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Donne e scienza, ancora tanti stereotipi da sfatare

07 febbraio 2025

Donne e scienza, ancora tanti stereotipi da sfatare

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Martedì 11 febbraio è la Giornata mondiale delle donne e delle ragazze nelle STEM, ossia Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica. Una giornata istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel dicembre del 2015 e patrocinata dall’UNESCO, per combattere il pregiudizio, sfatare i miti, superare gli stereotipi, accelerare il progresso, promuovendo iniziative per favorire la piena parità di genere nelle scienze.

Le donne scienziate sono ancora una minoranza; secondo i dati delle Nazioni Unite, nel campo della ricerca, la percentuale femminile di ricercatrici, stimata intorno al 33,3%, si trova in condizioni più svantaggiose rispetto ai colleghi ricercatori. Secondo recenti studi, oltre il 65% dei bambini che oggi entrano nella scuola primaria, avrà lavori nella scienza e nella tecnologia che non esistono ancora. Aumentare pertanto la percentuale di studentesse nelle materie STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics) è il primo passo quindi per fornire nuovi modelli alle giovani ragazze del futuro.

Per descrivere e far luce su questo scenario incontriamo Elisa Zanardini, giovane ricercatrice di Fisica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, campus di Brescia, che interverrà all’evento Alate: donne in volo nella scienza, in programma martedì 11 febbraio, dalle ore 9 alle 13, presso il Teatro sociale del CTB. Talk, dibatti e momenti di intrattenimento animeranno l’evento promosso da Università Cattolica del Sacro Cuore (Commissione Pari opportunità e Facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali), Università degli Studi di Brescia (Commissione Genere nell’ambito del progetto STEM in Genere) con il sostegno del Comune di Brescia (Commissione Pari Opportunità).

Il primo stereotipo da sfatare è che le ragazze siano meno brave dei maschi nelle materie scientifiche, tale stereotipo si chiama gender dream gap. Fin dai primi anni di scuola molto spesso capita che le bambine iniziano a pensare di non essere portate per le materie scientifiche, alla base c’è il timore del fallimento, che blocca sia dal punto di vista comportamentale che emotivo che cognitivo.

Elisa, sulla base della tua esperienza, tu l’hai vissuta o riscontrata intorno a te questo stereotipo quando eri una giovane studentessa?
«Sì, ho vissuto lo stereotipo in modo sottile ma costante. Nel mio percorso di studi le ragazze sono sempre state una minoranza e questo già trasmetteva l’idea che certe scelte fossero più “naturali” per un genere rispetto all’altro. Non ho subito discriminazioni dirette, ma ho percepito atteggiamenti diversi nei confronti delle studentesse, come un certo scetticismo iniziale o aspettative diverse. Crescendo, mi sono resa conto di quanto questi stereotipi siano radicati nella società e spesso interiorizzati senza rendersene conto, tant’è che spesso mi rendo conto di essere anche io vittima di pregiudizi». 

Quanto pensi incidano cultura, educazione, pregiudizi e modelli appresi in famiglia e fuori sulla scelta di una ragazza di studiare e dedicarsi ad approfondire materie Stem?
«Penso che incidano moltissimo. Fin da piccole, le ragazze ricevono messaggi, spesso inconsci, che le spingono verso determinati interessi e ne scoraggiano altri. Se una bambina è brava in matematica, si tende a dirle che è “brava e diligente”; se lo è un bambino, si dice che è “portato”, creando due narrazioni molto diverse. L’educazione scolastica, la rappresentazione delle donne nei media e il supporto della famiglia giocano un ruolo chiave nel determinare se una ragazza si sentirà sicura nel perseguire un percorso STEM. È essenziale lavorare su questi aspetti, affinché le scelte siano davvero libere da condizionamenti culturali».

Nell’ambito della ricerca scientifica delle discipline STEM, si può parlare di “glass cliff” per le donne? Vale a dire esiste un pregiudizio nei confronti delle donne, quando si tratta di concorrere per un ruolo importante nel settore scientifico? 
«La presenza femminile in ruoli di leadership scientifica è ancora inferiore rispetto a quella maschile, e le donne incontrano più ostacoli nel vedere riconosciuto il loro lavoro. Il pregiudizio esiste e si manifesta in modi sottili: dalle aspettative più alte per dimostrare il proprio valore, alla scarsa rappresentanza nelle commissioni di valutazione, fino al difficile equilibrio tra carriera accademica e vita personale».

Rivolgendo lo sguardo a quello che accade negli altri paesi, soprattutto in Europa, la situazione è differente o permane il divario donne e discipline STEM?
«Il divario esiste, anche a livello internazionale. Ad una summer school a cui ho partecipato, le ragazze erano solo un quinto del totale, e nel mio lavoro di ricerca mi trovo spesso a collaborare quasi esclusivamente con uomini, sia nel mio gruppo che in quelli con cui collaboro a livello internazionale. Tuttavia, qualcosa sta cambiando. In alcuni paesi europei si investe molto in inclusione e borse di studio per donne nelle STEM, e la consapevolezza sta crescendo. Anche se la strada è lunga, sempre più ragazze stanno entrando in questi settori e facendo sentire la loro voce. Credo che, con il tempo e il giusto supporto, il divario possa ridursi davvero».

Che cosa consiglieresti oggi a una ragazza che decide di iniziare un percorso di studi in ambito STEM? 
«Le direi di non farsi mai dire che non è abbastanza. Se ha la curiosità e la passione per la scienza, la tecnologia o l’ingegneria, allora è nel posto giusto. Non sarà sempre facile, ci saranno momenti di difficoltà e forse si troverà in ambienti con poche altre ragazze. Ma questo non significa che non appartenga a quel mondo: anzi, è proprio per questo che la sua presenza è importante. La scienza avanza grazie a chi ha il coraggio di fare domande e di non accettare risposte scontate».

Un articolo di

Graziana Gabbianelli

Graziana Gabbianelli

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