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Educare alla giustizia riparativa fin dall’infanzia
Intervista a Luciano Eusebi, docente di Diritto penale e curatore del volume dedicato alla necessità di prevenire il conflitto già dai primi anni di vita
| Velania La Mendola
24 ottobre 2025
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Un’aula magna gremita, un silenzio attento. È in questo clima che, mercoledì 22 ottobre, si è tenuto l’incontro con Marta Cartabia e Adolfo Ceretti, dedicato al tema della giustizia riparativa, cuore del convegno che ha chiuso il percorso Disarmare il dolore. Attraverso i conflitti nell’orizzonte della giustizia riparativa.
L’iniziativa, moderata dal professor Francesco Centonze, ordinario di Diritto penale alla Facoltà di Economia e Giurisprudenza dell’Università Cattolica, ha chiuso il ciclo promosso dal Comune di Cremona, CSV Lombardia Sud, Caritas e Diocesi.
Al centro della serata, il dialogo tra due voci autorevoli. Marta Cartabia, già presidente della Corte Costituzionale e poi ministro della Giustizia, e Adolfo Ceretti, criminologo e docente all’Università di Milano-Bicocca, hanno condiviso riflessioni e esperienze maturate nel lungo percorso che ha portato all’introduzione dei programmi di giustizia riparativa nella cosiddetta Riforma Cartabia del 2022.
Cartabia ha ricordato il suo primo incontro con questo paradigma, avvenuto grazie al volume Il libro dell’incontro, curato da Ceretti insieme a Guido Bertagna e Claudia Mazzuccato, che racconta anni di dialoghi tra familiari delle vittime e autori della lotta armata. Tra le testimonianze, quella dell’ex militante Grazia Grena, che segnò profondamente la giurista: «Quelle parole hanno reso possibile l’impossibile» ha spiegato «e hanno cambiato per sempre il mio modo di guardare alla giustizia».
La giustizia riparativa, ha proseguito Cartabia, nasce da un senso di insufficienza che accompagna chi si occupa di diritto: «La sentenza risponde a un bisogno, ma lascia sempre un margine di insoddisfazione. È questo scarto tra la domanda di giustizia e ciò che il sistema può offrire che ci spinge a cercare altro».
Un articolo di
Ceretti ha descritto la giustizia riparativa come «una storia di persone che, attraverso l’ascolto, riescono a scongelare le proprie memorie di dolore e a costruire parole-ponte verso l’altro». Solo quando la vittima racconta ciò che ha vissuto, ha spiegato, l’autore del reato può davvero comprendere la portata delle proprie azioni.
Cartabia ha richiamato le parole del cardinale Carlo Maria Martini: «Non può iniziare alcun processo di pace finché non vedo il dolore dell’altro». È da questa consapevolezza, ha detto, che nasce la possibilità di riparare: «La presa di responsabilità di fronte alla vittima non è una scorciatoia, ma una forma di giustizia esigente, che richiede tempo e coraggio».
Il futuro, secondo l’ex ministra, passa ora attraverso la formazione dei mediatori e un lavoro culturale diffuso: «La legge è solo l’inizio. Occorre coinvolgere le comunità, perché un reato non riguarda mai solo chi lo commette o chi lo subisce, ma l’intera società».
Nelle battute conclusive, il professor Centonze ha ricordato come la detenzione, da sola, non riesca a rieducare: «I dati lo dimostrano. È necessario guardare oltre, e la giustizia riparativa può offrire risposte più efficaci e più umane».
L’incontro con Cartabia si innesta in un cammino di riflessione che il corso di laurea in Giurisprudenza dell’Università Cattolica a Piacenza promuove da anni, offrendo a studenti e comunità occasioni di confronto sui temi del perdono, della responsabilità e della riconciliazione. Un impegno che ha trovato espressione anche nella recente Settimana del Dono, con l’incontro dedicato a “Abitare la giustizia” insieme a Gherardo Colombo, espressione della vocazione educativa della Cattolica nel coltivare una cultura del dialogo e della cura delle relazioni
Come è stato ben evidenziato dai relatori: «In un tempo segnato da conflitti e fratture, quanto la giustizia, per essere davvero tale, debba saper vedere il dolore dell’altro. Vedere il dolore dell’altro, ma anche il proprio. Solo così attraverso il dialogo, l’ascolto e la responsabilità condivisa, si può cominciare a riparare».