Interrogarsi sul maschile ascoltando e lasciando parlare gli uomini è una novità che rivela caratteristiche inaspettate di quello che è un genere non definito, in quanto considerato “universale neutro”, e negli ultimi tempi sempre più messo in discussione nei dibattiti sulle pari opportunità. Ci ha provato Fondazione Libellula che, con la collaborazione di alcuni psicologi dell’Università Cattolica, ha realizzato la survey “L.U.I. – Lavoro, Uomini, Inclusione. La voce degli uomini nelle aziende italiane”, presentata giovedì 2 ottobre in largo Gemelli e seguita da un dibattito nutrito e foriero di spunti da approfondire.
Ci sono dati che colpiscono e che aprono la riflessione. Più del 90% degli uomini pensa che una maggiore equità dei generi sia un vantaggio per tutte le persone. La parità non è una concessione, ma una conquista collettiva. Inoltre, il 77% si sente coinvolto nel contrasto alla violenza di genere. Ma i giovani sembrano meno sensibili, e il congedo parentale resta ancora poco esercitato: solo un terzo dei padri lo ha utilizzato.
La ricerca ha aperto diversi fronti e indagato il punto di vista maschile su parità di genere, genitorialità, molestie e discriminazioni nel contesto professionale, analizzando un campione quasi interamente eterosessuale di oltre 6000 persone, di cui più di 2.000 uomini lavoratori in Italia, tra i 30 e i 50 anni, con un’istruzione elevata (più del 40% ha una laurea e il 37% un diploma), prevalentemente residenti nel nord ovest e nel centro Italia.
Il quadro complesso e sfaccettato del maschile nei luoghi di lavoro rivela dati incoraggianti che si intrecciano a segnali di resistenza, tra nuovi modelli di paternità, scarsa consapevolezza del privilegio e pregiudizi ancora radicati. Come ha detto aprendo il dibattito Raffaella Iafrate, delegata del Rettore per le Pari Opportunità dell’Università Cattolica, «l’università è luogo di pensiero e di cultura e il pregiudizio è nemico del pensiero. Noi intendiamo le pari opportunità come il rispetto della dignità della persona nella sua unicità differenziante e allora ben venga l’attenzione anche sul maschile, l’altra faccia della medaglia».
L’aiuto della psicologia è fondamentale in questo nuovo confronto. Tra l’altro è significativo che questa sia una professione prettamente femminile. Come ha sottolineato nel suo saluto iniziale il preside della Facoltà di Psicologia Alessandro Antonietti «noi abbiamo solo due uomini su una ventina di professori di ruolo. Incoraggio pratiche che rispettino la diversità dei generi ma che aiutino a valorizzarle e integrarle».
Per aprire lo spazio e una nuova alleanza tra i generi e superare una narrazione ormai stereotipata, occorre mettersi in ascolto degli uomini, come si fa ad esempio nei gruppi di autocoscienza avviati da Luca Milani, professore di Psicologia della violenza di genere dell’Università Cattolica, che ha contribuito alla survey con una metodologia rigorosa per misurare gli stereotipi e le percezioni «perché i dati, che hanno una valenza psicometrica, si parlano tra loro e si possono confrontare, un valore aggiunto dal punto di vista scientifico».
L’esperienza di autocoscienza parte proprio dall’ascolto. «Puoi essere un uomo in grado di manifestare le proprie emozioni e parlare di quello che sente anche stando di fronte all’altro – ha continuato Milani –. Occorre che gli uomini che hanno iniziato questo percorso avviino un patto generazionale con giovani uomini della Generazione Z per accompagnarli in questo percorso di autocoscienza, dove il corpo non sia inteso solo come arma prestazionale ma come strumento di cura, come avviene nella paternità».
A proposito della genitorialità dalla ricerca emerge una conferma, come ha spiegato Mara Ghidorzi, Gender Expert, DE&I Training designer, Fondazione Libellula, che ha presentato i risultati: «Solo il 34,6% dei padri ha utilizzato il congedo parentale. Il 56,6% lo utilizza tra i 31 e i 40 anni e il 23% tra i 51 e i 60. È una buona notizia di cambiamento dei ruoli nel contesto familiare, laddove il 18% sente il peso di dover sacrificare la propria carriera per prendersi cura della famiglia (tra le donne e in particolare tra le madri si arriva al 60%)». Gli uomini pensano che il genere possa influenzare le opportunità future di figlie e figli nel 53% dei casi, mentre le donne lo sostengono all’80%.
Il dibattito, condotto da Shata Diallo, Head of social impact strategy, Programs & research di Fondazione Libellula, si è animato anche su altri dati emersi dalla survey. Il 77% del campione si sente coinvolto in prima persona nel contrasto alla violenza di genere. Ma facendo il focus generazionale emerge che gli over 60 si sentono coinvolti nell’80% dei casi, mentre i giovani solo nel 46%. Inoltre, quasi un uomo su tre pensa che la parità di genere sia un traguardo raggiunto, tra le donne lo pensa solo il 6,5%.
Questo scollamento tra percezione e realtà dice della necessità di fare cultura e di educare alla cura dell’altro a cominciare dai più piccoli e sui banchi di scuola, e alla responsabilità di chi ha dei privilegi nel dare voce e spazio a chi ne ha meno.
Come ha sottolineato l’attivista e autrice di best seller internazionali Francesca Cavallo, «da quando un bambino nasce, gli adulti manifestano una diversità di trattamento. Quella di cui stiamo parlando oggi è una rivoluzione culturale di proporzioni epiche, un lavoro pionieristico, perché sposta l’asse con cui comprendiamo la nostra esperienza di umani».
Anche il mito dell’uomo tutto d’un pezzo, forte e incrollabile si sta incrinando, come si evince dall’indagine: «Quasi un uomo su quattro ha cambiato lavoro a causa di molestie, discriminazioni o un ambiente tossico – ha spiegato Ghidorzi –. Le discriminazioni sono diverse rispetto al femminile. Se parliamo di molestie, le donne continuano a essere il soggetto più colpito ma la questione si capovolge quando si tratta di orientamento affettivo-sessuale».
Dati confermati da Laura Galuppo, professoressa di Psicologia del lavoro e delle organizzazioni in Università Cattolica, che ha parlato di «narrazioni uniche sulla carriera. Per ora si pensa al lavoratore ideale che performa, va veloce, che non può dire “non ce la faccio”, un ruolo da sempre tipicamente maschile. Molti fanno oggi fanno fatica a stare in questa narrazione se non in pochi e rari contesti».
Il mondo del lavoro è anche una cartina tornasole del processo di consapevolezza e di cambiamento in atto. Claudio Nader, docente, strategist culturale e founder di Osservatorio maschile, ha rilevato che «molte donne dicono che cominciano ad accorgersi di alcuni problemi di conciliazione solo quando iniziano a lavorare e tanti uomini cominciano a confrontarsi con questi temi quando hanno figli o figlie perché “sale il padre protettore”. Se la questione è proteggere qualcun altro (stereotipo del principe che protegge e salva) allora si sviluppa l’attenzione, altrimenti no, perché gli uomini non sono abituati a guardare la parte di sé relativa alla cura che per certi versi è dominante e per altri opaca».
Questa indagine rappresenta dunque un primo passo per superare una narrazione sbilanciata e finora centrata quasi esclusivamente sul vissuto femminile, e aprire lo spazio a un confronto e a una nuova alleanza tra i generi.
Tutti i risultati della ricerca sono raccolti nell’eBook “L.U.I. – Lavoro, Uomini, Inclusione”, disponibile integralmente per il download sul sito di Fondazione Libellula.