Verrebbe da chiedersi se sia più corretto definire Mattioli (1895-1973) un banchiere umanista o, piuttosto, un umanista banchiere. Con questa domanda, Sebastiano Nerozzi, docente di Storia del pensiero economico all’Università Cattolica, ha aperto il suo intervento durante la presentazione del libro scritto da Francesca Pino, Raffaele Mattioli. Una biografia intellettuale.
L’evento si è svolto lunedì 28 ottobre presso l’Università Cattolica, su impulso del Dipartimento di Economia e Finanza, della Fondazione Raffaele Mattioli e dell’Associazione Francesca Duchini. Hanno partecipato, oltre a Nerozzi e Pino, diversi docenti e studiosi, tra cui Luca Vittorio Angelo Colombo, direttore del Dipartimento di Economia e Finanza dell’Università Cattolica; Ricciarda Mattioli, presidente della Fondazione Raffaele Mattioli; Daniela Parisi, presidente dell’Associazione Francesca Duchini; Pier Francesco Asso, docente di Storia del pensiero economico all’Università degli Studi di Palermo; Marco Veglia, docente di Letteratura italiana all’Università Alma Mater Studiorum di Bologna; Maria Villano, docente di lettere e cultrice della materia presso il nostro Ateneo.
Ma perché presentare la biografia di Mattioli all’Università Cattolica? A ben vedere la storia personale di Mattioli si intreccia, per un tratto breve ma significativo, con quella della nostra Università. Colombo e Parisi hanno richiamato la docenza che, Mattioli, allora amministratore delegato della Comit, tenne nell’insegnamento di Tecnica bancaria dall’a.a. 1939-40 all’a.a. 1943-44. In particolare, Parisi ha ricordato che gli appunti del corso di Mattioli furono collezionati da Francesca Duchini, allora giovane studentessa in Cattolica; mentre Colombo ha richiamato le motivazioni esposte da padre Gemelli per giustificare l’inserimento di una figura laica e liberale come quella di Mattioli all’interno del corpo docente: la possibilità di attrarre eccellenze in ambiti specifici e di elevato profilo tecnico, non confliggeva, infatti, con l’identità e la missione dell’Ateneo dei cattolici italiani.
Mattioli era non solo un banchiere e un economista, ma anche umanista, editore e formatore di classe dirigente, come spiegato da Asso e Veglia. Asso definisce Mattioli un “banchiere schumpeteriano”, innovatore nel fondare un modello virtuoso nei rapporti banca-impresa, basato sulla conoscenza e sul decentramento del processo decisionale. La sua struttura organizzativa assegnava ai vertici aziendali un ruolo di guida, delegando alla base i processi decisionali, valorizzando le relazioni e il capitale umano dell’azienda. Un ruolo centrale era svolto dall’Ufficio Studi della Comit, un organo prestigioso a livello internazionale, che ha innovato la cultura economica del tempo; un esempio emblematico è la sua interpretazione critica ed eterodossa delle dinamiche del miracolo economico italiano. Analizzando il rapporto con Benedetto Croce e con Riccardo Bacchelli, Veglia ha illustrato come Mattioli abbia formato, nella sua abitazione di via Bigli a Milano, una generazione di dirigenti non solo nelle competenze tecniche legate alla banca, ma anche in una cultura umanistica considerata essenziale per una classe dirigente e, più in generale, per una borghesia istruita e consapevole, capace di promuovere non solo la crescita economica, ma anche lo sviluppo delle istituzioni e della società nel suo complesso.
Villano ha evidenziato come l’amore di Mattioli per l’umanesimo si concretizzasse anche nel sostegno attivo al mondo culturale e editoriale. Egli fu legato a due case editrici importanti: acquisì la casa editrice Ricciardi di Napoli e divenne il più fervente sostenitore della casa editrice Einaudi di Torino, infondendo in queste iniziative idee e capacità organizzative. Infine, Nerozzi ha ricordato alcuni aspetti dell’impegno civile di Mattioli: dalle iniziative a favore di ebrei perseguitati, al sostegno dato ai circoli antifascisti ospitati e protetti all’interno della Banca, ai complessi rapporti con il partito comunista, alle missioni diplomatiche per riportare l’Italia nel consesso dei paesi democratici e sostenere la ricostruzione del Paese.
In conclusione, dalle pagine di Pino emerge un ritratto di Mattioli come un uomo dall’ingegno versatile e multiforme, un “politropo” che, attraverso la cultura, contribuì alla costruzione di istituzioni e iniziative per il bene comune, lasciando un importante retaggio di civiltà.
Mattioli, tuttavia, benché intrattenesse profondi legami con figure come Ugo La Malfa (Partito D’Azione), Giovanni Malagodi (Partito Liberale Italiano) e Franco Rodano (Sinistra Cristiana), non volle mai impegnarsi direttamente in politica; dichiarava: “Alla Comit la politica si respira nell’aria, nel senso dell’impegno culturale, civile [...] io faccio politica ogni giorno” [S. Gerbi, Raffaele Mattioli e la politica, in Bancaria, 2 (2020), p. 83]. Eppure, probabilmente, proprio questa distanza dall’attività politica diretta gli impedì di concretizzare il suo modello di classe dirigente in un’azione che, a suo avviso, avrebbe potuto rendere il miracolo economico una realtà realmente solida e duratura.
Montale lo descrisse come un “keynesiano bordeggiante a sinistra” [F. Pino, Raffaele Mattioli. Una biografia intellettuale, il Mulino, Bologna 2023, p. 82] e in effetti Mattioli, era convinto che il miracolo economico richiedesse programmazione economica e riforme strutturali, oltre la positività degli indicatori macroeconomici. Per lui, le mancanze del sistema si manifestavano nella scarsa lungimiranza degli imprenditori, da lui definiti “senescenti minorenni” [F. Pino, op. cit., p. 361] e in una classe dirigente incapace, a suo giudizio, di gestire la cosa pubblica con efficacia. Questa disillusione è evidente nella sua dichiarazione, contenuta nella relazione annuale Comit per l’esercizio 1969: “el difeto xè nel manego”.