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I legami d’amore per un disegno di civiltà

22 dicembre 2022

I legami d’amore per un disegno di civiltà

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Romeo e Giulietta, I promessi sposi, La ballata del Cavallo bianco, Il Napoleone di Notting Hill, L’osteria volante, Manalive: storie d’amore della letteratura che offrono spunti per la riflessione filosofica sulla «nuzialità che lega un uomo e una donna», dando spazio a una serie di corollari come il perdono, la fedeltà, il dolore, la presenza di Dio.

A questi temi si è dedicato il filosofo Giuseppe Colombo, docente a contratto di Forme e modelli del pensiero filosofico nella Facoltà di Scienze della formazione dell’Università Cattolica, campus di Brescia, avendo cessato due anni fa per raggiunti limiti di età il servizio come professore strutturato della Facoltà. Non nuovo ad affrontare studi di filosofia, storia e letteratura, con il volume Chesterton, una Sinfonia per quattro voci, pubblicato qualche giorno fa dall’editrice Vita e Pensiero, il professor Colombo va a chiudere il Trittico nuziale. Legami d’amore per un disegno di civiltà, composto da Romeo e Giulietta: gli sposi di Verona del 2020 e I promessi sposi e il pane del perdono del 2021.

Al professor Giuseppe Colombo abbiamo chiesto di illustrare alcuni aspetti delle tre pubblicazioni, con particolare riferimento all’”ultima nata” e alla loro continuità concettuale.

Professor Colombo, qual è il filo conduttore del “Trittico nuziale”?
«Il mio è un filo ‘controcorrente’: la nuzialità che lega un uomo e una donna, quasi un obbrobrio per la cultura dominante. La nuzialità è infatti il “fuoco vivificatore” delle opere da me scelte di William Shakespeare, Alessandro Manzoni e Gilbert Keith Chesterton. Non conosco opere più belle e vere su questo tema».

«Il sottotitolo del Trittico recita: Legami d’amore per un disegno di civiltà: l’amore uomo-donna, che fonde passione erotica e carità, è icona dell’amore stesso ed è il paradigma di tutti gli altri “amori”, che in modi e gradi diversi lo riprendono e lo continuano. L’amore sponsale, infatti, con la sua fecondità, dà vita alla famiglia e crea relazioni intergenerazionali, che plasmano e consolidano la personalità dei singoli e costituiscono il tessuto vivo e connettivo dell’intera umanità. Questo è un fatto innegabile nell’Occidente, dove il matrimonio e la famiglia, pur nelle loro cangianti forme, non sono state, in ultima istanza, la “tomba dell’amore”, ma il cielo e la terra della passione integrale per il singolo e la comunità».

Come si declina la nuzialità nei tre volumi del Trittico?
«Si declina mediante una lettura “controcorrente”! Primo volume: Romeo e Giulietta, gli sposi di Verona e, si badi bene, non ‘gli amanti di Verona’. Questo è il titolo che non tradisce l’intento di Shakespeare che non ha scritto un Tristano e Isotta aggiornato, ma uno splendido affresco dell’innamoramento, del fidanzamento e del matrimonio come approdo e porto di partenza per la vita piena e feconda: pagine stupende per freschezza e profondità».

«Secondo volume: I promessi sposi e il pane del perdono. “Controcorrente” perché il romanzo non comincia con il primo, ma con il quarto capitolo, quello dedicato alla conversione di Lodovico che si fa frate con il nome di Cristoforo: il “portatore di Cristo”. A chi? A Renzo e Lucia, i promessi sposi, ai quali consegna “il pane del perdono”, simbolo dell’eucaristia, legando così matrimonio-sacerdozio-eucaristia: da leggere!».

«Terzo volume: Chesterton, una Sinfonia per quattro voci, come quattro sono le opere prese in esame: La ballata del Cavallo bianco, epopea di King Alfred e dell’identità d’Inghilterra; Il Napoleone di Notting Hill, l’elogio delle piccole patrie vs l’imperialismo; L’osteria volante, l’intreccio indissolubile di sponsalità, famiglia e buona politica; Manalive, l’”Uomvivo”, scene da un matrimonio felice che rinnova coloro che contagia. Tutte insieme, in sequenza, queste quattro opere aggiungono qualcosa di essenziale ai drammi di Shakespeare e di Manzoni, perché innalzano la nuzialità a fattore generativo della “civiltà”».

«Anche qui, dunque, vado “controcorrente”, perché non riduco Chesterton a semplice “profeta” dell’antiimperialismo e del nichilismo».

Grande spazio è dedicato alla speranza (come si evince anche dalla conclusione della prefazione dei tre volumi del Trittico). Perché questa parola assume un ruolo così rilevante?
«La parola conclusiva del dramma di Shakespeare non è “catastrofe” (il suicidio dei due sposi), ma “fedeltà” e “perdono”. Tutti tradiscono; solo Dio è “fedele” al suo disegno d’amore e il dramma, infatti, non sfocia nella vendetta, ma nella conciliazione delle due famiglie in lotta: Montecchi e Capuleti. Con Manzoni la speranza fondata nella fede consente all’eroico Renzo e al santo padre Cristoforo di portare a compimento con un lieto fine la storia dei promessi sposi. Infine, Chesterton: i suoi eroi sono sempre in lotta contro il vile e il demoniaco che è in loro e nella società a cui appartengono: è una lotta di fede, di cultura e di “civiltà cristiana”, combattuta innanzitutto contro il nichilismo. E i suoi eroi alla fine vincono!».

L’amore di queste storie del passato ha delle ricadute anche nell’oggi? Ci sono inviti o messaggi per i giovani?
«Il Trittico è a favore dell’unità dell’amore ed è quindi contro gli “spezzatini”. L’innamoramento, così splendidamente reso nelle pagine di Shakespeare e di Chesterton, non è una isteria ormonale. Ho scritto: “Non “in basso”, ma “in alto” sta la sorgente dell’innamoramento, perché il più non viene dal meno. Come il fiore di loto nasce nella palude, ma non dalla palude ma da un seme, che è primizia della sua bellezza, così l’innamoramento nasce nel tumulto delle passioni, ma non dal tumulto delle passioni, ma da un seme che viene dall’alto”. È una vocazione, analoga a quella monacale!».

In pratica?
«Il fidanzamento come pellegrinaggio verso il matrimonio. Ne sono convinti Giulietta che convince Romeo, Renzo che convince Lucia con l’aiuto di padre Cristoforo, Patrick Dalroy, l’eroe dalla lungimiranza creatrice di Chesterton, che convince Giovanna Brett».

«Il matrimonio: non “fine”, ma “nuovo inizio” della storia dell’amore autentico, quello fecondo: per la pace in Verona (Romeo e Giulietta), per i figli (Renzo e Lucia), per il bene comune, cioè la civiltà a misura d’uomo: e qui il protagonista indiscutibile è Chesterton: con la sua sposa, Frances, che gli ha portato in dono Gesù Cristo: a lei dedica La ballata del Cavallo bianco; e poi con King Alfred campione della fede e del buon governo, e Patrick Dalroy e, in particolare, nel romanzo Manalive, con Innocenzo e Maria e le loro ragionevoli follie, perché nel matrimonio la passione non muore ma si accresce. Il matrimonio è e dev’essere l’esaltazione dell’amore nella sua totalità carnale e spirituale. Ci vogliono maestri capaci di aprire gli occhi ai giovani, destandoli dal sonnolento “lasciarsi vivere” per spronarli a vivere davvero».

Prevede una prosecuzione dell’analisi di storie d’amore?
«Come ho scritto nel terzo volume dedicato a Chesterton, sarebbe bello trattare del matrimonio precisamente come sacramento, così come lo definisce san Paolo: “Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne. Questo mistero è grande: io lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!” (Ef 5,21-32)».

«1922-2022: non dimentichiamolo: è il centenario della conversione di Chesterton e della moglie al cattolicesimo, ma nelle sue quattro opere da me prese in esame il matrimonio come sacramento non sale sul proscenio. Solo padre Cristoforo congiunge nei fatti sacerdozio e sacramento del matrimonio. Penso ci sia molto altro da dire. Ma come realizzare questa idea con lo stesso stile con cui ho scritto il Trittico, cioè dando voce ai fatti e non ai concetti astratti (così ben enucleati da alcuni teologi)? Attualmente non lo so. Sono però certo dell’importanza di questo tema, perché sono convinto che sposi e sacerdoti o insieme crescono, o insieme muoiono. E dunque… accendiamo le luci sul sacramento del matrimonio come fonte di vita e di gioia».

Un articolo di

Agostino Picicco

Agostino Picicco

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