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Cambio di rotta per "Don Matteo"

24 maggio 2022

Cambio di rotta per "Don Matteo"

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Trovarsi a un mese dalle riprese a dover cambiare il protagonista di una serie è un vero e proprio allarme rosso per uno sceneggiatore. Normalmente una decina di puntate, come una stagione di Don Matteo, richiedono almeno un annetto di lavoro molto intenso, il coordinamento di una squadra, un paziente lavoro di ideazione, stesura, scrittura e riscrittura delle sceneggiature, e un accurato lavoro di cesello e la produzione ha bisogno di almeno un mese prima di iniziare a girare per trovare location, attori, programmare tutto. 

«A un mese dalle riprese di Don Matteo 13, scopriamo che Terence Hill non se la sentiva di impegnarsi in un’altra stagione della serie. Per lui sono lunghi mesi di lavoro, assai impegnativi, anche perché sente molto il personaggio e lo “vive” con partecipazione. Non si sapeva ancora se avremmo dovuto sostituire completamente il protagonista, ma dopo alcuni giorni intensi di negoziazioni il produttore Luca Bernabei ci comunica la soluzione: Terence farà le prime quattro puntate e dalla quinta ci sarà Raoul Bova».

A raccontarci i momenti di questa “crisi”, poi superata in modo più che brillante, è Mario Ruggeri, nome non molto noto al grande pubblico, ma da circa quindici anni è lui la vera anima della serie televisiva più amata dal pubblico italiano. Mario è stato prima story editor, poi head writer di molte stagioni, e anche autore di innumerevoli puntate, di Don Matteo. Laureato in Filosofia in Università Cattolica, dove poi ha ottenuto anche un dottorato in Linguistica applicata e linguaggi della comunicazione, e ha seguito nel 2001 il secondo corso di sceneggiatura, che ora è diventato il Master in “International Screenwriting and Production”, dove tiene lezioni da diversi anni. 

Con lui, gran parte della squadra di autori, story editor e produttori creativi (su tutti Sara Melodia, Umberto Gnoli, Cecilia Spera, Francesco Arlanch, Luisa Cotta Ramosino e ora diversi più giovani) di Don Matteo, viene dallo stesso Master della Cattolica.

Ha sorpreso tutti il fatto che, senza Terence Hill, non solo non sono calati gli spettatori, ma la serie li ha addirittura aumentati, superando il 30% di share e i sei milioni di spettatori. In epoca di frammentazione degli ascolti, un successo straordinario finito sulle pagine di tutti i giornali. E la fatidica puntata 5, quella del “cambio” era veramente una puntata da incorniciare.

Mario ha una mente architettonica nella costruzione delle storie, non a caso il suo dottorato è stato sulle tragedie di Shakespeare e ha dato origine a un bel volume pubblicato pochi anni fa da Vita e Pensiero (Shakespeare sceneggiatore. La tecnica di scrittura di cinque grandi tragedie, 2016). Oltre a Don Matteo, Mario Ruggeri è stato per molte stagioni head writer di un’altra serie di grande successo Un passo dal cielo, e ha contribuito, insieme ad altri, sia a Blanca e sia alle due stagioni di Diavoli, la serie Sky sul mondo della finanza.

Cambio improvviso di protagonista a pochi giorni dal set: come avete affrontato questa crisi? 
«Abbiamo presto saputo che ci sarebbe stato Raoul Bova come nuovo sacerdote. Da una parte la cosa ci ha aiutato perché è normale che i sacerdoti cambino parrocchia e lascino quella che è un po’ la loro “famiglia” a qualcun altro. È vero che Terence Hill è don Matteo, ma c’è anche una famiglia: il maresciallo Cecchini interpretato da Nino Frassica, Natalina, il capitano dei carabinieri interpretato da Maria Chiara Giannetta, il pm di Maurizio Lastrico…. Ci siamo posti il problema di come far entrare questo nuovo personaggio nella famiglia di don Matteo. In fondo è una cosa naturale, che succede nella vita, qualcosa che lo spettatore italiano conosce».

Come avete deciso la caratterizzazione del nuovo personaggio interpretato da Raoul Bova? 
«Un qualche pensiero su come fare un nuovo don Matteo ce l’avevamo da tempo, e da tempo pensavamo che potesse essere un ex carabiniere, forse addirittura un ex membro dei corpi speciali. A questo abbiamo aggiunto l’idea nuova di costruire una sorta di percorso spirituale per il nuovo sacerdote: l’idea che deve imparare, perché è diventato prete tardi, e quindi in qualche modo deve apprendere “il mestiere”. Abbiamo così costruito un percorso nelle sei puntate con il nuovo sacerdote per consentirgli di “impossessarsi del ruolo” poco a poco. Che cosa vuol dire essere prete, ma anche essere un po’ investigatore. E investigatore non tanto per trovare un colpevole ma per salvare un’anima. In altre parole questo personaggio deve imparare a diventare un altro “don Matteo”».

A vedere le puntate realizzate sembra proprio che Bova abbia il giusto physique du role... 
«In scrittura era un po’ più duro, ma lui di suo ha portato una certa dolcezza e fragilità del personaggio, che funzionano e danno empatia. Fa percepire che è un uomo buono, ma anche un po’ in difficoltà e questo avvicina il pubblico». 

Ti aspettavi questo successo? 
«Mi aspettavo che il format funzionasse, perché il format del prete investigatore funziona. L’investigatore funziona. Quindi in teoria si poteva sostituire, ma non pensavo che potesse mantenere o addirittura aumentare l’ascolto. Non lo pensava nessuno, credo. La partenza di Terence Hill ha creato curiosità e attenzione… anche le domande sul perché andrà via, chi l’ha portato via, ecc. Sarebbe stata ben più dura con l’arrivo improvviso di un nuovo sacerdote a inizio serie, ma legare l’arrivo di Bova alla scomparsa di Terence ha funzionato».    

Quali sono a tuo parere i punti di forza della serie Don Matteo, perché piace tanto? 
«È vero che la serie è iniziata più di vent’anni fa, ma da un punto di vista tecnico e di scrittura la serie si è modernizzata via via. C’è un capitolo scritto da Armando Fumagalli sulla Storia delle serie tv recentemente pubblicata dalle edizioni Audino che lo spiega molto bene: nata come giallo classico, solo “verticale” (cioè con puntate chiuse) oggi è una serie anche orizzontale, multistrand, con molti generi al suo interno. Attualmente la serie è 40% giallo, 30% commedia, 20% romance, 10% teen drama. E c’è una qualità tecnica notevole: solo per fare un nome, il direttore della fotografia, Alessandro Pesci, è lo stesso direttore della fotografia di Nanni Moretti. Il personaggio di Raoul Bova è forse oggi più moderno, più in crisi, più combattuto di Terence Hill, che è più risolto». 

E dal punto di vista dei temi trattati?
«Don Matteo racconta una realtà oggi poco raccontata in TV ma che è presente nella vita di moltissime persone: il rapporto con Dio, l’apertura al trascendente, la necessità di perdonare e di essere perdonati. Racconta dimensioni esistenziali e profonde di un pubblico che esiste, ma che è poco rappresentato: per questo la gente ci si rivede. Se vogliamo semplificare, è anche la vita di provincia o delle città piccole e questa affezione passa attraverso le immagini di due istituzioni che moltissimi ancora amano, la Chiesa e i carabinieri».

Un articolo di

Eleonora Recalcati

Eleonora Recalcati

Docente di Transmedia Storytelling - Corso di laurea magistrale "The Art and Industry of Narration"

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