rispetto a un anno fa, 4 su 10 sono poco o per nulla legati alla propria azienda, meno di metà del totale si sente valorizzato, il 23% denuncia addirittura di essere stato discriminato. In questo contesto, si affacciano le grandi opportunità dell’intelligenza artificiale, che oggi è già presente solo in un’azienda su cinque, ma dove è stata sperimentata ha avuto un impatto positivo sul lavoro in 9 casi su 10, con miglioramenti riscontrati nel benessere, nella velocità e nella riduzione della fatica.
Sono alcuni risultati dell’HR Trends 2024, la ricerca di Randstad Professionals – divisione di Randstad specializzata in ricerca e selezione di middle e senior management – in collaborazione con l’Alta Scuola di Psicologia Agostino Gemelli (ASAG) dell’Università Cattolica, che ha esplorato gli ultimi trend in ambito risorse umane. Un’indagine quali-quantitativa condotta su un campione di oltre 300 responsabili risorse umane italiani e altrettanti lavoratori (sia occupati che al momento non occupati), per mettere a confronto le loro opinioni su benessere, senso di appartenenza, impatto della tecnologia nelle organizzazioni.
«Per generare senso di appartenenza è necessario ripensare il patto di fiducia tra azienda e lavoratori. Lo stipendio e i possibili benefits non bastano – afferma Caterina Gozzoli, docente di Psicologia clinica dei gruppi e delle organizzazioni dell’Università Cattolica –, bisogna sostanziare il legame tra lavoratori e azienda attraverso risposte condivise alla crescente ricerca di ‘senso’ espressa dalle persone nel loro lavoro. I dati della ricerca evidenziano, inoltre, una distanza tra HR e lavoratori: bisogna dare importanza a fattori cruciali come il coinvolgimento attivo nelle decisioni aziendali, la credibilità e la trasparenza delle comunicazioni. La ricerca mostra con chiarezza la necessità di alimentare e nutrire il “fattore umano” nelle organizzazioni da non intendersi in contrapposizione o antagonismo alla prospettiva di accogliere le nuove tecnologie ma di una autentica valorizzazione delle persone che passa dal riconoscimento, dallo scambio tra visioni ed expertise tra generazioni, prospettive di sviluppo non fondate sul mero tecnicismo».
I RISULTATI DELLA RICERCA
L’Intelligenza artificiale. Le aziende italiane hanno un’adozione ancora limitata dell’AI, anche se dove presente questa tecnologia mostra risultati promettenti nel supporto al lavoro umano. Poco più di un quinto delle organizzazioni (il 21% secondo gli HR, il 22% per i lavoratori) ha già introdotto soluzioni di intelligenza artificiale e chi l’ha sperimentata evidenzia un impatto positivo in oltre 8 casi su 10 (82% degli HR e l’86% dei lavoratori).
Nello specifico, 6 aziende su 10 hanno avuto miglioramenti nel benessere, grazie soprattutto a effetti positivi su riduzione del carico di lavoro, possibilità di aiuto rapido e alleggerimento di lavori non gratificanti. Gli aspetti negativi più percepiti invece sono stati perdita del senso di utilità (per il 43% degli HR) e diminuzione della qualità della formazione (per il 38% dei lavoratori). Dopo l’adozione dell’AI, in 9 casi su dieci (sia tra gli HR che tra i lavoratori) si registra maggiore velocità nel raggiungimento dei risultati, in 8 su dieci meno fatica.
Ma per cosa è usata esattamente oggi l’AI in azienda? Principalmente per analisi dei dati, creatività (creazione immagini, testi, spunti), traduzioni, ampliamento di competenze. Tra le diverse soluzioni, gli HR usano principalmente Copilot/Ms Office e sistemi di automazione e marketing, mentre i lavoratori usano soprattutto ChatGPT, oltre che Copilot/MS, soluzioni di redazione testi, mail, traduzioni.
Nelle aziende che hanno introdotto l’AI, il 36% (quindi ancora una minoranza) la utilizza nel dipartimento di risorse umane, principalmente per automatizzare procedure amministrative (44%), analizzare cultura e clima (26%) e creare percorsi di formazione (26%), in minor misura screening curricula, automazione delle interviste preliminari, analisi delle prestazioni e delle retribuzioni (tutte al 17%). I benefici più percepiti dagli HR sono di efficienza: riduzione dei tempi, snellimento dei processi e riduzione o facilitazione del lavoro. Al di là degli esempi evoluti, l’AI nel mondo HR appare ancora in fase "early stage": non tutte le aziende sono pronte ad un’introduzione allargata, soprattutto per scarsa conoscenza. Ma la tecnologia è considerata strategica e in chiave prospettica gli HR sono interessati anche a strumenti evoluti per analizzare il "ciclo di vita" dei dipendenti, monitorare soddisfazione e performance.
Il benessere. Emerge un deciso scollamento nella percezione di HR e lavoratori sul benessere in azienda, per tutti un elemento sempre più cruciale. Secondo la maggioranza degli HR (il 54%) nell’ultimo anno il benessere dei dipendenti è migliorato, ma i candidati la vedono diversamente: solo il 24% nota un miglioramento, mentre la maggioranza (38%) indica un peggioramento. Per gli HR, gli aspetti che più influiscono sul benessere sono senso di collaborazione/complicità tra colleghi, opportunità di formazione, maggiore motivazione, riconoscimento degli obiettivi raggiunti. Nella percezione dei lavoratori, conta prima di tutto la motivazione personale, poi il maggior senso di appartenenza e l’aumento di stipendio, seguiti dal riconoscimento degli obiettivi raggiunti. Tra le influenze negative, la scarsa attenzione alla motivazione, il mancato riconoscimento degli obiettivi, i carichi di lavoro eccessivi.
Una conferma di queste tendenze viene dalle principali leve per la motivazione, su cui c’è un sostanziale accordo tra HR e lavoratori: incentivi economici, opportunità di carriera, work-life balance, interesse per ciò di cui si occupa, ma i direttori personale indicano anche “lavorare per un’azienda che si stima”, i dipendenti il riconoscimento delle loro capacità.
Il patto di fiducia. Il legame tra azienda e lavoratore si fa sempre più fragile. Solo il 59% dei lavoratori si sente parte integrante dell’azienda per cui lavora, il 30% poco, l’11% per niente. E negli ultimi 12 mesi, la situazione sta peggiorando: solo il 16% nota un aumento nel senso di appartenenza, ben il 33% indica un calo. Mentre gli HR vedono soprattutto un aumento, nel 27% dei casi, e una diminuzione solo nel 10%. Più di metà degli HR ha realizzato nell’ultimo anno attività per potenziare il senso di appartenenza: soprattutto formazione, condivisione degli obiettivi, ma anche momenti di celebrazione dei risultati e team building.
C’è un sostanziale accordo sull’importanza dell’inclusività: per l’85% degli HR e il 69% dei lavoratori è fondamentale per il benessere generale. Ma il giudizio sull’impegno della propria azienda è diverso: è attenta all’inclusività per il 77% degli HR e solo per il 53% dei lavoratori, con una differenza percepita soprattutto nelle politiche di assunzione, nelle comunicazioni e nella trasparenza. Non a caso, le comunicazioni dell’azienda dei dipendenti sono giudicate trasparenti e credibili per il 78% degli HR, ma solo dal 45% dei lavoratori.
Ben un quarto dei lavoratori (23%) riferisce di essere stato discriminato nel corso della carriera: prevalentemente per l’età, ma anche per il genere, in minor misura per questioni personali, divergenze sul metodo di lavoro, origine nazionale o etnica, orientamento sessuale e identità di genere o pensiero politico.
Valorizzazione. La maggioranza degli HR (68%) giudica “valorizzati” i dipendenti della sua azienda, mentre la pensa così solo il 48% dei lavoratori. I principali modi di valorizzazione per i direttori personale sono crescita professionale, riconoscimento individuale, benefici e vantaggi, invece per i lavoratori vengono prima di tutto riconoscimento individuale, partecipazione alle decisioni aziendali e feedback costanti dai superiori. A questo proposito, i sistemi di raccolta feedback sono poco diffusi nelle imprese italiane (solo nel 23% dei casi per gli HR, nel 28% per i candidati), ma dove presenti hanno effetti positivi, soprattutto nell’aumento della collaborazione e della comunicazione.
Un percorso di scambio di conoscenze intergenerazionale è presente in quasi un’azienda su due (48%) secondo gli HR, ma i lavoratori li percepiscono solo nel 23% dei casi. Dove presente, la soddisfazione è alta per tutti: per il 94% degli HR, per l’89% dei lavoratori per la crescita personale, oltre che l’86% per i risultati raggiunti. Lo scambio di conoscenze intergenerazionali riguarda soprattutto ambiti tecnici: competenze specifiche, know-how, esperienze, tutoraggio, in minor misura formazione on the job, informale, scambio bilaterale di competenze.
Carichi di lavoro. Si registra un aumento dei carichi lavorativi negli ultimi 12 mesi, soprattutto dal punto di vista dei lavoratori, che li evidenziano nel 48% dei casi (per gli HR nel 35%). I Direttori del personale denunciano una sofferenza particolare nel loro dipartimento, quello più impattato tra tutti (52%). Secondo gli HR la principale causa dell’incremento dei carichi di lavoro è il numero di clienti-progetti, poi la riduzione dell’organico e l’adattamento alle nuove tecnologie (31%). l principali effetti sono aumento dello stress (68%), più richieste di aumenti di stipendio (36%), riduzione della qualità del lavoro (32%). Analisi simile, anche per i lavoratori che vedono l’aumento dei clienti / progetti al primo posto, poi riduzione dell’organico e aumento della formazione come ragioni principali, con effetti su stress, desiderio di aumenti salariali, frequente burnout (stanchezza e perdita di motivazione).
Un articolo di