«Le ricerche del professore Svante Pääbo sono importanti perché ci hanno consentito di avere informazioni precisissime sull'evoluzione della specie e sulla storia dell'uomo». Con queste parole il professor Maurizio Genuardi, ordinario di Genetica Medica della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università Cattolica e direttore dell'Unità Operativa Complessa di Genetica Medica della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, ha commentato l’assegnazione del Premio Nobel per la Medicina 2022 al biologo svedese Svante Pääbo, direttore del Dipartimento di Genetica del Max Planck Institute di Lipsia, "per le sue scoperte sul genoma degli ominidi estinti e sull’evoluzione umana".
Grazie alle sue ricerche, Pääbo è riuscito a ricostruire il genoma dell’uomo di Neanderthal, un lontano parente della nostra specie, confermando che una parte dei suoi geni sono presenti anche nell'attuale specie umana. «Il suo lavoro ci ha consentito di fare luce sulle differenze del dna dell'Homo Sapiens e dell'uomo di Neanderthal, due specie diverse che poi si sono ‘mischiate’ e si sono incontrate soprattutto in Europa e in Asia» ha spiegato Genuardi, evidenziando che le ricerche di Pääbo hanno implicazioni anche sull'oggi: «Possono esserci utili per scoprire dei meccanismi che sono alla base della resistenza delle malattie infettive. È emerso da studi collaborativi recenti, effettuati sul dna di persone con Covid-19, che alcuni tratti del genoma sembrano essere di provenienza Neanderthal e possono essere implicati nella suscettibilità al Covid-19 o a diverse forme di gravità della malattia. Un quadro che andrà valutato quando avremo un panorama esaustivo sull'origine di questa malattia e sulle sue cause».