(Letture: Is 45,6-8.18.21-26; Sal. 84; Lc 7,19-23)
La risposta di Gesù ai discepoli di Giovanni è ricca di suggestioni, soprattutto per noi che oggi celebriamo la preparazione al Natale in un contesto universitario e sanitario. Per spiegare che lui è davvero il Messia non sviluppa complessi ragionamenti teologici né pretende un’adesione fideistica acritica, semplicemente ma in modo quanto mai efficace, continua a porre segni di guarigione. Poi dice ai due inviati: «Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciata la buona notizia. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».
Che cosa può significare tutto questo per noi oggi? In primo luogo che anche a noi, ascoltando questa parola evangelica, è data la possibilità di rinnovare la nostra fede nel Messia perché in lui si realizza concretamente la salvezza piena e integrale di ogni persona che accoglie il suo messaggio e si lascia toccare dalla sua grazia. Ma c’è anche un secondo aspetto che è legato al prolungarsi e all’attuarsi dell’opera della salvezza nel tempo attraverso il corpo del Signore che è la Chiesa. Per noi il Messia non è uno straordinario personaggio del passato, relegato nei libri di storia. È Dio fatto uomo, il Verbo eterno fatto carne, vivente e presente in mezzo a noi, che continuamente nasce, muore e risorge nella concretezza della storia e nell’attualità delle vicende umane.
Ne consegue che i segni della sua presenza e la credibilità del suo messaggio salvifico oggi sono affidati alla testimonianza della comunità ecclesiale e di coloro che in essa si assumono l’onore e l’onere di continuarne l’opera. Un’opera che, secondo quando dice Gesù ai discepoli di Giovanni, non si realizza tanto nel tempio o nel tramandare tradizioni religiose, ma piuttosto nel porre segni di guarigione, nel portare speranza agli smarriti di cuore, nel dare conforto ai poveri. Questo significa che come Università Cattolica e, in particolare, in questo luogo dove si coltiva la scienza e l’arte medica della cura, siamo chiamati ad essere coloro che in modo eminente rendono presente il Signore e danno testimonianza della sua azione salvifica.
In sessant’anni di storia, sotto la spinta di P. Agostino Gemelli e grazie all’impegno sapiente e generoso di tanti professori e operatori sanitari, la Facoltà di Medicina e chirurgia e il Policlinico Gemelli hanno raggiunto traguardi formidabili. Ma la cosa più sorprendente è che ancora oggi, nonostante le mille difficoltà e le non poche incoerenze, si riesce ad offrire una testimonianza eloquente di che cosa significa essere espressione del cuore, dello sguardo, della sapienza del Messia che si prende cura dei malati e li risana nel corpo e nello spirito. Quando ci dicono che al Gemelli si respira un’aria diversa per il modo con cui viene presa in carico la persona malata, per l’appropriatezza delle cure, per la qualità della ricerca, per l’ambiente e il clima umano… Sono tutti riscontri che ci confermano di essere, nonostante tutti i limiti e le fragilità di cui siamo ben consapevoli, un riflesso credibile di quella Chiesa Corpo del Signore – ossia realtà sacramentale operativa e concreta - che continua oggi a porre segni credibili di salvezza.
Ma non possiamo illuderci di poter vivere di rendita. Sappiamo di non poterlo fare dal punto di vista gestionale – e lo sanno bene gli amministratori - e ancor più dal punto di vista motivazionale e valoriale. Quest’ultima è la sfida più grande. Anche se ci assillano i problemi organizzativi e di sostenibilità economica non dobbiamo dimenticarci che le prime e fondamentali risorse sono quelle umane e spirituali. Queste dobbiamo difendere e coltivare con fermezza e tenacia, altrimenti rinunceremmo a ciò che abbiamo di più prezioso ed essenziale: quello sguardo di fede per cui sappiamo che nulla è impossibile a Dio anche quando le cose possono apparire difficili e impossibili per gli uomini. In questo hanno creduto i nostri fondatori misurandosi per fede con l’impossibile e osando oltre ogni ragionevole calcolo umano.
Affinché questo “miracolo vivente” - perché è difficile dare un’altra spiegazione plausibile a quanto si è realizzato nel tempo e si sta facendo oggi in questa sede dell’Ateneo e nel Policlinico Gemelli - continui a corrispondere al disegno e all’opera di Dio occorre fare attenzione al vigoroso richiamo che ci viene dal profeta Isaia e che abbiamo ascoltato nella prima lettura: «Io sono il Signore, non ce n’è altri». Lo ripete più volte, in modo forte e categorico. È un monito a cui dobbiamo prestare particolare attenzione perché in questo luogo benedetto da Dio, molte e tremende sono le tentazioni. Del resto, il demonio si accanisce dove più bella e significativa è la testimonianza data al Signore.
Dobbiamo sempre vigilare, pertanto, su noi stessi e sulla nostra comunità perché è facile spostare il baricentro e sostituire Dio con gli idoli del potere, del denaro e del gareggiare accademico e professionale. Tutti elementi per altro essenziali e preziosi, non negativi in sé, strumenti indispensabili per sostenere questa impresa ma altrettanto esposti ad un uso improprio e all’idolatria. Dobbiamo quindi avere la ferma consapevolezza del primato di Dio e ispirare ogni nostro pensiero e ogni nostra azione a questa fondamentale verità: «Io sono il Signore, non ce n’è altri». Ogni volta che spostiamo lo sguardo e attacchiamo il cuore ad altro, finiamo inesorabilmente per scendere a compromessi, rendiamo opaca la nostra azione e oscuriamo anche la missione di questa istituzione.
La ragione di questa irrinunciabile centralità di Dio viene spiegata dal profeta Isaia con il fatto che «Solo nel Signore si trovano giustizia e potenza». Beni essenziali che scendono dal Cielo e sbocciano sulla Terra. Il profeta e il salmista esprimono lo stesso concetto con immagini bellissime, di grande afflato poetico e di impressionante profondità teologica. «Amore e verità s'incontreranno, giustizia e pace si baceranno. Verità germoglierà dalla terra e giustizia si affaccerà dal cielo». Qui c’è tutta la poesia e la verità del Natale che ci apprestiamo a celebrare. Infatti, non si tratta di processi astratti e di sguardi visionari, ma di ciò che possiamo contemplare e che concretamente si realizza nella persona di Gesù, nella quale sussistono le due nature umana e divina, dove amore e verità si illuminano reciprocamente, da cui scaturiscono instancabilmente la giustizia e la pace, portando il Cielo in Terra e la Terra in Cielo.
Vivere il Santo Natale con questo respiro soprannaturale non è facile, ma nulla è altrettanto affascinante. L’atmosfera unica di questo tempo natalizio trova in questo scambio tra Cielo e Terra le sue radici ultime anche per chi non ne ha piena consapevolezza. Il Signore Gesù è venuto per tutti, e tutti in qualche modo ne percepiscono la presenza e l’opera. A noi che lo accogliamo nella fede è chiesto di diventarne umili e coraggiosi testimoni. Per questo dobbiamo fissare sempre lo sguardo su di lui e non lasciarci distrarre da altro né intimorire da altri. È l’insegnamento che ci offre anche San Giovanni della Croce, di cui oggi celebriamo la memoria. Un grande riformatore assieme a Santa Teresa d’Avila, scomodo anche per i suoi confratelli che lo hanno tenuto in carcere per oltre nove mesi. Ma attraversando il buio dei momenti difficili - la famosa notte oscura - la sua fede si è purificata e rafforzata. Concludo con una sua frase che può riassumere bene le riflessioni che abbiamo fatto: «Non fare gran caso se uno è per te o contro di te, ma preoccupati piuttosto che Dio sia con te in tutto quel che fai. Abbi buona coscienza e Dio saprà ben difenderti» (Dall’Imitazione di Cristo, Lib. 2, capp. 2-3).