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Fede poetica, l’incanto delle storie

25 marzo 2025

Fede poetica, l’incanto delle storie

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«Il cervello è il peso di Dio. Se li si mette uno a fianco all’altro, tra loro c’è la stessa differenza che c’è tra una sillaba e il suo suono». A introdurre uno degli ultimi incontri del Soul Festival, intitolato “Fede poetica: l’incanto delle storie” domenica 23 marzo è stata la neuroscienziata della University of California Los Angeles (UCLA) Maryanne Wolf che ha aperto il suo intervento parlando di poesia, da lei denominata “la madre dei suoni”. 

Da Adrienne Rich a Gustave Flaubert, da Alexander von Humboldt a Marcel Proust, Wolf ha parlato dei binomi sillabe e suoni, conoscenza ed empatia, per raccontare l’afflato che porta l’anima a risuonare. Oltre il pensiero. Così si tocca la spiritualità.

Il movimento dal pensiero analogico, critico e inferenziale all’empatia è alla base del concetto di deep reading, o lettura profonda, di cui Wolf è portavoce, che attraverso l’immaginazione ci permette di guardare più intensamente la realtà cogliendone il senso più nascosto.

«Una capacità fondamentale, soprattutto nella società contemporanea, per imparare a valutare la veridicità delle informazioni» – ha aggiunto la scrittrice.  

Tornando ai testi, Wolf ha messo in luce il concetto di fiducia (che ha permeato tutto il Festival) negli autori perché «a un certo punto, con l’empatia, dobbiamo trovare attraverso le loro parole il messaggio che è dentro di noi. Così troveremo il tempo, la trascendenza». 

“Hai ottenuto quello che volevi da questa vita nonostante tutto? Sì. E cosa volevi? Potermi dire amato, sentirmi amato sulla terra”. Questi versi di Raymond Carver comunicano attraverso il suono che, quando si legge, non ci fa solo interiorizzare, ma anche interagire. Un punto di vista, quello espresso da Antonio Spadaro – gesuita, sottosegretario del Dicastero vaticano per la cultura e l’educazione, oltre che già direttore della Civiltà cattolica – che sembra diverso da quello della neuroscienziata con cui ha dialogato.

«Quando leggo un romanzo, mi proietto in una interazione con i personaggi come se fossero presenti, perché hanno vita eterna nel momento in cui le loro vicende vengono fermate sulla carta» – ha detto Spadaro. «Il testo se non è letto non esiste, perché di per sé è un oggetto che non dice niente. È una presenza, è la stessa relazione personale a cui tu ti affidi. Nel momento in cui cominci a leggere, non ti stai relazionando a un testo per interpretarlo, ma stai facendo un atto di fiducia radicale in una storia che non è la tua». Nell’atto della lettura, come in quello della visione di un film, c’è quella che Coleridge definisce una willing suspencion of disbelief, una volontaria sospensione dell’incredulità, in virtù della quale si entra dentro nel testo creando una relazione.

 

Uno snodo decisivo è costituito dall’utilizzo delle tecnologie. Spadaro ha rievocato uno scritto di San Paolo VI, che nel 1964 profetizzava la necessità di una collaborazione tra il «cervello meccanico» e il «cervello spirituale»: quanto più quello spirituale si esprime nel proprio linguaggio che è il pensiero, tanto più quello meccanico sembra felice di essere al suo servizio. In questo modo si arriva a toccare il sacro: «L’interazione con la macchina implica qualcosa che ha a che fare con la spiritualità e per questo non basta l’interiorità» – ha aggiunto Spadaro. In particolare, noi ci sentiamo coinvolti «quando nei libri ci sono dei buchi. Il romanzo che ti coinvolge ti permette di entrare perché tu riempi quei vuoti». Il lettore diventa una sorta di co-autore, perché «il libro non è un database dove c’è già tutto, ma è uno spazio dinamico, in cui l’immaginazione si fonde con l’interattività, motivo per cui ciascuno fa dello stesso libro un’esperienza diversa».  

Con l’avvento della tecnologia si rischia di perdere la capacità di approfondire, ma grazie all’interazione si sta anche recuperando la capacità di dialogo, quell’oralità che con la semplice interiorizzazione si rischierebbe di perdere. Spadaro è convinto, infatti, che, se con l’avvento della scrittura abbiamo guadagnato l’interiorizzazione, abbiamo perso la memoria e il dialogo.

Wolf, a partire dal suo saggio Proust e il calamaro, ha sostenuto l’importanza che il testo sia fertile, miracoloso e necessario per una comunicazione profonda. E ha sottolineato «come noi non siamo solo lettori, perché la lettura ci fa leggere solo noi stessi. Il deep reading è essenziale, perché leggendo non solo noi interagiamo, ma anche cambiamo». 

Questo vale anche per la lettura online. Sebbene siamo abituati a saltare le parole leggendo sullo schermo di un computer, secondo Wolf oltre all’attività del cervello che trasmette informazioni, c’è sempre il processo della lettura profonda, che dà un valore aggiunto.

Online non si può leggere tutto, ha ribadito Spadaro. Ad esempio, non si possono leggere le letture bibliche della liturgia da un tablet, «perché lì il testo sparisce per lasciare spazio ad altre informazioni. Il problema è l’ontologia della presenza del testo». E poi nella lettura online viene meno la dimensione lineare della lettura. «Noi siamo adulti abituati a questa linearità, mentre le nuove generazioni hanno una visione architetturale e tridimensionale. Sta cambiando la nostra spiritualità». E con questo dobbiamo fare i conti. Del resto, modelli diversi provengono anche da altre culture come quelle che sono arrivate al digitale direttamente dall’oralità senza passare attraverso la scrittura. «Dobbiamo essere pronti ad abbracciare questa sfida» – ha concluso Spadaro.

«C’è sempre qualcosa che perdiamo e qualcosa che guadagniamo ha aggiunto Wolf, lasciando alcune domande aperte: quale sarà l’impulso che guiderà le nuove generazioni? I giovani sapranno conservare ciò che è migliore in termini di processo cognitivo e affettivo o si rivolgeranno solamente ai progressi della tecnologia?».
 

Un articolo di

Emanuela Gazzotti

Emanuela Gazzotti

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