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La Lunga marcia di Xi Jinping

14 ottobre 2022

La Lunga marcia di Xi Jinping

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Il 16 settembre 2022 si è svolta presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore la Giornata di studi dell’AISC - Associazione Italiana Studi Cinesi. L’AISC, con oltre 40 anni di storia, riunisce sinologi e accademici italiani e ha oggi circa 200 iscritti. Il tema scelto quest’anno per la Giornata di studi riguarda le reinterpretazioni storiche e l’uso politico del passato, con gli occhi puntati sull’attualità.


Il 16 ottobre 2022 si apre il XX Congresso del Partito comunista cinese (Pcc). Un evento destinato a lasciare un segno nella storia del Paese con la quasi certa riconferma a segretario del Partito per la terza volta del presidente Xi Jinping. Si interrompe così la prassi secondo cui un segretario resta in carica per soli due mandati consecutivi, segno dell’autorità incontrastata raggiunta da Xi in questi dieci anni di presidenza. D’altronde «la risoluzione del 2021, varata in vista del centenario del Partito, celebrato lo scorso luglio, ha avuto il fine ultimo di elevare la statura di Xi al di sopra dei suoi predecessori: Mao Zedong e Deng Xiaoping». Marina Miranda, presidente dell’AISC - Associazione Italiana Studi Cinesi e docente all’Università di Roma Sapienza, fa un’attenta disamina del documento, mettendolo a confronto con quelli di analoghe risoluzioni redatte nel 1945 da Mao Zedong e nel 1981 da Deng Xiaoping, chiave di volta per comprendere la Cina contemporanea. «Una delle peculiarità di questa risoluzione è l’assenza del termine “leadership collettiva”, che in quella del 1981 ricorre quattro volte. Non è pertanto esagerato affermare che nell’intento questo documento del 2021 sia molto simile a quello del 1945, perché mira ad affermare la correttezza ideologica del leader supremo, in questo caso Xi Jinping. In effetti, se si guarda ai 36.200 caratteri che la compongono, più della metà sono dedicati a elencarne i successi».

C’è dunque un filo sottile che collega storia e politica su cui val la pena riflettere per capire il ruolo che la Cina sta assumendo nello scacchiere globale. «È fondamentale concentrarsi sulle radici storiche della contemporaneità per comprendere la Cina di oggi», osserva Elisa Giunipero, del Dipartimento di Scienze linguistiche e letterature straniere e del Centro World History dell’Università Cattolica che insieme all’AISC hanno promosso il convegno sul tema “La Cina e la storia”. Una giornata di studi che ha consentito, grazie alle preziose competenze dei relatori, di mettere in evidenza luci e ombre di un mondo che, in un momento di pericolose contrapposizioni a priori, è tanto più necessario studiare e comprendere in modo non superficiale.

Del resto, Xi Jinping nella costruzione della sua leadership sa bene quale peso rivesta la storia. È molto attento al modo in cui bisogna interpretare i periodi storici, soprattutto quelli che si sono succeduti nella vita del Partito comunista. Infatti, per il presidente cinese «screditare il periodo maoista potrebbe portare a un indebolimento ideologico del partito e del regime», spiega Miranda. «Nella risoluzione del 2021 gli errori di Mao sono minimizzati, anche quelli in riferimento al periodo della rivoluzione culturale. L’intento di Xi Jinping è delineare un continuum tra la sua politica e quella di Mao e Deng». Forse l’aspetto più interessante è un’ulteriore formulazione storica proposta nel documento, oggetto anche della propaganda politica degli ultimi mesi. Si tratta della suddivisione della storia in quattro parti: la storia del partito, la storia della nuova Cina, la storia del processo di apertura delle riforme, la storia dello sviluppo del socialismo. Una visione storica che sta avendo ripercussioni in campo educativo, e che la dice lunga su quanto il controllo ideologico di Xi Jinping su scuola e università si stia rafforzando. Basti pensare all’ampio ricorso dell’espressione “nichilismo storico” utilizzata per etichettare qualsiasi resoconto della storia che metta in discussione le narrazioni ortodosse del partito o l’interpretazione ufficiale della storia del Paese. Addirittura, nell’aprile 2021 è stato istituito un numero telefonico affinché i cittadini denunciassero casi di nichilismo storico per segnalare distorsioni dalla visione del partito in riferimento alle quattro storie. «Xi Jinping sta stabilizzando il suo status di interprete più autorevole della storia del partito e, quindi, diventare il “nuovo timoniere” che proseguirà il cammino iniziato dal presidente Mao», rimarca Miranda.

Eppure, in Cina, nonostante tutto, si stanno elaborando nuovi approcci storici che vanno oltre una metodologia al servizio del nazionalismo. La narrativa, con le sue mutevoli visioni della storia, ne è un esempio. «La letteratura moderna nasce proprio nella consapevolezza di una discontinuità nella storia della civiltà cinese, che viene avvertita precocemente già alla fine del secolo XIX», precisa Nicoletta Pesaro, dell’Università Ca’ Foscari – Venezia. Così, «se nei primi decenni del secolo scorso prevale una visione lineare e progressiva della storia per poi passare al genere del “nuovo romanzo storico”, in cui invece predomina una visione post-moderna che contesta e re-inventa la Storia,  negli ultimi decenni si è sviluppata una narrativa che in qualche modo risponde, attraverso una visione obliqua e frammentaria, fortemente soggettiva, alle lacune e all’“afasia” della storia, mescolando fatti e finzione, memoria e amnesia, utopia e distopia».

In ambito accademico, invece, dal 2000 in poi si sono registrati significativi tentativi ed esperienze che, mettendo da parte la dicotomia tra storia nazionale e storia del mondo, propongono una rilettura della storia cinese secondo i canoni della World History, il cui cardine è il concetto di interazione tra civiltà diverse. Un contributo interessante arriva dal Dipartimento di storia della Fudan University di Shanghai, e in particolare da Ge Zhaoguang, storico molto conosciuto a livello internazionale e autore di libri tradotti in diverse lingue. «Dal 2019 al 2021, con la collaborazione di almeno 20 giovani studiosi cinesi, il professor Ge ha promosso e coordinato un podcast con centinaia di episodi divisi in sei stagioni, ciascuna delle quali corrisponde a un tema chiave: l’origine dell’umanità, guerra e migrazioni, la circolazione dei beni, le religioni e le fedi, le malattie e il clima, le grandi scoperte geografiche», racconta Giunipero. «Un programma audio che ha agevolato la diffusione della World History e dei suoi approcci nella Repubblica Popolare Cinese con l’obiettivo di divulgarne non solo i temi ma soprattutto il metodo, la prospettiva, la visione». Bisognerà capire fino a che punto potrà realmente svilupparsi visto che «va contro una certa retorica e narrazione nazionale».

C’è un altro interessante dibattito che ha preso piede su alcune riviste accademiche cinesi sulla questione della “memoria storica”. A illustrarne i risvolti è Laura De Giorgi, dell’Università Ca’ Foscari, impegnata ad analizzare gli articoli che negli ultimi dieci anni sono stati pubblicati sul tema. «Quello che emerge è il desiderio degli storici cinesi di vedere nella memoria non più soltanto una fonte, bensì un oggetto storico da studiare, distaccato da quelli che sono i suoi usi pubblici». Questo perché, aggiunge la sinologa, nel tempo la memoria ha assunto un tale ruolo egemonico da esigere una risposta critica da parte degli storici che hanno cominciato a considerarla come un fenomeno contingente, manipolabile e non più dotato di quella verità assoluta di per sé incapace di confrontarsi con un mondo che cambia in continuazione.

Un mondo in movimento e dove il potere dei media conta - e anche tanto - per costruire la propria immagine sia in patria sia all’estero. D’altra parte, il “soft power” - che ha nell’educazione, nell’uso dei media e nell’organizzazione di grandi eventi le sue principali componenti - è una delle politiche fondamentali cui ricorre la Cina. E a testimoniarlo è lo stesso Global Soft Power Index 2022 dove la Repubblica Popolare Cinese è in ascesa, sostiene Giorgio Trentin, docente di Lingua e cultura cinese all’Università di Macerata, direttore dell’Istituto Confucio dello stesso ateneo e studioso di questo concetto e delle diverse interpretazioni che a esso sono state date nella Repubblica Popolare Cinese negli ultimi vent’anni.

Ma è la televisione che, soprattutto di recente e non solamente in Cina, gioca un ruolo cruciale di cambiamento del senso storico attraverso l’ampio uso che fa delle immagini. «La ripetitività delle immagini in tivù e la solennità che ne consegue serve per creare consenso», avverte Valeria Varriano, dell’Università di Napoli “l’Orientale”. Un elemento che incide nelle docuserie e persino nelle fiction. «I cinesi hanno manifestato una straordinaria lucidità nella produzione delle prime opere televisive, prestando attenzione alle immagini di sfondo da inserire, ben consci del valore importante che avrebbero avuto nella narrazione storica». In Cina, come in altri paesi, la televisione sta però diminuendo il suo impatto. «Oggi l’interesse della classe politica è rivolto verso Internet e le grandi piattaforme digitali. C’è una notevole quantità di prodotti destinati alle nuove generazioni e di forti investimenti che, tramite le grandi produzioni come quelle Disney, puntano a modificare l’immagine del Paese all’estero».

Un articolo di

Katia Biondi

Katia Biondi

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