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La fede cristiana incisa su una tavoletta di legno del VI secolo

22 maggio 2025

La fede cristiana incisa su una tavoletta di legno del VI secolo

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«Crediamo in un solo Dio, Padre onnipotente, /fattore del cielo e della terra,/ di tutte le cose visibili e invisibili» («pisteomen eis ena theon patera pantokratora / {panton} poieten ouranon kai ge / oraton te kai panton ton aoraton»).

E poi, più avanti, il punto teologico che per secoli ha suscitato maggiori controversie: la natura divina di Gesù Cristo. «Generato dal Padre prima di tutti i secoli / luce da luce / Dio vero da Dio vero / generato, non creato / della stessa sostanza del Padre / per mezzo del quale tutte le cose furono» («ton ek tou patros genethenta pro panton ton aionon / phos ek photos / theon alethinon ek theou alethinou / genethenta ou poiethenta / omoousion to patri / di’ou ta panta egeneto»).

Le parole che si leggono - con qualche difficoltà e approssimazione - su un rettangolo di legno risalente al VI secolo non più grande di un moderno tablet, sono le stesse che ancora oggi i fedeli recitano durante la Messa. Per questo ha ragione Marco Rizzi, direttore del Dipartimento di Scienze religiose dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, quando afferma che questa tavoletta, «pur non essendo il pezzo più prezioso del Fondo Papiri della Biblioteca di Ateneo, ha un valore culturale e religioso enorme: ci mette in comunicazione, attraverso i secoli, con una comunità che intorno a quel manufatto ha professato la propria fede - che è poi ancora oggi la nostra». 

Ma forse si può andare oltre. In quelle lettere in corsivo maiuscolo, in una lingua greca già contaminata, impresse su un semplice pezzo di legno, si intravede qualcosa di più: la forza della fede cristiana, capace di attraversare culture, civiltà ed epoche storiche per arrivare fino a noi.

Più ancora della maestosità delle grandi cattedrali, è proprio l’umiltà di questo oggetto - un piccolo frammento di legno rimasto intatto nei secoli - a restituire tutta la potenza di quel messaggio, e il senso profondo della parola “tradizione”.

Lunedì 19 maggio il reperto è stato mostrato al pubblico, protetto da una teca e maneggiato con estrema cautela dagli addetti alla conservazione, durante un convegno nella sede milanese dell’Università Cattolica. L’evento, promosso dal dipartimento di Scienze religiose insieme ai corsi di Letteratura Cristiana Antica, Nuovo Testamento e Paleografia greca, celebrava il 17° centenario del Concilio di Nicea.

In quella città dell’Asia Minore, tra maggio e giugno del 325, per volontà dell’imperatore Costantino, si svolse il primo concilio ecumenico della cristianità. All’ordine del giorno, questioni fondamentali che già allora dividevano le comunità: il giorno in cui celebrare la Pasqua, e soprattutto lo status di Gesù. Il Figlio di Dio doveva essere considerato della stessa natura del Padre? Oppure, in quanto generato, era solo la più eccellente delle creature, come sosteneva un prete di Alessandria d’Egitto divenuto celebre: Ario?

Come chiariranno soprattutto i concili successivi - in particolare quelli di Costantinopoli (381) e di Calcedonia (451) - la Chiesa si pronuncerà per la piena divinità di Cristo, elaborando un testo che diventerà il simbolo di riconoscimento dei cristiani. Per questo, il Credo è identificato anche con la parola greca Symbolum.

La tavoletta esposta in Cattolica è una testimonianza concreta di quel periodo. Un ponte diretto tra noi e la Chiesa delle origini, alle prese con la costruzione delle fondamenta della fede cristiana. Un’epoca remota e affascinante, tornata oggi d’attualità grazie alla decisione - prima di Papa Francesco e ora ribadita dal successore Leone XIV - di recarsi a Nicea, oggi Iznik (Turchia), in occasione dell’anniversario del concilio.

Quel viaggio sarebbe anche il primo all’estero del nuovo pontefice e avrebbe un forte valore ecumenico e geopolitico, rilanciando il dialogo con la Chiesa ortodossa, in un momento segnato dal riaprirsi di antiche fratture.

Quel piccolo pezzo di legno, con le sue lettere nere appena distinguibili sullo strato di cera annerito dall’ossidazione, assume oggi tutti questi significati. Quell’oggetto però custodisce anche un mistero.

È infatti l’unico esemplare noto del Credo inciso su legno (tutte le altre versioni giunte fino a noi sono su papiro), e continua a interrogare gli studiosi. A chi era destinato? Quale uso se ne faceva?

La prima a porre queste domande fu, cinquant’anni fa, Orsolina Montevecchi, docente di Papirologia dell’Ateneo, che lo acquistò ampliando la collezione avviata negli anni Venti dal suo predecessore, Aristide Calderini. Ma, in mancanza di studi successivi, il mistero è rimasto irrisolto.

Come ha osservato Paolo Senna, conservatore della Biblioteca d’Ateneo, due fori nella parte superiore farebbero pensare a un’affissione tramite chiodi. Tuttavia, essendo la tavoletta scritta su entrambi i lati, è difficile che fosse appesa a una parete. Più probabilmente, era sospesa tramite catene, per consentire la lettura di entrambe le facce.

Non è nemmeno certo che la tavoletta venisse effettivamente letta. Il greco in cui è scritta, infatti, non era la lingua d’uso nel luogo e nell’epoca a cui risale: nel nord dell’Egitto, nel VI secolo, si parlava il copto.

Secondo Mariachiara Fincati, ricercatrice di Civiltà bizantina dell’Ateneo, è più plausibile che avesse una funzione apotropaica: fosse venerata come un’icona senza immagini, da parte dei catecumeni che si preparavano al battesimo. Un’ipotesi suggestiva, che meriterebbe ulteriori approfondimenti.

C’è da augurarsi che proprio l’annunciato viaggio di Leone XIV nell’antica Nicea, in occasione dell’anniversario del concilio, rinnovi l’interesse per quel periodo remoto ma decisivo per il cristianesimo. E, con esso, anche per questa tavoletta in legno, che di quella vicenda millenaria è testimone silenziosa.
 

Un articolo di

Francesco Chiavarini

Francesco Chiavarini

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