La COP28 di Dubai presenta un importante ed originale momento per la diplomazia globale sul clima. Innanzitutto, questa rappresenta la prima COP ospitata in un Paese esportatore di petrolio e presieduta dall'amministratore delegato di una stessa compagnia petrolifera. Circostanze che, senza sorprendere nessuno, hanno suscitato profondi timori di green washing e di conflitto di interessi nella comunità ambientalista mondiale. In secondo luogo, si svolgerà nel bel mezzo di due conflitti, il cui impatto sulle alleanze internazionali avrà probabilmente un’eco nei negoziati sul clima. In terzo luogo, Dubai sarà la prima COP a discutere i risultati del Global Stocktake (GST), che esamina i progressi su mitigazione e adattamento di tutti i Paesi partecipanti alla conferenza e che dovrebbe evidenziare un forte divario tra gli sforzi attuali e quelli necessari per limitare il riscaldamento globale a 1.5 gradi. Questa COP richiede quindi un'attenzione particolare per i dibattiti chiave che daranno forma all'azione climatica globale in futuro.
Il dibattito sulla mitigazione rimarrà una questione controversa alla COP28, soprattutto per quanto riguarda l'uso dei combustibili fossili: alcuni partecipanti (tra cui l'UE) ne sostengono una completa eliminazione e altri (guidati dagli Stati Uniti) supportano una riduzione graduale dei combustibili fossili, integrata dalla cattura e dallo stoccaggio o dall'utilizzo del carbonio. Le varie controparti devono andare oltre le divergenze e concordare una formulazione molto più chiara ed efficace rispetto alle disposizioni generiche per “promuovere l'energia a basse emissioni" raggiunte alla COP27. Un accordo sembra invece a portata di mano per quanto riguarda la definizione di un primo obiettivo globale per le energie rinnovabili, dimostrato dal fatto che l'UE, la Cina e gli Stati Uniti hanno già sostenuto l’impegno di triplicare la capacità di rinnovabili entro il 2030.
Questa COP dovrebbe avere anche il compito di risolvere la discussione sugli ostacoli tecnologici e finanziari alla transizione, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. In effetti, un punto di stallo perenne nei negoziati sul clima è rappresentato dai finanziamenti. Nonostante l'impegno assunto dai paesi ricchi nel 2009 di mobilitare 100 miliardi di dollari all'anno entro il 2020 per sostenere l'azione per il clima nei Paesi in via di sviluppo, questo obiettivo non è ancora stato raggiunto. La COP28 deve affrontare questa carenza, spingendo per un maggiore sostegno finanziario, rispettando gli impegni precedenti e gettando le basi per fissare nuovi e più ambiziosi obiettivi finanziari entro il 2024. Questo impegno non riguarda solo i finanziamenti, ma è fondamentale per la ricostruzione della fiducia e dell'equità tra i paesi avanzati e quelli in via di sviluppo. Un'altra questione controversa è l'operatività del fondo Loss & Damage istituito alla COP27. Sebbene siano stati raggiunti accordi iniziali, persistono dibattiti irrisolti su beneficiari, contributori, ubicazione e dimensione del fondo. Il mancato accordo su questi punti rappresenterebbe un significativo fallimento della COP28.
La COP28 si concentrerà poi sull'adattamento, in particolare con la prevista adozione di un Obiettivo Globale sull'Adattamento a Dubai, che offrirà un quadro di riferimento per la definizione degli obiettivi e il monitoraggio dei progressi negli sforzi di adattamento.
In conclusione, come per ogni precedente COP, la conferenza di Dubai è un banco di prova per l'impegno globale nella lotta al cambiamento climatico. E proprio come le altre COP, probabilmente si concluderà con un risultato sfaccettato che sarà celebrato da alcuni e criticato da altri. Il successo di Dubai dipenderà da diversi fattori, in particolare dall'accordo su un calendario chiaro per l'eliminazione graduale dei combustibili fossili e dal sostegno finanziario adeguato al nuovo obiettivo di triplicare la capacità di energia rinnovabile entro il 2030; dal colmare il deficit di finanziamenti per il clima e dalla piena operatività del fondo Loss & Damage. Un fallimento su questi punti non solo minerebbe l'azione globale per il clima, ma metterebbe anche in discussione il ruolo stesso che la cooperazione internazionale può svolgere nell'affrontare il cambiamento climatico. Un tale fallimento rappresenterebbe, senza dubbio, la più grande sconfitta di tutte.
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