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La Cina tra nuova Guerra Fredda e multilateralismo

05 maggio 2022

La Cina tra nuova Guerra Fredda e multilateralismo

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«La Cina, davanti al conflitto ucraino, in cui Pechino non ha alcuna responsabilità e dal quale cerca di restare lontana quanto più possibile, si trova in forte imbarazzo, avendo essa relazioni cruciali sia con gli Stati Uniti che con la Russia». Alberto Bradanini, ex ambasciatore italiano a Pechino tra il 2013 e il 2015, ha commentato così il rapporto tra Pechino e Mosca nel complicato scenario di quella guerra. In un complesso scenario geopolitico, per meglio comprendere tale storico riavvicinamento, Bradanini ha sinteticamente tracciato il percorso che ha portato i due paesi a riscoprire – dopo i tempi pre-rottura di Stalin e Mao – quella forte comunanza d’interessi economici e politici davanti alla necessità di contenere il comune rivale: gli Stati Uniti e l’espansionismo corporativo e militare da essi rappresentato.

Il diplomatico è stato ospite dell’Università Cattolica martedì 26 aprile in occasione dell’incontro “L’irresistibile ascesa della Cina: tra Nuova Guerra Fredda e prospettive di multilateralismo”, ultimo appuntamento della serie di eventi dedicati a Eurasia e Indopacifico all’interno del ciclo “Presente storico. Evoluzioni e traiettorie delle relazioni internazionali” introdotti e moderati dal professor Mireno Berrettini, docente di Storia delle relazioni internazionali.

Alla caduta del muro di Berlino, la Cina si è trovata esposta a un’insidia inaspettata: pur traendo beneficio dalla scomparsa di un pericoloso rivale geopolitico dopo le tensioni anche ideologiche della fine degli anni ’50 l’URSS, aggiunge Bradanini: «La Cina ha temuto che dopo la scomparsa del potente baluardo di contenimento dell’impero capitalistico americano, anche la Repubblica Popolare fosse destinata alla stessa fine».

Tuttavia, già con Gorbaciov i rapporti bilaterali iniziano a riprendere quota. La vicinanza tra i due paesi si rafforza gradualmente fino a consolidarsi nella prima e seconda decade del secolo in corso. La crisi ucraina del 2014 mette poi in rilievo quella forte complementarità economica che era rimasta sino ad allora compressa, insieme al medesimo bisogno di contenere l’espansionismo americano. Nel 2017 viene concordata l’istituzione di un partenariato strategico comune, che nelle parole di Putin e Xi Jinping, pronunciate a Pechino in occasione delle Olimpiadi invernali nel febbraio 2022, “non conoscono limiti”. Nel 2014 Cina e Russia (Gazprom, la più grande azienda russa di gas) firmano un accordo commerciale trentennale che garantisce la fornitura di gas a Pechino per un valore di 400 miliardi di dollari e un altro accordo ancor più importante è stato firmato nei mesi scorsi.

Dopo l’annessione della Crimea alla Russia, alla risoluzione presentata dagli Usa al CdS delle N.U. la Cina si astiene, tutelando insieme i suoi interessi politici con Mosca e i principi, attenta a non esporsi a interferenze esterne su Tibet, Uiguri, Hong Kong e Taiwan.

Allo scoppio delle ostilità in Ucraina, Stati Uniti e UE approvano un pacchetto sanzionatorio contro Mosca e ancora una volta la Cina non partecipa, astenendosi anche sulla risoluzione di condanna a Mosca presentata dagli Usa all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

Per Pechino, ha rimarcato Bradanini, gli accordi tra Cina e Russia restano cruciali: la Russia esporta in Cina gas e petrolio di cui è assetata, via terra per di più, ciò che consente di evitare i tratti di mare controllati dalla Marina americana. La Cina - un gigante economico povera di petrolio e gas – è ricca di carbone, di cui è primo produttore, importatore e consumatore mondiale. Il carbone però, fonte energetica altamente inquinante, ha danneggiato in profondità l’aria, le acque e il suolo cinesi, e va dunque sostituito con energia rinnovabile e nucleare, ma anche con ingenti importazioni di gas, dalla Russia beninteso. Inoltre, la Cina, una grande potenza economica, è solo una media potenza militare, sebbene il suo esercito conti oltre 2.5 milioni di soldati, mentre la Russia è una media potenza economica, ma una grande potenza militare e gli Stati Uniti una grande potenza economica e una superpotenza militare, di gran lunga la prima al mondo.

Un aspetto cruciale del riavvicinamento strategico tra Cina e Russia è dunque la congiunta necessità di far fronte alla pervasività americana, sebbene su quadranti diversi.

La dirigenza cinese non ama i conflitti, che giudica contrari ai suoi interessi. La prima vittima di un conflitto che la coinvolgesse sarebbero i commerci, di cui la Cina ha bisogno per alimentare la sua crescita economica.

Davanti alla crisi ucraina, la Cina si trova dunque in imbarazzo. Il paese come abbiamo visto ha legami profondi sia con la Russia che con l’Occidente. Se con la prima condivide i benefici di un commercio dal valore strategico. Pechino (nel 2021 150 miliardi di dollari), Pechino ha però profondi legami anche con Unione Europea e Stati Uniti, con i quali commercio e investimenti eccedono di gran lunga quelli con la Russia (nel 2021, l’interscambio Cina-Usa ha raggiunto i 657 miliardi di dollari e quello Cina-UE i 695 mld di euro, con un avanzo cinese rispettivamente di 355 mld di dollari e 250 miliardi di euro, oltre a ingenti investimenti reciproci.

Alla luce di tali intrecci, la richiesta di mediazione è un sentiero in salita che Pechino giudica una trappola. Per Washington, nel giudizio cinese, la riluttanza a intervenire sarebbe evidenza che la Cina approva la guerra di Putin. Un’accusa che, insieme a quella lanciata (senza prove) di vendere armi alla Russia (dalla quale è Pechino ad acquistare armi, non viceversa), di essere stata informata in anticipo dell'attacco russo e aver chiesto a Mosca di rinviarlo al termine delle Olimpiadi, starebbe preparando il terreno per l’adozione di sanzioni anche contro la Cina.

In ogni caso, un’ipotetica mediazione cinese dovrebbe includere lo stacco di un assegno, politico e/o economico, in vista del quale le due parti sarebbero spinte al compromesso. In linea teorica, all’Ucraina Pechino potrebbe offrire un significativo contributo alla ricostruzione del paese al termine delle ostilità, sebbene ciò potrebbe non bastare. A Mosca però Pechino avrebbe poco da offrire, se si esclude la minaccia boomerang di non acquistare gas o petrolio, di cui è lei stessa ad aver bisogno. Il punto di vista cinese è invero un altro: sono gli Stati Uniti a disporre del bandolo della matassa, e un compromesso andrebbe trovato in fretta, poiché se la guerra si prolungasse oltre, Mosca potrebbe ampliare le sue ambizioni territoriali.

Pur non concordando sulla decisione di Putin di invadere l’Ucraina Pechino condivide nella sostanza il giudizio di Mosca che la genesi del conflitto vada attribuita alla strategia americana di destrutturare la Russia con una guerra per procura (combattuta dagli ucraini con armi e finanziamenti Nato-Usa), provocarne un cambiamento di regime e, ove possibile, causarne la frantumazione e la predazione da parte degli avvoltoi di Wall Street. Tale strategia procederebbe parallela a quella di indebolimento della Cina, la cui saldatura con la Russia deve essere ostacolata quanto possibile. Agli occhi di Pechino, infatti, gli Usa mirano anche a generare un’analoga guerra per procura in funzione anticinese, questa volta combattuta fino all’ultimo taiwanese.

Il quadro geopolitico mondiale è dunque assai critico e dunque afferma Pechino “colui che ha messo il collare al collo della tigre è lo stesso che ha la responsabilità di toglierglielo”, se si vogliono evitare guai peggiori per tutti e persino una possibile escalation nucleare.


Photo by CARLOS DE SOUZA on Unsplash

Un articolo di

Lorenzo Buonarosa

Scuola di Giornalismo

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