(Letture: Sof 3, 1-2. 9-13; Sal.33; Mt 21,28-32)
Nell’ascoltare il brano del Vangelo di Matteo potremmo essere portati ad interpretarlo come un semplice ammonimento morale: un invito a non sentirci superiori ai pubblicani e alle prostitute e a compiere concretamente la volontà del Signore nei fatti e non solo con le parole. In realtà il messaggio del Signore ha un fine diverso ed è ben più profondo. Riguarda l’accoglienza dell’annuncio di salvezza portato da Giovanni Battista e il suo oggetto, ossia la venuta del Messia, cioè della persona stessa di Gesù come Salvatore. Il centro del discorso, pertanto, non è tanto il comportamento morale quanto piuttosto la fede in Gesù Cristo.
Il Vangelo è pieno di esempi in cui Gesù mette in evidenza la fede sincera di alcuni pubblicani rispetto al formalismo esteriore dei farisei. Basta ricordare il pubblicano che si ferma a pregare con umiltà in fondo al tempio (Lc 18,9-14) e la vicenda di Zaccheo (Lc 19,1-10) o quella dell’evangelista Matteo (Mt 9,9-13). È la fede nel Signore che cambia la vita. La stessa cosa accade negli incontri con prostitute e adultere, quando per esempio non condanna la donna colta in adulterio e posta davanti a lui per essere lapidata, ma gli dice «va’ e d’ora in poi non peccare più» (Gv 8,1-11), o quando lascia con grande scandalo dei presenti che una donna, nota peccatrice, compia gesti di venerazione nei suoi confronti bagnando i piedi con le lacrime e asciugandoli con i capelli, baciandoli e profumandoli. E con grande meraviglia e scandalo dei presenti alla fine Gesù le dirà: «la tua fede ti ha salvata; va’ in pace» (Lc 7,36-50). Anche in questi casi è la fede nel Signore Gesù come Messia e Salvatore che segna una radicale trasformazione dell’esistenza. Da tale trasformazione nascono poi atteggiamenti nuovi e scelte morali coerenti.
Gesù con le sue parole e i suoi gesti paradossali vuole farci capire che non guarda ai ruoli o all’esteriorità, ma al cuore e all’atteggiamento che assumiamo nei suoi confronti e davanti all’insegnamento evangelico. Significa che non basta essere vescovi o sacerdoti e neppure professori, studenti e dipendenti dell’Università Cattolica. Non sono le etichette che salvano, ma il lasciarsi toccare dalla grazia del Signore e il corrispondere concretamente al comandamento nuovo dell’amore fraterno. Dobbiamo chiederci, pertanto, se davvero ci siamo messi alla sequela del Signore e abbiamo accolto l’invito alla conversione, consapevoli che l’oggetto della conversione è in primo luogo il mettere al centro della propria vita la persona e le parole di Gesù.
Il Natale è un’occasione preziosa proprio per operare questa verifica, per entrare sinceramente nella logica della conversione e per fare sempre più spazio al Signore nella nostra vita. Certamente, se la sua nascita in mezzo a noi è vera e concreta, non ci lascia indifferenti e non ci consente di restare inoperosi perché entra nel cuore di ciascuno, nell’insieme della nostra comunità accademica, nella Chiesa e nell’intera umanità. Molti oggi sono i modi per testimoniare la presenza viva e operante del Signore in mezzo a noi e numerosi i campi nei quali è urgente dare ragione, in modo sincero e concreto, della speranza che coltiviamo, soprattutto di fronte un’umanità sempre più smarrita. È una testimonianza di cui ha particolare bisogno anche un Paese come il nostro che il Censis nell’ultimo rapporto ha definito avvolto da una “malinconica latenza”, ossia da una condizione di sospensione e incertezza che genera attesa ma anche sconforto e indifferenza.
Al credente, in ragione della sua fede in un Dio fatto uomo e totalmente solidale con le attese dell’umanità, spetta oggi il compito di essere propositivo e lungimirante per non cedere alla rassegnazione o ad una fatalistica e passiva attesa degli eventi. Anche alla nostra comunità universitaria, mentre ancora ricordiamo con gratitudine i significativi eventi che hanno accompagnato le celebrazioni del centenario, è chiesto di essere reattiva e di dare continuità alla positiva risposta messa in campo durante la pandemia. Una resilienza proattiva resa ancora più urgente e necessaria dalle criticità generate dal conflitto esploso nel cuore dell’Europa, di cui purtroppo non si riesce a vedere la fine.
Una preziosa occasione per tracciare l’orizzonte e i passi da compiere per il nostro Ateneo nei prossimi anni ci è offerta dalla elaborazione del Piano strategico su cui si sta lavorando in queste settimane. Prendendo spunto da quanto suggerito dal Profeta Sofonia nella prima lettura, per allineare i nostri progetti al disegno del Signore occorre coltivare alcune preziose attitudini: favorire un atteggiamento di ascolto reciproco e la capacità di discernimento comunitario per non rimanere prigionieri di visioni limitate e autoreferenziali; riconoscersi popolo “umile e povero”, ma fiducioso nella guida del Signore e ricco di preziosi doni umani, culturali e spirituali che gli vengono dall’identità e dalla tradizione cattolica; sviluppare con sapienza e coraggio percorsi che facciano dell’Ateneo anche per il futuro, come già avvenuto per il passato, un luogo di qualificata formazione per le nuove generazioni, una fucina di personalità in grado di contribuire allo sviluppo e al bene della società; un laboratorio fecondo in grado di sviluppare analisi, visioni e proposte utili ad affrontare le grandi questioni del nostro tempo, dalla sostenibilità ambientale al rinnovamento dell’economia, dalla fratellanza tra i popoli alla promozione della giustizia e della pace.
L’intenso e impegnativo lavoro a cui siamo chiamati come comunità universitaria cattolica ci fa sentire ancor più coinvolti e partecipi del cammino sinodale della Chiesa che sta sperimentando la fecondità dei “Cantieri di Betania”. Anche il nostro è un grande e permanente cantiere dove l’operoso impegno di tutti non è che un riflesso del dono e dell’azione dello Spirito Santo. Come ha fatto nascere dal grembo di Maria il Salvatore così continua a far germogliare nelle diverse espressioni della comunità ecclesiale, come il nostro Ateneo, frutti preziosi che testimoniano la continua nascita e la feconda presenza del Signore Gesù in mezzo a noi.
Il volto di un Dio che si fa uomo effonde la gioia e la luce divina su tutta l’umanità anche se non tutti lo accolgono e molti restano indifferenti. Rappresenta, comunque, per tutti, una grande provocazione e una fonte inesauribile di speranza. È per questo che non ci stanchiamo di fissare lo sguardo su quel bambino luce e salvezza del mondo e sentiamo particolarmente vere le parole del salmo: «Guardate a lui e sarete raggianti, i vostri volti non dovranno arrossire. Questo povero grida e il Signore lo ascolta, lo salva da tutte le sue angosce». Amen.