Ogni anno praticamente quasi tutti i brand, nel periodo natalizio, lanciano campagne dedicate alle feste in arrivo. Un "rito" che si ripete ciclicamente da decenni e che accomuna tutte le aziende nel percorso di costruzione e promozione della propria immagine. Uno dei marchi che forse più di tutti ha legato il proprio nome alle campagne natalizie è la Coca Cola che, a partire dagli anni '30 del XX secolo, ha contribuito in modo importante all'immagine, così come lo conosciamo oggi, di un personaggio simbolo: Babbo Natale. Per questo motivo le campagne natalizie della celebre bibita sono sempre molto seguite.
A quella del 2020 è dedicato un passaggio del libro "Psicologia del personal branding" di Sofia Scatena, docente di Psicologia del marketing e dei nuovi media sociali dell'Università Cattolica. Volume edito da Vita e Pensiero e di cui pubblichiamo un estratto. Un caso emblematico di come la storia diventa narrazione e, soprattutto, del ruolo della psicologia negli spot natalizi.
Tutti siamo alla ricerca di storie da raccontare o da ascoltare. Le storie servono a stabilire connessioni e a nutrirle, a farle crescere poiché hanno la capacità di imprimersi nella mente; inoltre – ed è forse l’aspetto più importante – le storie portano in sé un livello altissimo di soggettività nell’interpretazione di dati apparentemente oggettivi perché attivano ricordi, elicitano emozioni, creano nella mente di chi ascolta esperienze o il desiderio di farle. La stessa storia può essere raccontata in mille modi diversi ma può anche essere recepita in infinite modalità, anche dallo stesso ascoltatore che, ogni volta, coglie nuovi significati, intenzioni. Insomma, la narrazione è fluida, sempre mutevole. Perché raccontiamo storie oggi? Per coinvolgere, per ingaggiare, per guadagnare follower, per dare significato a un brand, per posizionare un prodotto, per ottimizzare la nostra presenza sulle piattaforme di social media. Sono tutte attività di storytelling. Per mettere in atto queste intenzioni dobbiamo però interrogarci prima su che cosa sia la narrazione. Non si tratta di un insieme casuale di parole e nemmeno di un elenco. Pensiamo, ad esempio, ai vecchi elenchi telefonici o alle pagine gialle. Si trattava di un elenco di parole e nomi di senso compiuto organizzati secondo alcuni criteri: alfabetico, categorico, geografico, certamente non erano narrazione, non generavano alcuno storytelling.
Un caso: Coca Cola “Christmas 2020”
Ogni anno, Coca Cola realizza e diffonde uno spot in occasione del Natale. C’è sempre molta attesa perché, si sa, che ci aspettano capolavori di comunicazione che, generalmente, utilizzano per la creazione di una narrazione efficace, le tecniche di marketing esperienziale, cioè quelle immagini che sono riconducibili ad emozioni, percezioni, sentimenti.
La sequenza narrativa è molto semplice. Un papà riceve dalla figlia una letterina da consegnare a Babbo Natale mentre si accomiata. L’uomo è infatti in partenza per i Mari del Nord dove lavora su una piattaforma petrolifera. Purtroppo, sorseggiando la bevanda, il signore si accorge di aver scordato la letterina della bimba sul fondo della propria cassetta e intra-prende quindi un viaggio alquanto avventuroso per raggiungere la dimora di Babbo Natale e poter consegnare la missiva. Gliene capiteranno di tutti i colori: naufragi, balene, gelo, viaggi fra le pecore ma l’impavido papà non si perde d’animo e riesce a raggiungere Rovaniemi dove però la casetta di Babbo Natale, tutta illuminata, riporta un cartello con scritto “Chiuso per Natale”. Il papà, scoraggiato, si appresta a tornare indietro quando appare il mitico, colorato e luminosissimo camion della Coca Cola che lo riporta a casa. Giunto sulla soglia, l’autista del camion gli rimette in mano la letterina della bimba tutta stropicciata dopo le mille avventure, lui la apre confuso e comprende che il regalo richiesto dalla figlia era proprio che il suo papà tornasse a casa. Applauso e lacrime di commozione.