L'antica porta di noce e di vetro riflette il cortile. Un cartello ben più moderno, plastificato, avvisa il visitatore: centro di allenamento federale di fioretto. Cinquanta scalini, due piani di avvitamento con il borsone sulle spalle, prima di aprire l'ultima porta doppia. Quella che dà sulla palestra della Comense scherma, erede della Società comense di ginnastica e scherma, 150 anni di storia tra le cupole del Duomo e la stazione di Como Lago. Carlotta Ferrari ci aspetta tra le pedane di quella che fu la casa di Antonio Spallino, medaglia d’oro olimpica nel fioretto a squadre a Melbourne ’56 e tre volte campione del mondo. «È la mia seconda casa, è quella che ho scelto come seconda famiglia», racconta, mentre estrae le lame dal borsone. Fiorettista, come quasi tutti nel club lariano, classe 2003, Carlotta in quella palestra è entrata per la prima volta a cinque anni e mezzo. «Inizialmente facevo danza», spiega. «Ma mio fratello gemello, Riccardo, iniziò a fare scherma. Sono sempre stata molto competitiva, così ho voluto praticare il suo stesso sport. Semplicemente per batterlo».
A fare danza ci è finito suo fratello più piccolo, Guglielmo. Lei, da allora, con la scherma non ha più smesso. Dopo aver vinto la medaglia d’oro a squadre ai Campionati europei Giovani, in Estonia, poco più di un mese dopo ha conquistato anche quella d’argento ai Mondiali U20. E non poteva esserci occasione migliore: oggi, 6 aprile, è la Giornata internazionale dello sport per lo sviluppo e la pace. A Plovdiv, in Bulgaria, con la stessa squadra composta da Carlotta Ferrari, Giulia Amore, Matilde Calvanese e Aurora Grandis, l’Italia prima ha sconfitto i padroni di casa, poi ha avuto la meglio su Corea del Sud, Gran Bretagna e Polonia. Fermandosi solo in finale, contro le fortissime fiorettiste americane (45-39). Un momento d’oro per Carlotta, nel vero senso della parola, considerando anche le due medaglie più pesanti in altrettante gare individuali di Coppa del mondo U20. «Durante tutte le gare non siamo mai scese dal podio», racconta, prima di volare in Bulgaria come terza nel ranking mondiale di categoria, e prima in Italia. «Eravamo la squadra favorita, e confermare il pronostico salendo sul gradino più alto del podio agli Europei è stata un’emozione indimenticabile. Siamo riusciti a concretizzare tutto il lavoro che per tanti anni abbiamo fatto con i miei allenatori, ma anche con i miei compagni di palestra e di Nazionale».
I suoi allenatori sono i maestri Serena Pivotti e Massimiliano Bruno, l’anima della Comense scherma. «Lei è destra, lui è mancino», spiega. «Questo mi è molto utile. E poi sono molto fortunata perché il mio metro e sessanta (sorride, ndr) e il busto molto piccolo mi consentono di piegarmi molto e di ridurre al massimo il bersaglio». Il vero punto di forza, però, è la testa. «Riesco a non andare in panico durante l’assalto, anche quando sono in svantaggio. Quando sono sotto, mi piace pensare di essere zero a zero, come se iniziasse tutto in quel momento». Una qualità molto utile in pedana, ma anche tra i banchi dell’università. Per affrontare gli esami di Psicologia tra una gara e l’altra. «Quando devo andare all’università mi sveglio presto, intorno alle sei e un quarto. Sono una pendolare: prendo il treno a Como e intorno alle otto e mezza arrivo a Milano. Passo la mattinata all’università, seguo le lezioni. Poi mangio con le mie amiche e torno di corsa a casa per allenarmi nel pomeriggio».