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Armida Barelli, con cuore di donna

01 aprile 2022

Armida Barelli, con cuore di donna

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«Ci sono molti modi per accostare le biografie. Uno più semplice è quello di cominciare dalla gioventù e seguire le tappe della vita, un altro è quello di dare la parola alla diretta interessata. Armida Barelli nel suo Diario spirituale, rivolgendosi alla Gioventù femminile di Azione Cattolica, scrive: “Non accontentatevi di essere buone alla buona”». 

Si apre con queste parole di Aldo Carera, direttore dell’Archivio per la storia del movimento sociale cattolico in Italia “Mario Romani”, l’incontro “Con cuore di donna” promosso dall’Ateneo di largo Gemelli e dall’Istituto Giuseppe Toniolo in vista della 98° Giornata per l’Università Cattolica del 1° maggio, celebrata il giorno successivo alla beatificazione della cofondatrice dell’Ateneo (30 aprile nel Duomo di Milano).

Con quelle parole Armida Barelli intendeva allungare il passo in una società dello scorso inizio secolo in cui il ruolo delle donne era ancora marginale. Nata nel 1882 in una famiglia borghese e poco religiosa, la giovane donna ha espresso la sua capacità di relazione e la sua profonda fede andando avanti con umiltà, prudenza e fortezza contro ogni stereotipo della società, della sua famiglia e del mondo cattolico.

“Lavorate senza posa” scriveva ancora nel suo Diario, come ha ricordato Carera, proprio come faceva lei attraversando l’Italia in treno in un tempo in cui questa azione non si addiceva a una donna sola. “Amate, amate, amate”, ammoniva così le giovani donne richiamando la scelta di quell’amore francescano che la accomunava a Padre Gemelli, inteso come un amore costruttivo, un’intelligenza creativa capace di incidere nella vita.

L’esortazione a “vivere nel mondo senza nulla concedere al mondo” appropriandosi della propria dimensione di impegno personale che deve diventare collettivo, è ciò che ha ispirato la Barelli insieme alla dimensione spirituale sempre più marcata nella sua vita. 

«Quando una suora le ha offerto un testo da meditare per cinque minuti lei si è applicata, cosa che le era congeniale, e poi ha chiesto: “Ho letto in un minuto, e negli altri quattro cosa devo fare?”. Così ha imparato a meditare e meditare vuol dire fermarsi e fare silenzio. È interessante notare che più la tecnologia aumentava più aumentava la sua capacità di meditazione».


Una suggestione lanciata da Alessandro Zaccuri, direttore Comunicazione dell’Università Cattolica, che ha visto una somiglianza tra l’inizio del XIX secolo, in cui Armida Barelli era giovane, e il nostro presente. «Le tecnologie sono nate nei primi vent’anni del Novecento: diventa popolare il cinema, si diffonde la radio, la voce si distacca dal corpo. La smaterializzazione di oggi inizia lì. Il telefono nasce lì». E ancora, ci sono narrazioni in cui si evince questa vicinanza tra passato e presente come nel racconto di Edmund Wilson che, «parlando della famiglia dell’amico Scott Fitzgerald lo prendeva in giro perché ascoltava continuamente Stravinskij con la moglie. Un po’ come oggi che i giovani sono sempre su Instagram!» - ha raccontato Zaccuri. Armida ha vissuto in un mondo che stava cambiando e sullo sfondo il grande tema della guerra. Proprio come oggi.  

Zaccuri ha colto un’altra somiglianza storica tra la biografia di Armida Barelli e quella milanese e mistica di Clemente Rebora che, vissuto nella stessa epoca, ha combattuto in guerra, si è convertito, si è cimentato nell’impresa della poesia.

Nella graphic novel Armida Barelli. Nulla sarebbe stato possibile senza di lei della giornalista Tiziana Ferrario tornano tutti questi temi che tratteggiano la figura di una donna innovativa, pioniera, che ha favorito l’emancipazione senza averne la consapevole intenzione. 

«Quando oggi usiamo le parole “impresa” e “ceo”, possiamo dire che in lei erano già presenti. Oggi la Barelli sarebbe una manager con grande capacità di leadership - ha sottolineato Ferrario -. È riuscita a far uscire di casa le ragazze del Sud, a dare loro un’occasione di formazione, ha contribuito a fondare l’unica università che doveva formare la classe dirigente cattolica».

«Volevo raccontare la sua storia in un momento in cui si rivaluta il ruolo delle donne e volevo raccontarla agli studenti con un linguaggio a loro caro per far conoscere cosa c’è dietro la nascita di questo ateneo: una donna rivoluzionaria, guidata dalla fede e dal Sacro Cuore, una donna molto rigorosa con se stessa ma sempre disponibile con gli altri». 

A un mese dalla beatificazione della cofondatrice, si può dire con Zaccuri che «essere nel proprio tempo per cambiarlo è tipico dei santi. Essere nel mondo ma non del mondo, come ci ricorda l’epistola a Diogneto, documento perso per secoli e ritrovato nel 1400 in un mercato di Costantinopoli, e commentata dall'ex rettore dell'Ateneo Giuseppe Lazzati. E Armida era così».

Con l’immagine degli angeli (come il manipolo dei sognatori che hanno creato e accompagnato un secolo di università) usata dall’arcivescovo di Milano Mario Delpini per parlare di Armida Barelli, il moderatore dell’incontro Roberto Fontolan ha sollecitato Alessandro Zaccuri.  «Alcune persone sono angeli sotto mentite spoglie. Ricordiamo la Lettera agli Ebrei (13,2): “Non dimenticate l'ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli”. Mi piace pensare alla prudenza che dobbiamo avere nei confronti dell’altro, e in particolare quando l’altro sono i giovani. Armida non aveva ancora 40 anni quando con ostinazione giovanile ha perseguito il progetto dell’Università Cattolica. È tipico dei santi non avere il senso della misura. Ed è tipico dei giovani. Il modo migliore per rendere omaggio alla sua santità è quello di ascoltare i giovani con il dubbio che non siano proprio loro ad avere ragione». 

Un articolo di

Emanuela Gazzotti

Emanuela Gazzotti

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