NEWS | 4-5 maggio

Clonazioni, A.I. e robotica: la sfida del nuovo umanesimo digitale

03 maggio 2022

Clonazioni, A.I. e robotica: la sfida del nuovo umanesimo digitale

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Nel Rinascimento erano uniti, poi è arrivata la Rivoluzione Industriale e le loro strade si sono separate. Eppure il rapporto tra umanesimo e scienza, che ha nella digitalizzazione il suo carattere principale e più recente, è decisivo per il futuro della nostra civiltà. Mercoledì 4 maggio comincia “Umanesimo e Digitalizzazione. Teoria e realizzazioni pratiche” una due giorni di dibattiti per capire meglio come si evolverà questo legame.

Il convegno sarà aperto dal professor Angelo Bianchi, preside della facoltà di Lettere e Filosofia dell’Ateneo, e vedrà intervenire tra gli altri i professori della UCLA di Los Angeles Giorgio Buccellati, archeologo famoso per aver scoperto il sito di Urkesh in Siria e “Premio Balzan 2021 per l’Arte e Archeologia del Vicino Oriente antico”, e la professoressa Maryanne Wolf, neuroscienziata cognitivista già coinvolta nel ciclo “Un secolo di futuro: l’università tra le generazioni” promosso dall’Ateneo per il suo centenario.

Il programma del convegno

Della centralità di questo legame per l’avvenire dell’umanità è fermamente convinto il docente di Filosofia Teoretica della Cattolica Massimo Marassi, responsabile scientifico del seminario assieme alla docente Nicoletta Scotti Muth.

Professore, Umanesimo e digitalizzazione sembrano termini in contrapposizione. Perché invece è necessario che queste due sfere si uniscano?

«L’interpretazione del rapporto tra umanesimo e digitalizzazione oggi appare decisiva per il futuro della civiltà. Con il termine umanesimo si è inteso nell’ambito della storia dei concetti qualificare quelle molteplici e differenti visioni della realtà che convergono nell’assegnare all’uomo una posizione speciale nell’ambito della totalità dell’essere. Riproporre oggi la domanda sull’umanesimo – una domanda che ha impegnato profondamente la riflessione filosofica della seconda metà del Novecento, e i cui risultati giungono fino alle attuali derive paradossali del transumanismo e del postumanismo – significa interrogarsi su quale autocomprensione costituisca l’orizzonte di senso della vita individuale, sociale e politica dell’uomo. Il desiderio di trascendere la dimensione meramente fisica è stato periodicamente affermato in vari modi, come caratteristica costitutiva dell’umano, ma è stato soprattutto negli ultimi vent’anni che si è assistito anche a un progressivo e inatteso decentramento dell’umano. Ciò è avvenuto in gran parte a causa del legame sempre più simbiotico fra l’esistenza umana e una tecnologia avanzata. La comparsa di sostituti funzionali quasi-umani e surrogati di tipo meccanico, bionico e biogenico ha reso incerti i contorni dell’umano e opachi i suoi tratti caratteristici. I risultati più immediati di questa dinamica sono stati, da un lato, l’emergere di un’era caratterizzata dal mito dell’informazione e del «dato» e, dall’altro, la problematizzazione dello statuto del soggetto a più livelli, innanzitutto a livello ontologico ed etico. Ora umanesimo e digitalizzazione appaiono di fatto termini complementari, sebbene ciò non possa esimere da una loro costante analisi e riflessione».

Il concetto di umanesimo digitale esiste e sposta lo sguardo sulla centralità della persona. La sfida del nostro secolo è quindi più etica che tecnologica?

«Le conquiste scientifiche e tecnologiche, come la clonazione, l’ingegneria delle staminali, l’implementazione dei sistemi di intelligenza artificiale e di robotica umanoide pongono in discussione i termini e i valori attraverso cui l’essere umano riconosce, identifica e in ultima analisi differenzia sé stesso dagli altri esseri, mettendo in crisi i confini fra uomo, animale e macchina. Le tecnologie realizzano un nuovo ambiente cognitivo e sociale in grado di modificare la totalità dell’esperienza umana. Non a caso si dice che le tecnologie sono intelligenti, sono in grado di imitare le funzioni tipicamente umane, migliorandole all’infinito e diventandone il paradigma di riferimento. Da questo punto di vista esse modificano il modo di pensare dell’uomo, si trasformano da semplici mezzi a orizzonte di riferimento dei pensieri e delle azioni. Entra così in gioco l’idea che le tecnologie non abbiano limiti al loro sviluppo, ma invece l’uomo è sempre tenuto a considerare e a valutare la propria ineliminabile finitezza: di fatto l’uomo è tenuto a vincolarsi a decisioni che non ledano i diritti della vita, propria e altrui».

Possiamo definire il rapporto tra umanesimo e digitalizzazione una sorta di passo successivo dell’incontro tra le due culture di cui già parlava Charles Snow nel 59?

«Snow non faceva che prender atto, a differenza di molti altri al suo tempo e oggi ancora, che la cultura scientifica e quella umanistica sono entrate in opposizione a partire dalla rivoluzione industriale, una scissione tra l’altro confortata dall’imporsi del positivismo come filosofia e ideologia dominante. Ma occorre ricordare che epoche altissime della civiltà occidentale, come l’umanesimo e il rinascimento, vedevano come protagonisti uomini ad un tempo letterati, filosofi, artisti, scienziati. Ancora Galilei, il padre della scienza moderna, è di fatto uno dei più grandi prosatori del Seicento italiano. Il rinnovato rapporto tra un nuovo umanesimo e la digitalizzazione risponde alle esigenze e ai problemi delle molteplici forme della complessità, come paradigma dominante della civiltà contemporanea. Tutto ciò richiede una nuova riflessione sui caratteri più propri dell’uomo, la sua capacità simbolica e produttiva, la natura discorsiva della ragione umana».

Perché un convegno in Cattolica sul rapporto tra Umanesimo e Digitalizzazione

«Nel corso degli ultimi anni l’Ateneo ha avviato una riflessione sui radicali mutamenti che l’evoluzione tecnologica impone all’umano e alla sua capacità di dare senso a sé stesso. Tale riflessione si è sostanziata ad esempio già nella prolusione del cardinale Gianfranco Ravasi all’inaugurazione dell’AA 2017/18. Il tema è urgente e tocca nel profondo tutte le scienze, sia quelle dure, sia le humanities. È necessario riflettere su una nuova forma di umanesimo, capace di riconoscere come la complessità del presente evidenzi il carattere problematico delle concezioni di uomo proposte dalla tradizione teologica e filosofica occidentale, e che sia però anche fermo nel valorizzare l’essere umano quale punto di avvio e di approdo di ogni ricerca centrata sulla domanda di senso che attraversa l’esistenza. In tal senso l’Ateneo non può sottrarsi ai problemi del tempo presente e può invece proporsi come polo di una riflessione multidisciplinare di respiro internazionale sul tema dell’evoluzione dell’umano rispetto alle trasformazioni tecnologiche concretamente osservabili negli specifici ambiti di ricerca. Per rispondere a questa esigenza è essenziale considerare quale umanità si abbia in mente e quali canoni vengano promossi in ambito formativo per costruire un’immagine dell’umano che non ricerchi "fuori di sé" modelli definitori, lasciandosi così determinare dai propri prodotti senza compiere lo sforzo riflessivo di mettere a tema la natura della propria attività. Oggi la digitalizzazione si mostra come la nuova frontiera che l’uomo è chiamato a considerare per conseguire una nuova immagine di sé».

Un articolo di

Michele Nardi

Michele Nardi

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