(Letture: Dn 3, 14-20. 46-50. 91-92. 95; Sal. Dn 3; Gv 8, 31-42)
«La verità vi farà liberi». Credo che non esista frase più sfidante di questa per l’esperienza umana, soprattutto in un contesto universitario dove il tema della ricerca della verità è centrale. E proprio per questa sua rilevanza dobbiamo onestamente riconoscere che nelle diverse epoche è stata oggetto di molteplici e contraddittorie interpretazioni. Si è così passati da visioni – sia teologiche sia filosofiche - che identificano la verità con assiomi, metafisici o dogmatici, assoluti e categorici, per cui la libertà consiste nell’accettazione e attuazione di tali principi oggettivi, a visioni che hanno radicalmente rovesciato la prospettiva ponendo come termine primario e principale la libertà individuale per cui è il soggetto che affermando la sua libertà da tutto e da tutti manifesta e realizza la verità della sua esistenza.
Basterebbe ricordare quanto nei tempi recenti questi temi hanno impegnato pensatori come Gadamer, con la sua fondamentale opera, “Verità e metodo” del 1960 o Paul Ricœur con le sue acute riflessioni sull’ermeneutica e la fenomenologia. Se in un’omelia non possiamo addentrarci in queste problematiche, certamente affascinanti ma ovviamente molto complesse, è possibile comunque rilevare che con la modernità si è realizzata una specie di rivoluzione copernicana anche nel modo di affrontare i temi della verità e della libertà, al punto che l’assolutizzazione del soggetto, da una parte, e l’affermarsi del metodo sperimentale come unico criterio di conoscenza dall’altra, hanno portato ad una sostanziale irrilevanza del tema della verità a beneficio dell’assolutizzazione della libertà.
Siamo così entrati in quella che Papa Ratzinger definisce la “dittatura del relativismo” e viviamo in un’epoca profondamente segnata dal relativismo. Sono rimaste famose le parole pronunciare nell’omelia della Messa per l’elezione del pontefice - che poi sarà lui - il 18 aprile del 2005: «il relativismo, cioè il lasciarsi portare “qua e là da qualsiasi vento di dottrina”, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie». Parole lapidarie che inchiodano il nostro tempo alle sue responsabilità. E non è difficile ricollegare anche gli ultimi drammatici eventi che hanno visto riesplodere una guerra nel cuore dell’Europa, ad un sostanziale smarrimento delle verità fondamentali sull’uomo e sul vivere sociale da cui deriva un esercizio irresponsabile della libertà.
Come possiamo declinare in modo corretto verità e libertà secondo l’insegnamento evangelico per non rimanere anche noi sospesi a quella domanda con cui anche Pilato si schernisce davanti al Signore: «quid est veritas?» (Gv 18, 38). Può essere utile ricollocare l’espressione “la verità vi farà liberi” nel suo contesto e leggerla in continuità con ciò che precede. Occorre coglierne tutti i passaggi, strettamente uniti l’uno all’altro. Gesù afferma: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». Prima dell’espressione conclusiva, che è quella abitualmente estrapolata e tematizzata, scivolando così facilmente dal piano teologico a quello filosofico-culturale, Gesù indica tre passaggi senza dei quali, l’ultima espressione può facilmente essere equivocata.
In primo luogo occorre rimanere nel costante ascolto della sua Parola, ossia di Lui, verbo di Dio che si è fatto carne per svelare, non con una dottrina ma con la sorprendente logica della misericordia, il disegno di salvezza del Padre. È una Parola, come dice la lettera agli Ebrei, che è «viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore» (Eb 4,12). E di fronte a questa parola che è “spirito e vita”, anche i discepoli affermano: «Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna» (Cfr. Gv 6,60-68). Dall’ascolto e dal dialogo con il Signore scaturisce poi la sequela che fa diventare discepoli, ossia persone afferrate da Colui che diventa concretamente «la via, la verità e la vita» (Gv 14,6), e che proprio per questo è in grado di liberare.
Non sono le idee che liberano, perché da sole facilmente diventano ideologie, ma l’incontro vivo e reale con la verità che è Cristo stesso. Di qui il terzo fondamentale passaggio: conoscerete la verità. Ma non si stratta di un percorso intellettuale, bensì di quella conoscenza che è frutto dell’amore e che si traduce nella stupenda espressione di San Paolo: «fare la verità nella carità». Solo abbracciando il comandamento nuovo che egli ci ha testimoniato: “amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato” potremo radicarci nell’amore di Cristo e nella sua verità per cui «non saremo più fanciulli in balìa delle onde, trasportati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, ingannati dagli uomini con quella astuzia che trascina all'errore» (Cfr. Ef 4,11-15). Solo la conoscenza “dell’amore e per amore” conduce alla verità e rende veramente liberi perché ci sottrae dall’assolutizzazione dell’io e ci introduce nella logica del dono e della comunione fraterna.
Dopo le pagine stupende dell’Enciclica “Caritas in veritate” (29 giugno, 2009), il rapporto tra verità e carità è stato ripreso e approfondito da Papa Francesco in alcuni passaggi, poco conosciuti e ancor meno citati ma forse tra i più belli dell’Enciclica “Fratelli tutti” (3 ottobre 2020). La verità emerge dall’esperienza dell’amore autentico e per altro verso - afferma il Papa -: «La carità ha bisogno della luce della verità che costantemente cerchiamo e questa luce è, a un tempo, quella della ragione e della fede, senza relativismi» (Cfr. nn. 184-185). Allora possiamo sintetizzare questo percorso integrando la frase da cui siamo partiti con: “La verità cercata e vissuta nell’esperienza della carità vi farà liberi”.
A ben vedere, qui troviamo anche la specificità e l’essenza della nostra comunità universitaria. Ciò che caratterizza il nostro Ateneo fin dalla sua fondazione e fino ai nostri giorni, nonostante tutti i cambiamenti intercorsi in un secolo di storia, è la sua capacità di cercare la verità con amore e nella libertà, di rendere liberi attraverso la verità dell’amore. La sola scienza può riempire di orgoglio e alimentare la superbia, la sola libertà senza riferimenti veritativi lascia l’uomo in balia delle emozioni e dell’ebrezza del sapere. È l’amore di Dio e degli uomini che alla fine fa la differenza nella ricerca della verità e nell’esperienza della libertà. Questa visione ha ispirato i nostri fondatori e questo sguardo continua, con tutte le sue variabili e sfumature, a guidare la missione del nostro Ateneo.
A conferma e sigillo di tutto questo giunge un dono specialissimo che riceviamo da Dio e dalla Chiesa per i 100 anni di questo Ateneo: la beatificazione di Armida Barelli, che certamente non ha i meriti accademici e le competenze scientifiche di P. Agostino Gemelli, ma senza della quale l’Ateneo dei cattolici italiani non avrebbe avuto la singolare capacità di coniugare - e qui è il senso ultimo della consacrazione al Sacro Cuore da lei fortemente voluta - la libera ricerca della verità e l’educazione alla vera libertà. Comprendiamo meglio il valore profondo e il senso profetico del tema scelto per la Giornata universitaria del 1° maggio, che farà da corona alla beatificazione del 30 aprile, “Con cuore di donna al servizio della cultura e della società”. Non è solo un doveroso omaggio ad Armida Barelli, ma una presa di coscienza preziosa di quanto il dialogo fecondo tra scienza e amore, intelligenza e cuore, possa generare ambienti educativi di straordinaria efficacia per la formazione delle giovani generazioni.
E qui ci viene in aiuto l’immagine suggestiva della prima lettura. Vedendo l’accanimento del re Nabucodònosor contro i tre giovani gettati nella fornace, ho pensato al mondo odierno che tenta di sedurre i giovani di oggi con mille idoli privandoli così di quei riferimenti alla verità che può renderli liberi. Fiamme voraci e distruttive tentano di bruciare le loro aspirazioni e i loro sogni, ma il Signore li protegge e crea attorno a loro un clima gradevole. Come non pensare ai nostri chiostri dove i giovani passeggiano sereni, protetti dalle vampe di una cultura spesso tossica e da passioni che invece di liberarli generano dipendenze? Proprio l’altro giorno un ricercatore appena arrivato nella nostra sede, proveniente da altri Atenei, mi confidava con gioia e stupore questa sensazione forte provata nei nostri chiostri: un’aria diversa che fa respirare l’anima e apre la mente.
Possiamo così anche intravedere il quarto personaggio. Quell’angelo che passeggia con i giovani, proteggendoli ed educandoli. Come non vedere nel suo volto quello dei fondatori che continuano ad abitare spiritualmente i nostri chiostri? Ma ci auguriamo che quest’angelo possa avere oggi i volti delle autorità accademiche, dei docenti, degli assistenti pastorali, delle direzioni dei collegi, del personale tecnico amministrativo, degli stessi studenti che si affiancano gli uni agli altri per camminare assieme… Il fuoco distruttore oggi ha molte forme e divampa ovunque, dalla pandemia alla guerra, dall’indifferenza alle tante ingiustizie, dai problemi energetici alla sostenibilità ambientale ma nulla può contro il fuoco che arde dentro, quello del roveto ardente che non brucia, ma genera ardore e illumina il cammino. È il fuoco dello Spirito Santo effuso dal Signore Gesù sulla croce. È il dono più prezioso della Pasqua che ci apprestiamo a celebrare: il Risorto dona lo Spirito ai discepoli impauriti e con la Pentecoste dà loro il coraggio di essere testimoni ovunque e di affrontare ogni difficoltà.
Fuoco è anche la prima parola che ci ha affidato papa Francesco nel messaggio per i 100 anni dell’Ateneo. «L’Università Cattolica - ci diceva - custodisce questo fuoco e quindi può trasmetterlo perché l’unico modo di farlo è “per contatto”, cioè attraverso la testimonianza personale e comunitaria. Prima ancora di trasmettere quello che si sa, si accende il fuoco condividendo quello che si è» (19 dicembre 2021). Questa è la strada tracciata dai fondatori, l’eredità preziosissima che ci è stata consegnata. Se questo fuoco continuerà ad ardere nei nostri cuori nessun fuoco esterno potrà spaventarci e potremo ancora sperimentare e testimoniare che davvero “la verità ci fa liberi”. Amen.