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La politica internazionale della Santa Sede nel contesto geopolitico mondiale
Il vaticanista de "Il Foglio" Matteo Matzuzzi in dialogo con gli studenti del corso di Storia e sistemi dei rapporti tra Stato e Chiesa
| Agostino Picicco
07 novembre 2022
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Dario Fabbri, giornalista e analista geopolitico, fondatore della rivista “Domino”, noto volto televisivo, comincia con una premessa. «Quella in Ucraina non è la guerra voluta da Putin, ma dal popolo russo. La distinzione fra leader e popolo è sbagliata - chiarisce - perché si dà per scontato che i popoli non abbiano voce in capitolo o che tutti vogliano vivere all’Occidentale. Non è così, la domanda “perché i russi si tengono Putin?” nasce da un pregiudizio. Sono i russi che hanno creato e scelto Putin, non il contrario».
Dario Fabbri è stato ospite del primo appuntamento della 22esima edizione del corso Cives, lo spazio di formazione civica e di riflessione promosso dall’Università Cattolica del Sacro Cuore insieme alla Diocesi di Piacenza-Bobbio, al Laboratorio di economia locale e alla Fondazione di Piacenza e Vigevano, che quest'anno porta il titolo "Zona Franca". All’auditorium dell’ente di via Sant’Eufemia, introdotto da Giovanni Groppi di Cives, dalla preside della facoltà di economia e giurisprudenza Anna Maria Fellegara, da Massimo Magnaschi della Diocesi e dagli studenti di Cives, Fabbri è intervenuto parlando della guerra che è tornata in Europa.
«I russi ritengono l’Ucraina parte della loro famiglia - dice Fabbri - i parenti poveri e inferiori». «Il fatto che gli ucraini guardino all’Occidente è vissuto come un tradimento. La Russia profonda, non quella della borghesia di Mosca o San Pietroburgo, ha un’idea dell’Ucraina claustrofobica, patologica e razzista». «Un razzismo che - precisa - non è estraneo ad alcun popolo».
«L’Ucraina - ha aggiunto - rappresenta per i russi un enorme cuscinetto. Gli invasori vivono in pianura, pertanto sono insicuri. Dall’Elba ai monti Urali non c’è nulla che si frappone se non hai barriere orografiche, come la Russia, devi avere un cuscinetto». L’Ucraina lo ha rappresentato più volte nel corso della storia, afferma il giornalista: nel 1709 quando la Svezia invase la Russia e fu sbaragliata a Poltava, oggi in Ucraina, poi quando vi furono sconfitti i francesi nel 1812 dalla Russia zarista, ma anche quando nella Seconda guerra mondiale, a Stalino, l’odierna Donetsk, morirono tanti italiani.
L’Ucraina è un Paese eterogeneo. «Un abitante di Leopoli e uno di Odessa si parlano in russo. I confini per cui gli ucraini combattono li ha disegnati Lenin con la sua matita, ma sono gli stessi confini che oggi i russi non accettano più. Un aspetto beffardo».
Nelle parole dello studioso anche l’andamento della guerra, che sul piano tattico sta sorridendo ai russi. «Controllano oggi circa il 20% del territorio ucraino, annesso certo in modo posticcio con un referendum farsa, ma così controllano tutto il Donbass. Buona fetta dell’ex Pil dell’Ucraina è nelle mani russe».
Per la Federazione Russa c’è poco da sorridere, invece, sul piano strategico. «Il grande errore russo è stato credere che gli ucraini li avrebbero accolti come liberatori. Non è accaduto neppure a Kharkiv, città completamente russofona. La Russia ha dimostrato di non essere una grande potenza militare, pertanto svedesi e finlandesi hanno abbracciato con coraggio la Nato, oggi tornata in buona salute. Inoltre la guerra ha fatto dell’Ucraina un Paese, cosa che prima non era davvero. Infine per il grano e il gas la Russia dovrà rivolgersi con il cappello in mano a Pechino, ma senza alternativa il prezzo lo farà la Cina. Ricordiamolo: russi e cinesi hanno un nemico comune, gli Usa, ma non sono certo alleati».
Il futuro è un'ipotesi. «I russi fanno la rivoluzione solo in un caso - continua Fabbri - quando percepiscono che l’impero è sconfitto e umiliato all’estero. Non sono le ragioni economiche che spingeranno il popolo russo alla rivoluzione: se chiedete quale sia la loro sconfitta militare peggiore della storia, un cittadino russo vi parlerà della battaglia del 1905 a Tsushima, un’isola nello stretto di Corea in cui furono sbaragliati dal Giappone. Quell’anno nacquero la Duma e i Soviet. Dalla prima rivoluzione lo zar si salvò per miracolo, non dalla seconda del 1917».
«Putin - ha concluso Fabbri - rischia davvero solo nel caso in cui i russi perdano la Crimea o siano ricacciati nei loro confini. La gloria dell’impero può di più di tutto il resto».
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