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Autonomia differenziata, tutti i nodi da sciogliere

05 marzo 2024

Autonomia differenziata, tutti i nodi da sciogliere

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Un convegno, promosso il 29 febbraio dal Centro di Ricerche in Analisi economica e sviluppo economico internazionale (Cranec) e dall’Istituto Luigi Sturzo, ha messo a confronto sia economisti sia giuristi per discutere del disegno di legge recante “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma della Costituzione”, presentato dal Governo il 23 marzo 2023 (A.S. n 615, cosiddetto disegno di Legge Calderoli) allo scopo di dare un percorso di attuazione all’art. 116, terzo comma, della Costituzione introdotto dalla riforma costituzionale del 2001. Il disegno di legge è ora in discussione alla Camera dei deputati dopo essere stato già approvato dal Senato (alla fine di gennaio) con alcuni emendamenti rispetto alla versione licenziata dal Governo.

Il suddetto comma tre della Costituzione prevede che: “Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” possono essere attribuite a tutte le Regioni a statuto ordinario (di qui innanzi RSO) in quelle materie che – secondo quanto prescrive l’art. 117 terzo comma della Costituzione – sono a oggi di competenza concorrente tra lo Stato e Regioni. Un ventaglio molto ampio di materie (ad esempio: l’istruzione, la ricerca scientifica e tecnologica e il sostegno all'innovazione per i settori produttivi; la tutela della salute; il governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; la produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia, l’ambiente) che possono passare alla competenza esclusiva delle Regioni sulla base di una legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all'articolo 119 della Costituzione. Si specifica altresì che tale legge deve essere approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di un’intesa fra lo Stato e la Regione interessata.

Il convegno ha voluto fare un focus soprattutto sul trasferimento alle Regioni delle materie istruzione e salute (in parte quest’ultima già di competenza regionale), «due aspetti costantemente al centro dell’agenda politica dei governi italiani, ma troppo spesso affrontati senza un solido legame a una definizione organica di ridefinizione delle competenze che sappia tenere insieme le aspirazioni e le esigenze locali con la visione unitaria dello Stato fissata nella Carta Costituzionale», come ha evidenziato il rettore Franco Anelli in un messaggio ai relatori del dibattito.

Ma che cosa prevederà l’autonomia differenziata? Intanto, «non andrà a tutte le Regioni a statuto ordinario ma a quelle che la chiederanno», ha detto Floriana Cerniglia, direttore Cranec, che nella sua introduzione ha ricordato come gli incontri e i dibattiti promossi dal Centro di ricerca coinvolgono sempre economisti e giuristi con l’obiettivo di fornire una chiave di lettura economica e giuridica delle tematiche affrontate. «La questione, quindi, non è solo di carattere economico circa le risorse da ripartire e trasferire su istruzione e sanità; sono materie delicate e abbiamo invitato studiosi anche con esperienze in campo istituzionale per via degli incarichi ricoperti. A loro il compito di discutere il disegno di legge Calderoli che cerca di dare attuazione al comma 3 dell’art. 116, come sancito nel 2001. Si tratta di discutere dell’eventualità di un trasferimento alle Regioni a statuto ordinario di 23 materie che si declinano in 500 funzioni come messo in evidenza in una ricostruzione del Ministero per gli affari regionali e le autonomie. Si tratta in buona sostanza di quasi tutto il totale della spesa pubblica, se escludiamo la previdenza, la difesa e ordine pubblico».

L’interpretazione e l’applicazione normativa, dunque, non si presentano facili. Lo ha detto bene Anna Maria Poggi dell’Università di Torino, secondo cui l’art. 116 è la norma più problematica di tutta la revisione costituzionale del 2001 poiché introduce un terzo modello di Regione diverso da quella a statuto speciale. Il problema è che dovrebbero essere trasferite le funzioni ma non le materie, come da dettato costituzionale. «Nel campo dell’istruzione, poi, si presentano varie problematiche», ha fatto presente Poggi. E a tal proposito che ha inanellato una serie di interrogativi: «Perché chiedere l’istruzione indifferenziata? Qual è l’interesse di una Regione ad avere tra le sue competenze l’istruzione che caratterizza l’unitarietà di uno Stato (si dice che l’unità d’Italia avvenne tramite il servizio militare e la scuola). L’istruzione è tra i cardini dell’unitarietà della Repubblica. Che senso ha avere all’interno di uno Stato unitario norme sull’istruzione frazionate sul territorio nazionale?».

Il risvolto finanziario di tale passaggio di competenze è stato analizzato da Patrizia Lattarulo, IRPET Regione Toscana in riferimento ai LEP (livelli essenziali delle prestazioni) connessi ai diritti civili e sociali dei cittadini che lo Stato ha il compito di garantire in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale. «Il mondo del pubblico impiego e dell’istruzione soffre di difficoltà strutturali. Se i supplenti sono mediamente il 30% e in Lombardia il 50% con età avanzata, ci sono problemi che andrebbero affrontati per tutte le Regioni e per tutti gli studenti, e non su singole Regioni».

Guardando al settore sanitario è stato il costituzionalista Renato Balduzzi, già ministro della Salute, a mettere in evidenza le criticità dell’autonomia differenziata, e tutte le ambiguità, l’oscurità, la carenza di ponderazione nel dibattito pubblico per far fronte ad esigenze politiche territoriali contingenti. «Denoto una concezione dell’autonomia non in asse con la Costituzione. Come si fa a dare autonomia su temi (si veda ad esempio l’ambiente) per cui le regole sono fissate in modo sovranazionale, e la competenza attuale è esclusiva dello Stato? La differenziazione esclude la competenza dello Stato. Il regionalismo italiano deve essere ripensato in modo che abbia un senso. La qualità di un sistema nazionale di tutela in materia sanitaria, ma anche in altre materie, discende dalla capacità di avvicinare i territori e ridurre le diseguaglianze».

Il problema del finanziamento regionale sulla sanità è stato posto da Giuseppe Pisauro dell’Università Sapienza di Roma. Anche lui ha espresso perplessità sull’attuale autonomia differenziata in relazione alle modalità di finanziamento da parte dello Stato alle Regioni che chiederanno l’autonomia differenziata, soprattutto perché l’altra gamba del decentramento, cioè un assetto compiuto del finanziamento delle regioni a statuto ordinario con tributi propri, compartecipazioni e un fondo perequativo è ancora monco nonostante la riforma del 2001 e una legge delega del 2009.

L’intervento conclusivo è stato affidato a Nicola Antonetti, presidente dell’Istituto Luigi Sturzo. Ispirandosi a don Sturzo, padre del regionalismo, ha offerto una riflessione politologica sull’avanzamento dei lavori circa l’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario, materie in cui si giocano i bisogni di protezione delle persone. «L’attuale governo, oltre al premierato ha spinto sul regionalismo differenziato per una autonomia legislativa delle Regioni, che la richiedono, unita all’autonomia finanziaria con gestione dei relativi fondi. Si tratta di un baratto politico interno perché il dibattito di natura giuridica ed economica non ha avuto sviluppo».

Di qui la conclusione con un monito molto forte. «Ritengo che non vada fatta una sperimentazione azzardata su istruzione e sanità. La salute tocca la consociatività del sistema democratico e rappresenta la regina della democrazia, che qui pare abbia perso la sua corona».

 

Foto di Stefano Ferrario da Pixabay

Un articolo di

Agostino Picicco

Agostino Picicco

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