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I sogni e le speranze dei migranti nelle parole di Pietro Bartolo

24 maggio 2021

I sogni e le speranze dei migranti nelle parole di Pietro Bartolo

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E' stato Pietro Bartolo, il “medico di Lampedusa”, dal 2019 europarlamentare, il protagonista dell'ultimo incontro del ciclo “Un’intervista a…”, promosso dagli studenti del collegio Nuovo Joanneum nel Campus di Roma con i testimoni ed i protagonisti dell'attualità medica e scientifica e del mondo accademico e sociale.

Un incontro denso di significato che si è svolto on line lo scorso 14 maggio, ricco di emozioni e di commozione, i sentimenti che il dottor Bartolo, il medico che per ventisette anni, dal 1992 al 2019, ha accolto e curato i migranti a Lampedusa, ha trasmesso con le sue parole e con i suoi racconti agli studenti collegati in videoconferenza e rimasti affascinati dalla sua testimonianza.

Parole semplici, dirette, immediate, quelle di Bartolo, per raccontare storie di uomini, di donne e di bambini, storie di persone alla ricerca disperata di una vita migliore, in fuga dalla miseria, dal degrado, dalla fame, dalla morte e dalla guerra. Storie di persone che hanno affrontato prima una vera traversata nel deserto e poi un avventuroso viaggio in mare, stipati in miglia in piccoli gozzi o barconi che a stento si reggono a galla, trasportati come merce da una sponda all'altra del Mediterraneo da trafficanti senza scrupoli di essere umani.

Persone che hanno venduto tutti i loro beni, hanno speso fino al loro ultimo dollaro per pagare quel viaggio, per sé e talvolta per tutta la propria famiglia, per inseguire un sogno e una speranza: il sogno di un destino migliore, di una vita più serena nel ricco e moderno Occidente, la speranza di assicurare un futuro migliore ed un destino diverso ai figli. Sogni e speranze che purtroppo spesso naufragano in mezzo al mare, popolando di nuovi cadaveri mai ripescati i fondali dello stretto tra la Sicilia a la Libia. Oppure si infrangono a poche miglia dalla costa, dalla salvezza, quando dal barcone si iniziano ad intravedere le prime luci dei porti e delle case della costa italiana e a bordo inizia la festa e si indossano i vestiti buoni per prepararsi all’imminente sbarco.

Storie di persone raccontate da un uomo che, non dimenticando le difficoltà incontrate nella sua vita e le sue origini, ha deciso di vivere in prima persona quella che può essere definita la più grande emergenza umanitaria del nostro tempo fino a diventare la voce degli ultimi, oltre che il loro medico e salvatore. Un’esperienza di dolore e di speranza, di immagini raccapriccianti come quella della fila di cadaveri adagiati in sacchi di diverso colore al molo Favarolo di Lampedusa dopo l’ennesimo affondamento, il dolore di chi è costretto a guardare la morte negli occhi di un bambino o di una madre priva di vita con ancora attaccata a sé tramite il cordone ombelicale il corpicino del suo neonato. Ma anche di speranza e di gioia immensa, quella che si prova ad avere il privilegio di salvare una vita umana.

Come è accaduto a Bartolo, cogliendo quel fievolissimo battito di vita nel polso di Kebrat, una ragazza eritrea rimasta coinvolta nel terribile naufragio del 3 ottobre 2013, a Lampedusa. L'avevano creduta morta, Kebrat, era già in un sacco con la cerniera chiusa, doveva esserne solo constatato il decesso a fini legali. Se non fosse stato per Bartolo, che ha sentito qualcosa, ha auscultato meglio e l’ha tirata via dalla fila dei cadaveri allineati sul molo, indirizzandola al più vicino centro di rianimazione, oggi probabilmente Kebrat non sarebbe più in questo mondo.

La testimonianza di Pietro Bartolo, la sua esperienza di vita, ci hanno aiutato a comprendere meglio il fenomeno della migrazione, la necessità e l’urgenza di trovare una soluzione ad un problema epocale, di raccontare la verità delle cose, di comprendere come su quei barconi alla deriva in mezzo ai marosi ci siano delle persone in fuga dalla disperazione in cerca di una speranza e non dei criminali, dei nemici o degli invasori. Ci sono nostri fratelli e nostre sorelle, con la loro cultura, le loro braccia, i loro bambini, la loro diversità. Un fenomeno che investe tutti noi ed interroga le nostre coscienze, come ha ricordato Papa Francesco in occasione della sua visita a Lampedusa: “Dov'è tuo fratello?, la voce del suo sangue grida fino a me, dice Dio. Questa non è una domanda rivolta ad altri, è una domanda rivolta a me, a te, a ciascuno di noi”.  Perché, sempre ricordando le parole del Santo Padre, il migrante è Dio "che bussa alla nostra porta affamato, assetato, forestiero, nudo, malato, carcerato, chiedendo di essere incontrato e assistito, chiedendo di poter sbarcare. La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l'illusione del futile, del provvisorio, che porta all'indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell'indifferenza”.

Un articolo di

Emanuele Benvenuti

Collegio Nuovo Joanneum

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